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    Dol's Magazine
    Home»Vie e disparità»La bandiera rossa in giardino
    Vie e disparità

    La bandiera rossa in giardino

    DolsBy Dols17/09/2016Updated:17/09/2016Nessun commento4 Mins Read
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    frulla
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    Rosina Frulla è stata una staffetta partigiana, conosciuta come la “Signora in rosso”, che ha fatto del colore rosso il simbolo di una “resistenza continua” da portare avanti ben oltre il periodo bellico e ben oltre l’area pesarese ove è stata protagonista.

    di Barbara Belotti

     
    Non sono uguali le partigiane e i partigiani che hanno combattuto nella Resistenza. Ognuna/o di loro ha scelto di vivere quel pezzo di storia italiana sull’onda della medesima passione e della stessa voglia di libertà, ma ognuna/o di loro rappresenta una vicenda diversa da raccontare e ricordare.

    È più facile tramandare i gesti di coraggio eclatanti e potenti, le morti drammatiche e le onorificenze al merito, più difficile non permettere la dispersione della memoria di chi ha lottato, di chi ha messo a rischio la propria vita per la libertà di una intera nazione ma è sopravvissuta/o senza aver raggiunto i vertici della notorietà.

    La loro limpidezza di intenti e di pensiero rischia di divenire, quando non saranno più qui a raccontare in prima persona cosa è stata la Resistenza, un ricordo annebbiato destinato a scomparire e a perdersi. Soprattutto se si tratta di donne, perché la loro Resistenza, fatta dello stesso coraggio e degli stessi rischi dei compagni maschi, ha faticato a essere conosciuta, narrata e condivisa.
    Rosina Frullaperché con quel colore si vestiva e si faceva conoscere. Non era un vezzo, ma una esplicita dichiarazione di fede politica e di intenti, proseguita anche dopo la guerra fino alla morte.
    Il colore rosso è la caratteristica di Rosina, partigiana. Lei stessa racconta che per molti anni ogni primo maggio ha continuato “a mettere una bandiera rossa in quell’angolo lì del giardino. Prima la issavo con mio marito Ferruccio che è stato anche lui un partigiano. […] Ora che Ferruccio è morto e io non ci vedo più tanto bene, la bandiera la metto con i miei nipoti”.

    In un’epoca come la nostra, fatta di incertezze e di coscienze liquide e fluide, i suoi toni appassionati misurano la forza delle sue idee e della sua coerenza: “Forse dovrei smetterla. Ogni anno mi dico “questo è l’ultimo”. Che senso ha oggi, con questa politica qui, quella bandiera sventolante? Che senso ha vestirsi sempre di rosso? Io so solo che il rosso è il colore della mia passione, della mia lotta. Il colore della mia vita. E che anche quest’anno la mia bandiera rossa sarà lì, nell’angolo sinistro del mio giardino, perché tutta la via sappia che qui vive un’antifascista vera.”

    Antifascista lo è sempre stata, la sua è quasi una scel naturale. Si avvicina al PCI sia per l’influenza di un vicino di casa, Luigi Fabi, sia perché la vita non è stata generosa con lei, che ha conosciuto la miseria e ha dovuto lavorare fin da piccola per aiutare la madre vedova e i fratelli.
    Le scelte politiche di Rosina si uniscono all’audacia tipica della sua giovane età e a soli 17 anni comincia diffondendo le pagine clandestine de L’Unità e racimolando cibo da portare ai militari italiani prigionieri dei tedeschi. In breve diventa una vera staffetta partigiana, andando a piedi o in bicicletta ‒ “con le ruote senza copertoni” precisa in un’intervista ‒ a consegnare ordini, messaggi, armi.
    La Resistenza italiana è stata, per molte donne, l’inizio di un percorso di emancipazione e di presa di coscienza politica e personale che spesso non si è interrotto al termine della guerra. Anche per Rosina è stato così e il suo impegno prosegue nell’UDI: lavora per aprire asili nido, per organizzare le mense e le colonie estive per bambine e bambini, per trovare cibo e indumenti per le tante famiglie sfollate e che hanno perso tutto; da donna lavoratrice, inoltre, si impegna per formare una coscienza politica fra le compagne più giovani. L’impegno, come spiega in un’intervista, “derivava dalla voglia di libertà, dalla voglia di dare un avvenire migliore ai nostri figli”.
    Una donna piena di coraggio, di determinazione e di coerenza per la quale il passato non passa, “è una storia che ancora brucia e incide nella carne segni profondi”.
    Il suo rigore intellettuale e morale le permette di rileggere con lucidità gli anni trascorsi nella Resistenza: “È stata dura. Tanto. Non lo nego; però se tornassi indietro rifarei tutto, dall’inizio alla fine. Io volevo lottare. Dovevo lottare perché ero e sono un’antifascista. […] Se lotti per la libertà non hai paura. Per nessun motivo.”

     

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