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    Home»Costume e società»Attualità»Giù le mani dalle nostre donne
    Attualità

    Giù le mani dalle nostre donne

    Simona MerianoBy Simona Meriano08/01/2016Updated:11/03/201617 commenti7 Mins Read
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    Le donne diventano alternativamente, a seconda dei punti di vista, prede o proprietà da difendere.

    Davanti alle violenze di Colonia non bisogna abbassare la voce. Ci aspettiamo una ferma presa di posizione politica e mass mediatica contro gruppi di uomini che hanno umiliato, toccato, ferito l’anima e il corpo di donne che stavano semplicemente vivendo la loro vita. Ci aspettiamo una condanna decisa dei comportamenti violenti, deprecabili in sé. Invece no.

    Invece assistiamo alla strumentalizzazione della violenza di genere e le donne diventano alternativamente, a seconda dei punti di vista, prede o proprietà da difendere. Ancora una volta le femmine della società non sono considerate persone lese nell’esercizio della loro libertà, ma rappresentazioni dell’orgoglio maschile, che si erge a paladino della giustizia quando si sente minacciato da altri uomini. Quando gli stranieri osano toccare le “nostre donne” la questione diventa tra “noi” e “loro” e ciò che conta non sono le vittime, ma gli schieramenti. Il corpo delle donne nell’immaginario collettivo patriarcale rappresenta la nazione e l’aggressione sessuale è un’arma di dominio potente che alimenta il conflitto per la supremazia identitaria. In questa dimensione il fatto della violenza passa in secondo piano e diventa centrale la lotta per l’identità e il territorio. Il dibattito sociale e politico si sta concentrando sulla questione dell’ immigrazione, il problema è l’ordine pubblico, sono le minoranze presenti nelle nostre città, è la Comunità Europea incapace di gestire il dramma dei profughi. Migliaia di donne sono vittime di violenza ogni giorno nelle loro case e oggi la risposta alla violenza di genere è chiudere le frontiere? Oltre all’ipocrisia qui ci troviamo davanti a una grande confusione. Incapaci di chiamare le cose con il loro nome.

    Nessuno sta affrontando gli avvenimenti di Colonia da un’ottica di genere, analizzando seriamente il significato della violenza sulle donne nel contesto globale e con un onesto sguardo alla storia, alla nostra storia, perché l’uso e l’abuso del corpo femminile per tracciare confini e definire identità etniche appartiene anche a noi, purtroppo, alla nostra cultura patriarcale che pone la donna sempre e comunque in una posizione di inferiorità. Il giornalista Sallusti ha dichiarato durante un’intervista televisiva che le donne in Occidente sono sacre, frase di impatto mediatico che di certo fa leva sull’emotività, ma che significa? Quando siamo diventate creature “sacre”? È sacro qualcosa che attiene al divino, qualcosa di intoccabile e questa, statistiche alla mano, non mi sembra la condizione della donna oggi.

    Mi aspettavo una forte e seria condanna della violenza sulle donne di Colonia come fenomeno che ha caratteristiche specifiche e portata universale, mi aspettavo una ferma assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni e dei mezzi di informazione, non la diffusione e il rafforzamento di stereotipi, riducendo la questione a una scelta di parte, desta/sinistra, xenofobia o accoglienza dei profughi. Dicotomie inconciliabili, da campagna elettorale e giochi di potere, come se il dramma della violenza sulle donne non riguardasse tutti a prescindere dall’appartenenza politica. Certamente i fatti accaduti a Colonia e nelle altre città europee devono essere ricostruiti e vanno accertate le responsabilità. La violenza di gruppo non è mai casuale, c’è sicuramente una regia, una volontà destabilizzante, pensata prima che agìta. L’aggressione sessuale terrorizza e lascia segni profondi, deve essere condannata con forza e senza attenuanti, ma legare il comportamento violento a una specifica provenienza etnica è un atteggiamento rischioso che alimenta odi etnici con conseguenze che possono essere gravissime. Leggere questi avvenimenti come scontro tra culture offre una visione miope, parziale e tendenziosa del fenomeno e ci rende incapaci di contrastare efficacemente la violenza di genere per quello che realmente è. Qual è questa nostra cultura migliore delle altre che ci vede al primo posto nel turismo sessuale? Le donne e le bambine del Terzo Mondo non sono sacre come le nostre? Le migliaia di vittime della tratta e della prostituzione forzata, che nei nostri paesi muovono un giro milionario di denaro sporco, a che sfera di sacralità appartengono?

    La violenza sulle donne è un’arma di guerra e una strategia di dominio in tempo di pace. É un fenomeno che nasce da una cultura patriarcale globalmente diffusa. Non è solo un atto simbolico, è un’attività performativa, dal forte potere evocativo, in cui il gruppo maschile rafforza la propria identità, sancisce la differenza di genere, definisce dei confini. Sul corpo femminile, da sempre, gli uomini combattono tra loro per la supremazia sul territorio. Donna e Terra, legate da un unico destino.

    Lo Stato Islamico ha legalizzato la schiavitù sessuale incoraggiando lo stupro delle donne yazide, ebree e cristiane quando si trovano nei territori conquistati. Si tratta di un’azione pianificata e condotta con estrema lucidità, esattamente come è avvenuto in Bosnia Erzegovina, in cui si confusero conquista della terra e conquista sessuale. Nella lotta per la superiorità identitaria, il nemico viene scelto a tavolino, si programma il suo annientamento e lo si fa sistematicamente usando i corpi femminili. Ovunque. Nel momento in cui lo stupro viene istituzionalizzato e gli vengono attribuite valenze etniche, si diffonde velocemente e compierlo diventa un diritto e persino un dovere, perché trova motivazione in principi più alti e fini superiori (come la creazione della Grande Serbia e la Guerra Santa). Diventa un’arma legittima di una potenza devastante, perché legata a due dimensioni identitarie fondamentali: l’identità etnica e l’identità di genere, che nonostante siano un prodotto culturale, cioè costruite e mutevoli, vengono percepite come naturali, perenni, non negoziabili.

    Gli uomini islamici stuprano le donne “infedeli”. Gli uomini serbi, cristiani ortodossi, stupravano le donne bosniache musulmane incidendo croci sui loro corpi per umiliarle. Gli hutu in Rwanda pianificarono lo stupro delle donne tutsi per realizzare la pulizia etnica. L’IS usa l’istituzione dello stupro come incentivo per reclutare nuovi terroristi. L’esercito americano usava lo stupro come incentivo per reclutare soldati destinati al Vietnam. I tedeschi usarono ogni tipo di violenza sulle donne ebree, le donne tedesche furono violentate dai sovietici, le donne coreane dai giapponesi. Quando ci fu lo sbarco in Normandia le donne francesi furono stuprate dai “liberatori”. In Congo lo stupro è usato come arma da tutte le parti in conflitto. In Nigeria le donne e le bambine sono vittime dei terroristi di Boko Haram.

    L’elenco è infinito. La violenza sulle donne è una strategia voluta e incoraggiata dall’alto. È una tattica politica, SEMPRE, perché è sempre un’arma di dominio dell’alterità femminile in contesti culturali maschilisti patriarcali che considerano le donne semplicemente una proprietà degli uomini. Lo stupro è sempre un mezzo per ripristinare o ribadire un potere, maschile. Farne una questione etnica, riconducibile alla sola contrapposizione noi/loro e dimenticare le vittime significa perpetrare il continuum della violenza. Accettare le rimozione genere a favore di un culturalismo ideologico e fazioso contribuisce a mantenere le donne in una posizione subordinata, proprietà da difendere, non soggetti di diritto.

    E la sindaca Henriette Reker, che ha tutta la mia solidarietà per essere stata accoltellata in ottobre alla vigilia delle elezioni, per il suo atteggiamento favorevole all’accoglienza dei rifugiati siriani, si è purtroppo rivolta alle donne proponendo un codice di comportamento per evitare le molestie sessuali. Dare un messaggio di questo tipo, che di fondo attribuisce alla donna e ai suoi comportamenti delle responsabilità è molto rischioso, alimenta la colpevolizzazione e ci fa tornare indietro, dopo anni di lotte per l’autodeterminazione e la libertà, a un clima di paura e diffidenza.

    Simona Meriano

    Autrice di “Stupro Etnico e rimozione di Genere”

    Ed. Altravista, 2015

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    Simona Meriano
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    Simona Meriano, nata a Torino nel 1970, antropologa, social worker e autrice, è impegnata da oltre 20 anni in progetti di empowerment femminile e di contrasto alla violenza, occupandosi in particolare di problematiche relative alla salute, alla migrazione e alla tutela dei diritti delle donne e dei bambini. Socia fondatrice dell’Associazione TAMPEP Torino nel 2001, è stata responsabile dei programmi di protezione sociale per le vittime della tratta e si è dedicata alla formazione di operatori socio-sanitari, mediatori interculturali, personale di polizia. Dopo alcuni anni vissuti a Bali, in Indonesia, è tornata in Italia e ha fondato nel 2016 l’Associazione “Le Ali di Wen - Women Empowerment Network”.

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    17 commenti

    1. Vlad on 09/01/2016 01:59

      quella di Sallusti è una sparata, per me non è questione di “nostre donne”, per me è questione di società laiche (dove c’è comunque il sessismo ma le cose per le donne e per tutti vanno meglio) e società non laiche dove una donna che scopre mezza caviglia è “svergognata”. A Colonia è successo quel che è successo a Piazza Tahir
      le strumentalizzazioni razziste sono sbagliate ma il problema esiste e la sua sottovalutazione a sinistra lascia campo libero ai Salvini. l’islam è misogino e sessista esattamente come tutte le religioni abramitiche, il punto è che le società occidentali bene o male si sono laicizzate, le società da cui provengono molti migranti no
      e questo non vuol dire che “non ci sono molestatori occidentali” certo che ci sono, il sessismo è ovunque, ma a Colonia è successa una cosa diversa dallo stronzo o da tre o quattro buzzurri per strada che ti toccano il culo o ti chiamano troia (che è già grave)..erano centinaia che si sono organizzati per derubare e molestare le donne nella stessa sera e nella stessa città. E’ ovvio che la maggioranza dei musulmani (e di tutti gli altri) è brava gente ma un problema di integrazione c’è, ci sono persone che apprezzano la tecnologia e il benessere economico dell’occidente e anche l’alcool dell’occidente ma non i suoi valori, ad esempio non vogliono capire che una donna può girare da sola per strada a capo scoperto e anche a gambe scoperte e devono rispettarla come rispettano le loro sorelle che si velano.

      Reply
      • Simona Meriano on 12/01/2016 15:57

        Grazie per il suo commento. Trovo molto interessante la lettura confrontando società laiche e non laiche. Mi viene in mente uno studio dell’antropologo Remotti in cui spiega come la religione sia uno dei più potenti mezzi per la costruzione dell’identità di un popolo. Uno degli aspetti più illuminanti è il confronto tra le religioni monoteiste, a cui corrisponde un’identità rigida, armata e con pretese di unità, e le religioni politeiste dove prevalgono la molteplicità e le potenzialità alternative. Veniamo al dunque. Se accettiamo ed enfatizziamo la contrapposizione Noi/Loro, la separazione netta che ogni monoteismo richiede, nutriamo il conflitto etnico e rischiamo, arrivati ad un certo punto, di non riuscire più a tornare indietro, ognuno arroccato nella sua diversità. La presa emotiva che la questione identitaria esercita sull’umanità è fortissima. Dovremmo sforzarci di combattere contro la violenza ponendoci “Noi in mezzo agli Altri”, cercando di coinvolgere, come lei scrive la “brava gente”, senza farci ottenebrare dagli stereotipi e dalle fazioni politiche.
        Dopodichè è evidente che esiste un problema europeo di gestione dell’immigrazione, di controllo sociale e di accoglienza dei profughi. E siamo in bilico, siamo sull’orlo del burrone. Cosa vorrei? Azioni decise e coordinate contro chi commette reati violenti, rafforzamento degli interventi contro il traffico di esseri umani e politiche di accoglienza mirate soprattutto a proteggere donne e bambini che arrivano dalla guerra. Il problema è che non c’è a livello internazionale la capacità di collaborare, prevalgono gli interessi locali e ci sono poteri occulti che agiscono a tutti i livelli.
        Se può interessare un approfondimento antropologico, suggerisco un testo che io amo molto, “Contro l’identità”, di Francesco Remotti.

        Reply
    2. luca dalbosco on 11/01/2016 20:02

      La trave e la “pagliuzza”. Ovvero della violenza sulle donne.

      Nel 2014 in Italia sono stati commessi 152 femminicidi.
      L’assassino è quasi sempre un uomo: la percentuale è del 90 per cento.
      Prendendo in considerazione solo gli omicidi maturati in ambito familiare si sale al 92 per cento. Spesso il partner, spinto dalla gelosia o incapace di accettare la fine di una relazione.
      Nel 77 per cento dei casi l’omicidio avviene in ambito familiare.
      Il 59,3 per cento degli omicidi è stato compiuto dal coniuge o convivente della vittima.
      Una volta su cinque a macchiarsi del reato è stato un ex partner.
      La regione più interessata dal fenomeno è la Lombardia, con 30 casi.
      Seguono Lazio e Sicilia, che nell’anno passato hanno registrato 19 femminicidi.
      La provincia più violenta è Milano, con 14 vittime.

      E i nostri giornali scrivono paginate su Colonia.

      Reply
      • Gabriele on 12/01/2016 14:07

        Si ma questi erano ORGANIZZATI, capisci??
        Siamo su un piano totalmente diverso.

        Reply
      • Simona Meriano on 12/01/2016 16:31

        Io credo che la questione della violenza di genere non vada spezzettata ma presa nella sua complessità. Va vista nei molteplici aspetti culturali, psicologici e sociali. E’ importante riconoscere il continuum della violenza, cioè il filo conduttore che lega lo stupro come arma di guerra e la violenza come strategia politica di dominio del femminile in tempo di pace.
        Grazie per aver ricordato in poche righe lo stato della violenza a casa nostra.
        C’è un aspetto che andrà indagato con attenzione e cioè il legame tra violenza, intimità e tradimento. Lo analizza Appadurai parlando dei cruenti conflitti etnici del XX secolo (“Modernità in polvere” un suo lavoro molto interessante). Io ne ho fatto una trasposizione sul femminicidio e in effetti è proprio vero, la violenza contro le donne ha molto a che fare con l’intimità e con il tradimento (non importa se presunto o reale) . Nei casi che lei riporta, più la relazione è intima, più è forte il senso del possesso (il lato oscuro dell’appartenenza), più è alto il livello di violenza che si scatena contro la vittima quando quest’ultima cerca di sottrarsi a uno stato di dipendenza o cerca di separarsi.
        In tutti i casi, che sia violenza domestica o stupro etnico, la causa di fondo è sempre la stessa: l’oggettivazione del femminile.

        Reply
        • Vlad on 13/01/2016 00:25

          ma l’appartenenza non deve essere per forza possesso. Io credo molto nell’amore come appartenenza reciproca totale ma nel rispetto della libertà, fatta di passione e di fiducia reciproca che tiene a bada la gelosia e le impedisce di divenire soffocante. Chi uccide la ex no la ama, è uno che non sa o non vuole affrontare una legittima sofferenza

          Reply
          • Simona Meriano on 13/01/2016 10:57

            Ha perfettamente ragione. Il senso di appartenenza è sano quando è fondato sul rispetto e la parità. Il possesso è invece prevaricazione, mancanza di empatia e può trasformarsi in aggressività. Io sono certa che l’educazione affettiva nelle scuole, anche per insegnare il valore delle differenze sia fondamentale, proprio per prevenire la violenza. Purtroppo le resistenze e le opposizioni di molti rendono faticoso e difficile realizzare progetti di questo tipo.

            Reply
    3. Paola on 12/01/2016 14:26

      L’aggressione alle donne è gravissima, e io vorrei si andasse avanti da qui per porre l’accento sul fatto che noi donne siamo sempre, fin da bambine e per tutta la vita, oggetto di “aggressioni” più o meno pesanti, dalla mano che sfiora all’appoggio sull’autobus a cose ben più invasive. Una “normalità” alla quale ci abituiamo a non fare caso, a non denunciare per vergogna e pudore, ma che una buona volta andrebbe invece urlata e combattuta.
      Io però qui leggo una precisa determinazione politica che dà, con poca fatica e pochissima spesa, molta forza ai governi di destra. Secondo me bisogna guardare a entrambi gli argomenti in parallelo, senza perdere di vista nessuno dei due. Anche le società più protettrici delle donne, come quelle scandinave, si stanno chiudendo all’immigrazione e alla comprensione, ma il governo di destra non vuol dire solo meno immigrati.

      Reply
      • Simona Meriano on 12/01/2016 16:42

        Condivido la sua riflessione cara Paola, e penso anche io che ci sia una regia occulta. La violenza di gruppo è sempre organizzata. Certamente paghiamo sbagli fatti in passato nella gestione delle politiche di integrazione, ma quello che mi spaventa di più è vedere enfatizzato il conflitto etnico. Forse perchè ho studiato a lungo il caso della ex Jugoslavia e alcuni campanelli d’allarme sono inquietanti. Basterebbe guardarsi alle spalle ed evitare errori già fatti.

        Reply
    4. letizia on 13/01/2016 11:34

      Condivido l’analisi e mi chiedo come sia possibile che non ci siano tracce del fatto che l’attacco sia stato organizzato. Come si è diffusa la parola d’ordine ‘andiamo in piazza in massa e aggrediamo le donne’?

      Reply
      • Simona Meriano on 13/01/2016 18:12

        Un’ipotesi è quella di internet, lo stesso mezzo usato nel cyber bullismo per organizzare le violenze di gruppo. Speriamo che vengano fatte indagini serie e che si arrivi a fare chiarezza. Senza responsabili certi (mandanti ed esecutori) si continuerà a stumentalizzare i fatti, tra interpretazioni e rappresentazioni collettive.

        Reply
        • Letizia on 13/01/2016 19:40

          Lo stesso sistema usato dai black bloc insomma. Con una battuta si potrebbe dire che forse la ricerca andrebbe affidata ad Anonymous.

          Reply
          • Simona Meriano on 13/01/2016 20:36

            Certo la posta in gioco è altissima, difficile che le parti in causa che lottano x il potere arrivino alla verità.
            E poi temo che il risveglio dei nazionalismi faccia più presa sulla gente europea piuttosto che lotta contro la violenza sulle donne.

            Reply
            • Letizia on 14/01/2016 09:29

              Non sono facilmente impressionabile, ma temo l’effetto contagio. Penso anche che la componente sessuale evidenziata da queste azioni non vada tenuta separata da altri problemi che rendono la questione molto complessa: la sovrappopolazione del pianeta, la crisi economica e ambientale, la povertà. Vivo in una città, in una regione, con una forte immigrazione e con tanti ragazzi di seconda generazione nullafacenti. Non va bene. Ho partecipato recentemente ad un convegno in cui gli organizzatori hanno cercato di tenere insieme alcuni temi (femminismo, ecologismo e ambientalismo) nella convinzione che il sapere accumulato dai vari movimenti vada messo in comune. Condivido e trovo giusto però prendere le distanze dalle facili e strumentali interpretazioni, come hanno fatto le brave donne di Colonia che sono scese in piazza alcuni giorni dopo i fatti mettendo il sessismo al primo posto (Gegen Sexismus, Gegen Rassismus). La ringrazio per l’attenzione.

    5. Pingback: L’abitudine alla violenza – Una Ragazza Tranquilla

    6. Caterina on 15/01/2016 21:50

      Grazie Simona. Il commento più lucido e pertinente sui fatti di Colonia che io sia riuscita a trovare. Ha messo un po’ di ordine nel grumo di pensieri confusi e rabbia che sentivo e mi aiutato a trovare le parole e il contesto per capire meglio quello che è successo.

      Reply
    7. Pingback: Giù le mani dalle nostre donne – Simona Meriano – Il paese delle donne on line

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    Caterina Della Torre

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Protagoniste di una sfida femminile secolare che nessuna guerra potrà negare. Nessun futuro potrà prescinderne.

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La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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