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    Dol's Magazine
    Home»Pari opportunità»Parità di genere»Lo stupro è viltà, anche nostra
    Parità di genere

    Lo stupro è viltà, anche nostra

    Cristina ObberBy Cristina Obber11/05/2015Updated:30/06/2015Nessun commento4 Mins Read
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    stupro-vilta
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    Le donne che denunciano si vedono violate due volte, prima dall’aggressore, poi da un paese che si nasconde, vile

    Simone Borghese confessando lo stupro dice:
    “Il bus non arrivava, così ho deciso di prendere il taxi. Al volante c’era lei, le ho detto di portarmi a Ponte Galeria, ma durante il tragitto sono stato preso da un raptus”

    Dunque Borghese si ricorda proprio il momento in cui il raptus si è impadronito di lui, giusto con quel minimo di preavviso che gli avrebbe permesso di ricordarselo (verrebbe da dire Che culo!)

    Ecco cosa accade quando le parole vengono usate a sproposito nelle notizie di violenza sulle donne. A forza di pubblicare la parola Raptus tutti vi si appellano, alla ricerca di possibili attenuanti.

    Non era raptus quello di Carlo Lizzi che a Motta Livenza uccise moglie e figli, simulò un furto e poi andò a vedersi la partita con gli amici; non era raptus quello di Pasquale Iacovone, che uccise e diede fuoco ai suoi figli, Andrea e Davide, dopo infinite minacce alla moglie di sterminare la famiglia.

    stupratoreIl RAPTUS non esiste, ce lo dice con parole semplici uno psichiatra in questo articolo.

    Esiste la volontà di fare male, di imporre il proprio dominio.

    Lo stupratore 38enne che ho intervistato in Non lo faccio più (consiglio a tutti gli uomini grandi e piccoli di leggerlo), dice:
    “Più le ragazze erano giovani e più mi sentivo forte”.
    e poi, parlando della ragazzina di 15 anni:“ Mi piaceva l’idea di dominarla, di diventare crudo all’improvviso e spiazzarla”.

    Dominio, potere, altro che raptus.
    Un’occasione per sentirsi forti, questo è lo stupro.
    E su questa miseria dell’umano dovrebbero interrogarsi gli uomini, invece di svincolare sempre.

    A cominciare da chi si occupa di comunicazione, che si fa complice di un ristagno culturale su cui potrebbe invece intervenire con grandi risultati.

    Un esempio questo articolo uche ho trovato in rete di cui sottolineo alcune frasi:

    Padre di una bambina di 7 anni, con una vita in apparenza normale nonostante una separazione alle spalle.
    Questo “Eppure” ci dice che gli stupratori non sono padri ? Che non hanno vite in “apparenza normali?
    La maggior parte degli autori di violenza è italiano, con vita “in apparenza normale”.
    Quel “nonostante una separazione” ci dice che dopo una separazione la vita è allo sbando e si esce dalla “normalità”?
    Non mi risulta che essere separati significhi divenire pericolosi per l’incolumità degli altri.

    e poi:

    Il profilo Facebook di Simone Borghese, chiuso poco dopo il suo arresto, raccontava di un ragazzo normalissimo con foto semplici.
    Dobbiamo stare attenti a quelli col profilo non “normalissimo”, con foto complicate, che so’, teste sgozzate o cieli squarciati dai fulmini”?

    e poi:

    Appena l’8 marzo, festa delle Donne, dedica “un vi amoooo alle donne più importanti della mia vita”. Un insospettabile, che però si è reso autore di un reato abominevole.
    Se per uno contano le donne più importanti della sua vita è meno probabile che faccia violenza a tutte le altre? E conta quante “o” ci si mette in quel amoooo? Più “o” ci metto più sono insospettabile?

    Il 70% circa delle violenze sulle donne è agito da uomini con vite qualunque, da quelli che questo articolo -come tanti altri- considera “insospettabili”.

    Se continuiamo ad associare la violenza alla delinquenza restiamo fuori strada.
    Questo stupro si inserisce in un contesto culturale che considera prevedibile/comprensibile anche la violenza sessuale.

    Fu Silvio Berlusconi a pronunciare questa frase: “Un caso di questo genere può sempre capitare” e poi “…dovremmo avere tanti soldati quante sono le belle ragazze italiane, credo che non ce la faremo mai”.
    Parole gravissime pronunciate da un presidente del consiglio, parole per cui nessuno gli chiese di dimettersi, parole condivise da molti cittadini e cittadine comuni.

    Parole che ci rimandano ancora ad un immaginario della sessualità maschile legato a un impulso incontenibile e incontrollabile, parole che dovrebbero offendere anche gli uomini, che invece stanno zitti.

    E intanto i Simone Borghese non si ricordano, non volevano, non gli è “mai successa una cosa del genere”, e così le donne che denunciano si vedono violate due volte, prima dall’aggressore, poi da un paese che si nasconde, vile.

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    Cristina Obber
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    Cristina Obber è nata a Bassano del Grappa il 9 novembre 1964. Iscritta all’ Ordine dei giornalisti, ha collaborato per cinque anni con un quotidiano vicentino. Nel 2008 ha pubblicato “Amiche e ortiche” con Baldini Castoldi Dalai, affresco dolce-amaro dell’amicizia al femminile. Nel 2012 ha pubblicato un libro sulla violenza sessuale, "Non lo faccio più" ed. Unicopli che ha dato vita ad un progetto scuole e al blog nonlofacciopiu.net. Nel 2013 ha pubblicato per Piemme editore il libro Siria mon amour, storia vera di una 16enne italo-siriana che si è ribellata ad un matrimonio combinato. Nel biennio 2009-2010 ha pubblicato con Attilio Fraccaro editore “Primi baci” e “Balilla e piccole italiane”, due libri in cui ha raccolto ricordi del primo bacio e ricordi del mondo della scuola nella prima metà del novecento. Collabora con Dol’s, il sito delle donne on line da svariati anni. Si occupa di tematiche legate ai diritti. Il 25 novembre 2011, giornata internazionale contro la violenza sulla donna, esce il suo primo e-book dal titolo La ricompensa (edito da Emma books), che si apre con una citazione di Lenny Bruce: La verità è ciò che è, non ciò che dovrebbe essere. Il suo ultimo libro è ''L'altra parte di me’’, edito da Piemme, una storia d’amore tra adolescenti lesbiche.

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