Nuove norme approvate dalla Camera su quell’orrendo crimine che risponde al nome di femminicidio
Le nuove norme approvate dalla Camera su quell’orrendo crimine che risponde al nome di femminicidio fanno nascere qualche speranza in più, relativamente alla tutela delle potenziali vittime.
Peccato che ancora una volta rischino di rappresentare solo un palliativo al vero problema insito nei rapporti spesso falsati e mistificati tra individui rivelatisi poi incompatibili (generalmente si tratta di un uomo e di una donna, ma – lasciatemelo dire in tutta franchezza – talvolta anche di due donne, purtroppo!).
Va infatti considerato che la complessità del fenomeno non va letta e interpretata quasi solo ed esclusivamente in chiave giuridico-sociale, benchè, ovviamente, questo aspetto sia importantissimo ai fini della deterrenza del
reato e della conseguente punizione prevista per i colpevoli.
Ben vengano gli incentivi alla denuncia da parte delle vittim
e; ben vengano anche le garanzie di tutela per chi decide di rivolgersi alle istituzioni nel tentativo di sottrarsi ai maltrattamenti.
Ciò potrebbe tuttavia non essere affatto sufficiente senza una debita e incessante campagna informativa atta a rafforzare nelle masse la
consapevolezza di una legittima dignità individuale e personale, a prescindere da ogni singolo genere di appartenenza.
Finchè continueranno a esistere donne capaci di “giustificare”, in un certo senso, il proprio carnefice per le ragioni più disparate (del tipo: “resta pur sempre il padre dei miei figli”, “non era un individuo violento, prima”, “sono io che ho sbagliato, quindi ora non ho il diritto di lamentarmi” ecc) non si potranno mai registrare iniziative contrastanti di vero successo.
Alle restrizioni imposte dalle misure legali e giudiziarie andrebbe parallelamente affiancata una forte operazione educativa in grado di
raggiungere tutte – ma davvero tutte – le coscienze, affinchè veramente si possa combattere la violenza ad armi pari.
La connivenza, la complicità insomma, se non addirittura l’omertà che troppo spesso ancora caratterizzano una certa parte della popolazione femminile (prevalentemente individuabile nelle fasce sociali di estrazione medio-bassa) non aiuta a migliorare la situazione. Anzi, rende vano ogni sforzo in tale direzione.
E’ bene non dimenticare quante donne oggi continuano a vivere nel terrore e nel silenzio, giorno dopo giorno, in attesa che nelle loro tristi vite subentri un ipotetico miracolo di modo che, come d’incanto, tutto possa all’improvviso cambiare. Costoro – c’è da scommetterlo – non ammetterebbero mai la condizione di schiavitù psicologica in cui versano, nel timore di aggravare il
tenore della loro già grama esistenza.
Per molte, purtroppo, la sottomissione al maschio resta un “must” incontrovertibile, una sorta di pesante bagaglio di tradizioni culturali, un bieco retaggio di convinzioni intimamente coltivate, alimentate, profondamente assimilate e in seguito tramandate generazione dopo generazione.
Cambiare le mentalità localmente imperanti, cos’ profondamente radicate – va da sè- è tutt’altro che facile. Rimane però pur sempre la speranza che a forza di essere esortate e incoraggiate alla riflessione e all’autostima, anche quelle donne che in questo istante si sentono condannate alla sofferenza perpetua (“finchè morte non vi separi”!) possano trovare nel profondo del loro animo lo stimolo necessario per rinascere a un futuro diverso.
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“E’ bene non dimenticare quante donne oggi continuano a vivere nel terrore e nel silenzio, giorno dopo giorno, in attesa che nelle loro tristi vite subentri un ipotetico miracolo di modo che, come d’incanto, tutto possa all’improvviso cambiare. Costoro – c’è da scommetterlo – non ammetterebbero mai la condizione di schiavitù psicologica in cui versano, nel timore di aggravare il tenore della loro già grama esistenza.”
Posto che sono d’accordo praticamente su tutto quello che scrivi, perchè il problema è di natura sociale e culturale, la condizione di schiavitù psicologica non può essere, per definizione, ammessa dalle vittime, che pure sono di vario tipo. Come ho scritto nella mia storia, la violenza psicologica annienta l’identità stessa, in un vortice di azioni del carnefice che progressivamente ti fanno il vuoto intorno (l’assenza di una famiglia vicina e forte o di amici concreti può essere una condizione favorevole) e ti svuotano di autostima.
E’ anche vero che esistono donne alle quali piace e alle quali sembra doveroso essere a disposizione delle necessità maschili… banalmente le suocere, in generale… non me ne abbiate, sempre caustiche nel giudicare la donna che non fa abbastanza per la casa o il marito… facendola sentire perennemente controllata e giudicata. Non è di molti giorni fa questa battute che non vi dirò da chi è stata detta :” eh.. se l’ha violentata vuol dire che lei ci stava… una donna non si fa violentare…” … Finchè una donna riesce a dire cose simili… possiamo pensare che questa strage finisca?
Finchè penseremo che una donna in minigonna se l’è cercata…. noi stesse, noi donne… dando una giustificazione ad un delitto vergognoso! potremo giudicare moralmente… forse, secondo i nostri canoni di comportamento.. forse… ma quella donna che va in giro “conciata così” … si mette in mostra perchè vuole scegliersi la sua opportunità, … non perchè desidera essere violentata, obbligata, senza possibilità di scelta. Questi pensieri di donne mi fanno pensare che …. la violenza psicologica sia millenaria e somatizzata….
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Giustissimo.
Proprio per questo, proprio perché la radice del problema risiede nell’errato modo di rapportarsi fra i sessi e nella mancata consapevolezza della propria dignità, è necessario adoperarsi attraverso un’opera capillare di prevenzione che coinvolga ragazzi e ragazze, nell’età della formazione, affinché siano educati all’amore e non alla violenza (verso sé stessi e verso l’altro/a).