di Luciano Anelli
Nonostante il nostro sia un Paese civile e sviluppato, non è ancora maturo per offrire possibilità a chiunque sia meritevole e capace.
Nell’ambito del manifestazione “Lector infabula (Parole in festival) svoltosi a Conversano (BA), si è discusso di “parole smarrite, parole da (re) inventare” ed il giorno 15 settembre di Uguaglianza con Chiara Saraceno ed il suo libro “Cittadini a Metà”.
Chiara Saraceno è professore ordinario di sociologia della famiglia presso la facoltà di scienze politiche di Torino, dove insegna anche un corso su “genere e società”. Fino a maggio 2005 ha coordinato il dottorato di ricerca sociale comparata e per sette anni, fino a dicembre 2005, ha presieduto il Centro interdisciplinare di studi delle donne di quella università. Al momento è in congedo dalla Università di Torino ed è professore di ricerca presso il Wissenschaftszentrum Berlin für Sozialforschung (WZB), con il compito di sviluppare ricerche sui temi dell’impatto delle
tendenze demografiche sul mutamento sociale e la formazione di capitale sociale. Fa parte del network di eccellenza EQUALSOC, finanziato dall’Unione Europea, all’interno del quale coordina il gruppo di ricerca “Family and Social Networks”. Fa parte inoltre dell’advisory board di altri due network di eccellenza europei.
Fa parte del comitato editoriale di “Stato e Mercato”, “European Sociological Review”, “European Societies”, “SocialPolicy & Administration”, “Retraite et Societé”, “Sociologia. Problemas y
Praticas”. Per diversi anni ha fatto parte della Commissione di Indagine sulla Povertà e l’esclusione sociale
presso la Presidenza del Consiglio e dal 1999 al 2001 ne è stata la presidente.
Nel suo libro affronta la situazione attuale in Italia sulle Donne, sulla Famiglia, sul Welfare e sulla Laicità.
Davanti alla legge – ma anche alla scuola, al lavoro, alla pensione, alla politica, alla nascita e alla morte, all’infanzia e alla vecchiaia – non siamo tutti uguali. In Italia i divari salariali tra uomini e donne sono più elevati che nella maggior parte dei Paesi europei, e le donne sono di fatto escluse dai ruoli di potere. I giovani scontano a caro prezzo la flessibilità di un mercato del lavoro privo di un adeguato sistema di protezione sociale. La crisi ha colpito le fasce economicamente più deboli e l’altissima pressione fiscale non è compensata da una redistribuzione efficace. Anzi, siamo ai primi posti nella graduatoria dei Paesi dove la sperequazione tra ricchi e poveri è maggiore ed è aumentata la sperequazione negli ultimi tempi.
Uno Stato che ha delegato il welfare alla solidarietà familiare e le scelte sui grandi temi della vita e della morte alla Chiesa cattolica, che non investe nei piccoli e non protegge i vecchi non autosufficienti, fatica a riconoscere diritti agli immigrati, è frutto di una democrazia debole e di una cultura politica e civile dove maschilismo, familismo e razzismo formano una miscela esplosiva. Eppure, in questi anni duri, i cittadini a metà hanno continuato a esprimere la loro voglia di dissentire, di contare, di condividere diritti e responsabilità. È, la loro, una disponibilità preziosa che va riconosciuta e coltivata perché porta in sé la forza di reagire, e il respiro per affrontare le sfide che li attendono.
Chiara Saraceno ha scritto su Repubblica.it il 14 febbraio scorso: “Il problema centrale della democrazia italiana non è tanto la forte disuguaglianza nei risultati, nei punti di arrivo, quanto il peso che hanno su questi ultimi, quindi sui destini individuali, le disuguaglianze socialmente strutturate nelle condizioni di partenza, nelle risorse- materiali, culturali, di riconoscimento- necessarie non solo per sviluppare appieno le proprie capacità, ma per fare in modo che queste vengano riconosciute.” Il principio costituzionale dell’uguaglianza sembra quindi non essere per niente tenuto in considerazione. In più questa disparità di possibilità, insieme alla diversa possibilità di influenza sulle condizioni di vita proprie e altrui, porta all’esistenza di cittadini di serie A e cittadini di serie B. Il fatto che questa distinzione dipenda non molto dalle caratteristiche individuali, quanto dalla differenza di status sociale del gruppo a cui si appartiene, fa della nostra democrazia una democrazia bloccata: donne, immigrati, appartenenti a minoranze etniche o religiose, insomma, coloro che non rientrano negli standard, hanno sempre possibilità in meno per realizzare i propri progetti di vita. C’è qualcosa nell’ingranaggio della democrazia che non funziona. Nonostante il nostro sia un Paese civile e sviluppato, non è ancora maturo per offrire possibilità a chiunque sia meritevole e capace.
Ognuno, dei giovani, donne, immigrati, poveri non possono contare sulla forza del passato, né sui dettami della Costituzione, ma deve reagire con le loro forze e presto.
1 commento
facciamo del nostro meglio e continueremo senza scoraggiarci, anche se talvolta …è proprio difficile.