Il tumore al seno colpisce la femminilità, la sfera più intima di una donna e accettare di “scendere” a patti con tutto ciò è complicato.
Un’esperienza che le ha lasciato segni sul corpo e nella psiche, ma che, nonostante tutto, l’ha resa “migliore”.
Ne è convinta Giovanna, nata quarantotto anni fa in un piccolo centro della Puglia, che, alla Redazione di Voglio Vivere Cosi, ha raccontato come è cambiata la sua vita dopo la scoperta di un tumore maligno al seno. Aveva quattro anni di meno.
Ci racconta cosa è successo quattro anni fa?
Era il primo controllo mammografico, ricordo perfettamente la data: 30 Novembre 2006 e tutti i segnali che, dopo, ho potuto interpretare. Avevo infatti prenotato molto tempo prima e mi avevano dato la prima data possibile a metà dicembre. Invece, il 29 Novembre mi hanno chiamata, avvertendomi che si era liberato un posto per il giorno dopo. Sono andata al controllo piuttosto tranquilla, certo con la “giusta” ansia che qualsiasi controllo medico t’induce. E’ stato durante l’ecografia che la dottoressa che mi stava visitando ha detto che forse c’era qualcosa che non andava.
Cosa ha provato in quel momento?
Smarrimento e incredulità, la sensazione di stare vivendo un bruttissimo sogno. Il tutto “peggiorato” anche dall’atteggiamento del medico che non mi ha guardata negli occhi quando mi ha comunicato la notizia e mi ha consegnato una busta chiusa: dentro il “verdetto”, terribile, con un punto interrogativo e non ho avuto altre spiegazioni.
Poi cosa è successo?
Dopo lo sbalordimento e l’incredulità ho dovuto affrontare la realtà senza lasciarmi prendere dallo sconforto e dalla sfiducia. La prima cosa che volevo fare era capire.
A quel punto, cosa ha fatto?
Sono andata presso la Senologia diagnostica del Policlinico di Bari, dove una dottoressa non solo preparata, ma anche capace di relazionarsi in modo corretto, mi ha spiegato quale fosse la reale entità del problema e quale sarebbe stato il percorso, che chiaramente prevedeva l’operazione chirurgica.
Poi?
Ho deciso di operarmi a Milano presso lo IEO (Istituto Europeo di Oncologia) del Professor Veronesi. Il 20 Dicembre 2006 mi sono ricoverata Il giorno successivo mi hanno operata e il 22 sono stata dimessa. L’operazione non è stata invasiva (tecnicamente una quadrantectomia) e la prima cosa che ricordo appena sveglia dall’anestesia sono state le parole del medico, che mi ha detto “i linfonodi sono negativi”.
Cosa significava?
Che il tumore era circoscritto e non aveva invaso in modo irreparabile. Nel mese di Gennaio ho iniziato le cure specifiche e, grazie alla situazione generale buona, non ho fatto chemioterapia, ma solo radioterapia e ormonoterapia.
Come è cambiata la sua vita dopo quel momento?
Sono passati più di quattro anni, ma non c’è una sola giornata, un solo minuto che questo “evento” non sia presente, spesso di sottofondo, alcune volte ancora con “invadenza”, nella mia vita. Non mi riferisco alla condizione fisica, che per fortuna è ottima, ma a una condizione psicologica che è completamente cambiata rispetto a “prima”.
In che senso?
Una delle cose più difficili è stato dirlo a famiglia e amici e leggere negli occhi di alcuni pietà, impotenza, e paura. A volte mi sono sentita paralizzata dalla solitudine. Ma ho avvertito anche, da parte di molti, calore, tenerezza, una carezza che conforta. La malattia, e soprattutto questo tipo di malattia, mette allo “scoperto” le proprie e le altrui fragilità, per cui è chiaro che da parte di alcuni c’è stata una reazione quasi di “paura”, ma devo dire che la gran parte delle persone più vicine a me , sono state presenze solide e forti. Certamente da parte mia, almeno nei primissimi mesi, c’è stata un’ipersensibilità che mi ha portato, spesso, a ingigantire parole o situazioni, ma questo fa parte di quelle fragilità venute allo scoperto.
A cosa si è aggrappata?
La famiglia, i miei nipotini, gli amici, sono stati, comunque, solidi punti di riferimento, ma credo che nei momenti difficili la forza, le risorse, la speranza bisogna soprattutto trovarle in se stesse. Ed è quello che ho cercato di fare io!
In questo contesto uno degli aspetti più critici e che più mi ha fatto soffrire, e rispetto al quale sto pagando ancora le conseguenze, è stato il lavoro.
Perché?
Avevo un incarico come esperta per il Ministero dello Sviluppo Economico. Per farle capire cosa sono stati quei momenti le riporto uno stralcio dell’elenco che avevo mandato alla trasmissione “Vieni via con me e che parla proprio del lavoro, dopo il cancro:
“Il lavoro Avere un contratto a progetto e sperare nella comprensione del tuo datore di lavoro e dei tuoi colleghi;
Sapere di avere intelligenza, competenza, rigore per adempiere i compiti che ti sono stati affidati, e confidare che ti diano il tempo di farlo, mentre combatti per guarire;
Capire, amaramente, che la fragilità e la malattia non sono contemplate nel mondo del lavoro, soprattutto in quello precario, e che il tempo non ti è stato concesso. E allora devi ricominciare tutto daccapo;
Sentirti in colpa e fuori gioco e piena di rabbia perché il destino ha deciso che ti dovevi fermare un giro, prima di riprendere il cammino;
La caparbietà nel continuare a cercare, anche quando ogni tentativo di trovare un nuovo lavoro fallisce, ma anche la stanchezza perché non trovi, perché le porte sono chiuse … e alla fine decidi di non cercare più.
Ora di cosa si occupa?
Attualmente lavoro in proprio, e ho aperto una società di consulenza con mio fratello. Supportiamo imprese ed enti pubblici nella preparazione d’istanze. Quindi studi di fattibilità, ricerche per usufruire delle opportunità di finanziamenti/ contributi/ formazione, offerti a livello europeo, nazionale e regionale. E’ stata durissima, e lo è ancora per certi aspetti, ma sto guardando con maggiore fiducia al futuro, anche questa volta contando soprattutto su me stessa!
Un lato positivo, solo uno, che le ha regalato la malattia?
La maggiore consapevolezza di quello che sono e di quello che posso fare. Forse ora sono più attenta ad“ascoltarmi” e cogliere non solo i segnali del corpo, ma anche quelli dell’anima, della mente, dell’immateriale. Credo di essere una persona migliore ora, nonostante tutto…!
Ricominciare a vivere. Cosa significa?
Non ho mai smesso di credere fortemente alla guarigione e non solo mi sono impegnata a seguire la cura medica, ma, soprattutto, ho mutato in parte il mio stile di vita: non mangio più carne, faccio attività fisica ogni giorno, curo moltissimo l’alimentazione, evito di prendere farmaci, se non quelli strettamente e obbligatoriamente necessari.
Il percorso non è stato facile, soprattutto perché non riuscivo ad accettare che fosse capitato proprio a me. Il tumore al seno colpisce la femminilità, la sfera più intima di una donna e accettare di “scendere” a patti con tutto ciò è complicato. Giorno dopo giorno si riconquista la voglia di vivere, ma si deve iniziare un percorso di ri-accettazione di se stesse! Per spiegarmi ancora una volta ricorro all’elenco mandato a Vieni via con me:
Capire che ce la puoi ancora fare:
Quando ri-provi, come un bambino all’inizio dell’esistenza, la gioia di vivere e la annusi e la tocchi: nella famiglia, negli amici, nella natura, nel piacere infinito che dà leggere un buon libro, vedere un film.
Quando scopri di volere, ancora un mondo migliore e dedichi un po’ del tuo tempo a combattere le battaglie civili in cui credi: allora, quando ricominci a interessarti alle sorti del mondo, capisci che stai per riappropriarti della tua vita.
Quando comprendi che, nonostante tutto, sei stata fortunata e sei viva, quindi hai ancora il diritto di sperare e di lottare.
E’ completamente guarita?
Sto bene, sono costantemente sotto controllo, ma è oramai parte della mia routine quotidiana. Credo di essere più “lucida”, più analitica, e più tollerante.
I miei valori sono stati rafforzati da questo percorso e continuo a considerare importanti le cose in cui ho sempre creduto: la solidarietà, la tolleranza, l’apertura mentale, la lealtà, la fiducia.
Guardo avanti sempre e, alla fine, mi considero fortunata, perché ho potuto “toccare” il fondo, ma anche sperimentare quanto è bello “risalire”.