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    Home»Vie e disparità»LE RESISTENTI SULLE STRADE DEL VENETO – parte terza
    Vie e disparità

    LE RESISTENTI SULLE STRADE DEL VENETO – parte terza

    DolsBy Dols25/04/2017Updated:25/04/2017Nessun commento4 Mins Read
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    LE RESISTENTI SULLE STRADE DEL VENETO –  PARTE TERZA

    di Nadia Cario
    img8

    Leonilde Iotti (Reggio nell’Emilia 10.0.1920 – Roma 4.12.1999)

    Insegnante, dirigente comunista, prima donna in Italia nominata Presidente della Camera dei deputati.
    Insegnante all’istituto tecnico industriale di Reggio Emilia, dopo l’8 settembre 1943, entra nelle file della Resistenza operando nei “Gruppi di difesa della donna” che, anche nella provincia di Reggio, hanno dato un grande contributo alla lotta contro i nazifascisti. Dopo la Liberazione, la Iotti è segretaria dell’UDI a Reggio E. Nel ’46 viene eletta al Consiglio Comunale come indipendente nelle liste del PCI e, dopo aver maturato la propria iscrizione al partito, il 2 giugno dello stesso anno è eletta all’Assemblea costituente. E’ stata protagonista delle battaglie civili. Nel 1955 era stata la prima firmataria di una proposta di legge per istituire una pensione e un’assicurazione per le casalinghe. Nel 1974 aveva partecipato attivamente alla battaglia referendaria in difesa del divorzio. L’anno dopo promosse la legge sul diritto di famiglia. Nel 1978 contribuì a far approvare la legge sull’aborto.

    img9Vittoria Nenni (Ancona 3.10.1915 – Auschwitz 15.7.1943)
    Dopo l’invasione tedesca della Francia, Vittoria che lì vive con il marito francese, entra nella Resistenza. Nel 1942, viene arrestata dalla Gestapo con l’accusa di aver stampato e diffuso manifestini antinazisti e di avere svolto con il marito, “propaganda gollista antifrancese”. Vittoria viene deportata nel campo di Romainville il 23 gennaio 1943. Ad Auschwitz, si unì al gruppo dei comunisti francesi. Con loro condivise la durezza della deportazione e, ammalatasi gravemente non sopravvisse. Sulla teca che ad Auschwitz ricorda Vittoria Nenni, sono scritte le sue ultime parole: “Dite a mio padre che non ho perso coraggio mai e che non rimpiango nulla”.

     

    img10Lina Merlin (Pozzonovo 15.10.1887 – Padova 16.08.1979)
    Insegnate nelle scuole medie, si oppose al primo conflitto mondiale (nel quale persero la vita due suoi fratelli), e nel 1919 s’iscrisse al PSI collaborando ai fogli socialisti L’eco dei lavoratori e La difesa delle lavoratrici. Durante il regime, per essersi rifiutata di prestare il giuramento fascista, fu dimessa dall’insegnamento. Arrestata a più riprese, nel 1926, per la sua attività antifascista, fu condannata a cinque anni di confino che li scontò in Sardegna. Dopo l’8 settembre 1943, prende parte alla guerra di liberazione nelle file della Resistenza. Comincia donando ai partigiani la strumentazione tecnica e i manuali lasciati dal marito medico; prosegue raccogliendo fondi e vestiario per i patrioti e, organizza i “Gruppi di difesa della Donna”. Dopo la Liberazione, Lina Merlin, entrata nella Direzione del Partito socialista, è tra le fondatrici dell’UDI (Unione Donne Italiane). Eletta alla Costituente, si deve a lei se l’articolo 3, oltre che recitare “Tutti i cittadini… sono uguali davanti alla Legge”, precisa anche “senza distinzioni di sesso”.

    img11Irma Bandiera (Bologna 8.04.1915 – Meloncello 14.08.1944)
    Insignita della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.
    Di famiglia benestante, il suo amore per la libertà la spinse a schierarsi contro gli oppressori. Staffetta nella 7a G.A.P., divenne presto un’audace combattente, pronta alle azioni più rischiose. Fu catturata dai nazifascisti, a conclusione di uno scontro a fuoco, mentre si apprestava a rientrare a casa, dopo aver trasportato armi nella base di Castelmaggiore della sua formazione. Con sé aveva anche dei documenti compromettenti e per sei giorni i fascisti la torturarono, senza riuscire a farle confessare i nomi dei suoi compagni di lotta. L’ultimo giorno la portarono di fronte a casa sua: “Lì ci sono i tuoi – le dissero – non li vedrai più, se non parli”, ma Irma non parlò. I fascisti infierirono ancora, accecandola e poi la trasportarono ai piedi della collina di San Luca, dove le spararono. Nella motivazione della massima onorificenza militare italiana, è indicata come “Prima fra le donne bolognesi ad impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà… “.

     

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