di Ari Aster
con Austin Butler, Emma Stone, Pedro Pascal, Joaquin Phoenix
Se hai l’ambizione di raccontare il caos del mondo di oggi ma non sei così presuntuoso da volerlo anche spiegare, il risultato non può che essere un film caotico. Qua e là confuso. A volte sovraccarico. Ma alla fine contemporaneo, intelligente e che centra il bersaglio, portando lo spettatore a identificarsi spesso nella vicenda.

Ari Aster è un cineasta fatto a modo suo, molto originale, contiguo all’horror e al sorprendente che ha trovato il suo attore feticcio, Joaquin Phoenix che lo ricambia con uguale affetto e sintonia.

La data in cui è ambientata la storia non è scelta a caso: maggio 2020. I primi mesi di quella pandemia (rimossa) che ha travolto il mondo intero facendolo precipitare in uno scenario da fantascienza e avvicinando, pour l’espace d’un matin, tutta l’umanità. Le persone si sono sentite affratellate, vittime della stessa tragedia. In ogni angolo del pianeta si provava la stessa angoscia, ci si interrogava nello stesso modo su come sopravvivere e si procedeva a tentoni, cercando di individuare soluzioni per uscire dall’incubo.

Mesi (anzi, ahimè, anni) che hanno avvicinato per un certo verso le persone ma al tempo stesso hanno esasperato le contraddizioni di un’esistenza che si modificava rapidamente. Anche perché una delle ricadute più clamorose del lockdown è stata quello di accelerare la dipendenza dalla tecnologia che è diventata totalizzante: per molti Internet è stato a lungo l’unico interlocutore e forse proprio da quei giorni abbiamo cominciato a essere perennemente connessi.

Siamo, appunto, nel maggio 2020, in una cittadina del New Mexico. Nella realtà è Truth or Consequences, un piccolo avamposto nella Contea di Sierra con 6.000 abitanti, che nella finzione cinematografica diventa Eddington.

Joe Cross, lo sceriffo locale (Joaquin Phoenix) si scontra con il sindaco Ted Garcia (Pedro Pascal). Se vogliamo definirli politicamente potremmo dire che il primo è conservatore e il secondo progressista, ma come ogni tentativo di classificare qualcosa o qualcuno nel film di Ari Aster, anche questo inciampa nella “marmellata” del contemporaneo che non consente più di incasellare le persone in maniera definita. Joe vive con la moglie (Emma Stone) depressa e fuori fase, forse per un’antica molestia, con loro la suocera che il Covid ha spinto nella deriva più complottista: è sempre attaccata al computer e pontifica a vanvera raccontando questioni improbabili, in cui ha un ruolo anche un giovane predicatore.
Garcia, in corsa per farsi rieleggere, punta sulla modernizzazione: propone di accettare che un nuovo centro dati di intelligenza artificiale si insedi nel loro territorio. Portando ricchezza, sostiene e molti son d’accordo con lui, facendo solo il gioco dei potenti, dicono altri, fra cui lo sceriffo e assorbendo molte energie, compresa l’acqua. Joe, per amore di giustizia e per antichi rancori (forse è proprio Ted ad avere traumatizzato sua moglie) decide di sfidare il sindaco uscente e scendere in campo.

E non è finita, perché proprio in quel periodo l’America è sconvolta dall’omicidio di George Floyd (“Non riesco a respirare) che dà l’avvio a una serie di rivolte in tutti gli stati che arrivano anche a Eddington, coinvolgendo soprattutto i più giovani che aderiscono al movimento Black Lives Matter, qualcosa che assomiglia al movimento ProPal dei nostri giorni.
In questo scenario affollato, fra pandemia, elezioni e rivolte giovanili, senza dimenticare le vicende private dei protagonisti, il film tesse la sua trama, in situazioni dove tutti hanno ragione forse perché nessuno ha ragione. Le mascherine hanno senso in una cittadina dove non c’è neanche un caso di Covid? Ed è giusto che un uomo asmatico impossibilitato a respirare con la mascherina, sia obbligato a indossarla, pena il divieto di ingresso nel supermercato? Avere dubbi sull’apertura di un grande centro di AI significa essere reazionari? E i ragazzini bianchi che non osano parlare in una terra che ritengono rubata ai nativi hanno davvero ragione? Essere bianchi è una colpa?
A ogni snodo della trama i dubbi dello spettatore aumentano, uno degli aiutanti del sindaco è nero e se veste la divisa davvero sta tradendo la sua gente, come dicono i Black Lives Matter?
Man mano che si procede si coglie l’assurdità di certe situazioni, di certe parole d’ordine, di alcuni comportamenti, ma è difficile sbrogliare le ragioni degli uni e quelle degli altri, perché più si cerca di farlo, più si precipita nell’irrazionale. E sorge il dubbio che la nostra cultura sia spaventosa e pericolosa nei suoi fanatici estremismi e nella sua totale schematicità. Il buon senso è passato di moda? Infine, il nostro mondo è più catastrofico o ridicolo? E se fosse solo stupido?

Eddington, nel suo tentativo di rappresentare i nostri tempi ha qualche somiglianza con il film di Paul Thomas Anderson, Una battaglia dopo l’altra, ma se quello è in fondo tradizionale, Ari Aster imprime al suo una fortissima modernità. Il modo di far interagire le persone con la tecnologia rende telefoni, computer e tablet simili a protesi che non vengono semplicemente usati, ma si insinuano quasi nella carne. Non ho preso nota con sufficiente concentrazione ma direi che sono pochissime le inquadrature in cui non compaia un telefono o un computer. E anche la comunità di nativi americani che confina con Eddington non si sottrae alle ossessioni di cui gli altri sono ostaggio.
Un western dove alle pistole e ai fucili si affiancano i telefoni, arme letali non meno pericolose delle pallottole, un tentativo di mostrare il mondo come è, con sprazzi di umorismo nero e lo sgomento di non trovare soluzioni. Un mondo dove la logica cozza contro le leggi e dove l’ordine sociale è sempre più fragile.

Benvenuti nel pianeta del post Covid. Se riuscite a capirlo, se sapete orizzontarvi fra le rivolte sociali degli anni Sessanta e i movimenti di oggi, se avete risposte, be’, fatelo sapere a Aris Aster. Lui si è a segnalare che stiamo perdendo il controllo della nostra società.