Un film di Pascal Bonitzer
con Alex Lutz, Léa Drucker, Nora Hamzawi, Louise Chevillotte
nelle sale dall’8 maggio
Succede sempre più raramente di vedere un film che ti apre il cuore, senza essere sdolcinato e che non ha bisogno di far leva sui “facili, abusati, buoni sentimenti”. Un film che non gioca sull’ansia (come accade per troppe serie televisive). Un film dove il mondo, pur rappresentato con tutte le sue contraddizioni, non è così brutto come spesso ci troviamo a pensare. Un film con personaggi che fanno i conti con i loro difetti, ma dove, alla fine, a vincere è il lato positivo dell’esistenza. Insomma un film che racconta una bella storia con al centro belle persone. Che sollievo! Un film dove se in una scena sul finale il ciglio ti si inumidisce non ne provi imbarazzo e anzi sei contenta. Quasi orgogliosa. Perché forse anche tu credi nelle belle persone.

Siamo nel mondo delle case d’asta, che mette in capo milioni nel sofisticato, competitivo mercato internazionale delle opere d’arte. André è il banditore di una di queste e ogni istante della sua vita, anche in privato, è toccato dalla raffinatezza del suo mestiere. Al suo fianco da poco c’è Aurore, una stagista spigolosa che l’uomo cerca di domare, senza riuscirci. La ragazza è sveglia e ribelle, bugiarda anche quando dice l’ora, con un passato tutto da scoprire. Un giorno André riceve una lettera e già questo è strano in un’epoca dove tutti usano le mail o i social. La mittente è un’avvocata che vorrebbe la sua consulenza: nella casa di un giovane operaio è stato ritrovato un dipinto che potrebbe essere di Egon Schiele.
Scettico, André chiede aiuto alla collega e ex moglie Bertina. Anche se non ci credono, anche se la possibilità che il dipinto sia davvero di Schiele è quanto mai remota, sarà un falso, ripetono fra loro, la coppia si reca a Mulhouse, dove si trova la tela.

L’intreccio si arricchisce, la famiglia ha scoperto il quadro nella casa che ha ottenuto con l’acquisto di una (sudata) nuda proprietà. Si tratta di gente semplice, pulita, con pochi mezzi, una madre sfiancata dalla vita e il figlio, un operaio dall’anima pura a cui toccano in fabbrica i turni di notte. Persone molto più limpide di tutti gli avvoltoi che popolano il mercato internazionale dell’arte, universo quanto mai lucroso se sai farci. E spesso i guadagni arrivano a chi non si fa scrupolo di usare ogni mezzo, anche quelli al limite del lecito.
La storia del ritrovamento de “I girasoli”, un dipinto di Egon Schiele disperso nel 1939 nel caos delle spoliazioni naziste e delle distruzioni della cosiddetta “arte degenerata” è vera, anche se ovviamente nel film è stata romanzata e i veri protagonisti sono stati protetti. L’adattamento è ben fatto, perché la cronaca si amplia, muovendosi dal passato al presente. Non solo, ma con intelligenza e rigore il film prende spunto dalla vicenda per interrogarsi su temi profondi. Dal valore dell’arte al senso di un’opera, dall’importanza della storia e della memoria all’etica individuale.
I tre protagonisti, André, l’ex moglie e la stagista sono ben delineati, con tutte le loro fragilità e le inaspettate generosità messe a fuoco. Molto bravi gli attori, tutti duttili e in grado di giocare su diversi registri, passando credibilmente dal dramma all’ironia. Le scelte che compiono non sono mai scontate, i percorsi emotivi mai lineari e il risultato finale è di grande ricchezza e garbo. Consigliatissimo.