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    Home»Costume e società»Cultura»Artediparte. Le donne della prima guerra mondiale
    Cultura

    Artediparte. Le donne della prima guerra mondiale

    Marzia FrateschiBy Marzia Frateschi25/04/2015Updated:25/04/2015Nessun commento7 Mins Read
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    donne-guerra
    da Fondazione cineteca Italiana
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    Fra soggettività e rappresentazione ideale.

    Il primo conflitto mondiale nella voce di una donna in uno spettacolo di Alta Luce Teatro. Anche una mostra e una rassegna cinematografica alle Gallerie d’Italia rievocano quel decisivo periodo storico. Rispettivamente fino al 23 agosto e al 30 luglio.

    di Loedana Metta da http://www.z3xmi.it/

    La sua è una storia piccola… lei lo sa che fino a quando tutte le storie del mondo non si comporranno in un gigantesco, cosmico patchwork a avvolgere la Terra perché possa addormentarsi, la Storia, quel fantasma della realtà, continuerà a lacerare, tagliare, frammentare, rubare brandelli di universo per ricucirli nel proprio manto sepolcrale. È persuasa che senza il suo racconto quel lavoro sia destinato a rimanere incompleto, e al tempo stesso sa perfettamente che quel lavoro non ha fine, che la fine si protrae nell’eternità oltre l’esistenza.

    Chi parla è Haya, personaggio di Trieste, inquieto romanzo documentario di una scrittrice croata, Daša Drndíc, che, con le sue atmosfere declinanti, ci dà lo spunto per raccordarci alla dolorosa storia di guerra, emigrazione e morte, in questi giorni fin troppo dentro ai nostri telegiornali ma forse ancora poco nei nostri cuori. Una donna che aspetta il ritorno del figlio, con una cesta rossa di ricordi ai suoi piedi, aggiunge il proprio racconto di dolore ai tanti della Storia del mondo, sperando, e nello stesso tempo disperando, che tale lavoro abbia mai fine.

    Addio alle armi, Paura, Niente di nuovo sul fronte occidentale, Un anno sull’Altipiano… racconti celebri di chi ha vissuto una guerra che davvero non possiamo accettare si continui a chiamare “grande”… ma dal 2014 in avanti, dall’inizio della celebrazioni del centenario, ci chiediamo e vi chiediamo: quante voci di donna avete udito testimoniare gli orrori della Prima guerra mondiale, e gli sforzi di rinascita e la decisiva tensione verso l’emancipazione femminile che dai quei momenti terribili ha avuto inizio?

    Noi abbiamo avuto la fortuna di ascoltare la voce di Elda Olivieri, regista e narratrice di Adele Pergher profuga, lavoro tratto da un romanzo di Raffaella Calgaro che Alta Luce Teatro, deliziosa piccola sala in un angolo affascinante dei Navigli, da pochissimi anni gestito con grande spirito di iniziativa, cordialità ed energia da un gruppo di attrici, autrici e registe cui vogliamo rendere davvero tutto il merito possibile per la scelta di questo originale testo.

    Il 16 maggio del 1916 coloro che abitavano nei sette comuni dell’Altipiano di Asiago, orgogliosi di una secolare tradizione di costumi, lingua e istituzioni – sono considerati il primo esempio di confederazione – furono protagonisti di un esodo drammatico e improvviso, che li portò a cercare rifugio in pianura e in città lontane, fra cui Milano. La nostra città è protagonista della storia narrata da Olivieri con molti dei suoi luoghi e istituzioni: la fabbrica Sutter & Thevenot e la sua improvvisa esplosione,  per la quale accorse il giovanissimo volontario Ernest Hemingway, la Società Umanitaria con i suoi corsi per le operaie e le sale da ballo con grammofono in Via Silari che vivacizzarono le serate di questi protagonisti della storia d’inizio secolo nella nostra città (su cui torneremo più avanti).

    È proprio Milano a dare alla protagonista, profuga, la possibilità di ricominciare a vivere, con l’orgoglio di essere stata lei a comprare le scarpe per sé e per i suoi sei figli, la forza di poter lavorare utilmente per gli altri e la voglia di tornare a casa per contribuire a ricostruire la vita di una comunità, intorno a cui “la terra ancora oggi brucia”, come  ci dice Olivieri al termine dell’applauditissima recita, rievocando l’intensa commozione del  debutto nella città di Asiago, in cimbro Slege. Una donna, appartenente a una piccola comunità etnica, ci ha raccontato la sua storia attraverso gli occhi intensi e la voce di Elda Olivieri, grazie al lavoro di questo piccolo, ma importante teatro della nostra città.

    Un altro brandello del patchwork cosmico…  questo è un momento storico decisivo per dare spazio a nuovi testi che diano voce a chi è da sempre rimasta nascosta o è stata volutamente cancellata dal corso impetuoso di una Storia per soli uomini, che finalmente si apre, grazie a questa nuova sensibilità, alla rappresentazione dell’Altra.

    Il dolore di quella notte sull’Altipiano si sente intensamente anche in Profughi di Giuseppe Cominetti  (1882 – 1930) esposto alle Gallerie d’Italia di Piazza della Scala accanto duecento lavori  eterogenei, dal ciclo Poema della vita umana di Giulio Aristide Sartorio, quasi al completo nelle sue frastornanti proporzioni, alle lievi Parolibere di Paolo Buzzi.

    Siamo andate a cercare la soggettività femminile nel dramma della guerra mondiale del 1914 anche nella magnifica mostra inaugurata questo mese, con un accostamento singolare fra opere d’arte di pittori-soldati e di artisti-intellettuali che la Guerra la vollero, la difesero strenuamente e al suo termine la sublimarono con i grandi monumenti ai caduti, rappresentati qui da diversi bozzetti.

    Fra loro la pittrice Adriana Bisi Fabbri (Ferrara, 1881 – Travedona, Varese, 1918) presente con due opere del 1915: Manifestazione interventista e Partenza dei volontari ciclisti e automobilisti.

    Abbiamo trovato la Pleureuse, bronzo in cui Libero Andreotti rievoca il gesto solenne di Isadora Duncan e lo sguardo quieto enigmatico de La donna e l’armatura di Felice Casorati: da un’armatura svuotata, una muta enigmatica presenza e lo sguardo della donna benestante che Emilio Longoni ritrae in Riflessioni di un affamato.

    Notevole è infatti il collegamento, voluto dai curatori, del dramma della guerra con le tensioni sociali dell’epoca, con le atmosfere crude e cupe della vita degli ultimi.

    Sono retoriche e impersonali, come sempre le Donne (maiuscola), le figure del dolore ritratte in Le vedove di Galileo Chini e le Donne al Monte di Pietà di Marius Pictor (Mario De Maria), convocate per quella generica e prevedibile rappresentazione del dolore, che immancabilmente presentifica la Donna. Come negli elenchi delle vittime delle guerre e dell’emigrazione contemporanea.

    C’è naturalmente anche un’altra Donna, che rivela un aspetto retorico, magniloquente e parimenti disincarnato del femminile, nelle varie rappresentazioni della Vittoria, fra cui si segnala per imponenza, fattura e impostazione delicatamente androgina, La Vittoria del Piave di  Arrigo Minerbi (Ferrara, 1881 – Padova, 1960).

    Fra queste immagini ci commuove la bianca immateriale sagoma della donna che si china a soccorrere e curare le vittime nelle sanguigne Delenda Messana di Julius van Biesbroeck (Gand, Belgio, 1890 – Bordighera, Imperia, 1920), che ci ricorda la Madonna bianca della Chiesa di Casoretto. Una figura di luce, convenzionale eppure toccante, che addolcisce l’impressionante racconto del disastroso terremoto di Messina del 1908, contenuto anche del pioneristico documentario di Luca Comerio dal luogo della stessa disastrosa calamità. Sono molti, infatti, i contributi di fotografia e film nelle sale dell’esposizione: immagini, d’epoca e film d’autore visualizzano i contesti storici e sociali in cui presero vita le opere d’arte esposte.

    I primi cinereporter al seguito delle truppe italiane al fronte realizzarono le riprese sui luoghi della guerra. Ma il più impressionante documento per lettrici e lettori della zona è certamente la ricostruzione degli avvenimenti del maggio 1898, quando il generale Bava Beccaris diede ordine di sparare sugli operai, sedando la rivolta di Milano. Furono arrestate e tradotte nel Castello sforzesco duemila persone. Fra loro, si ricordano alcune decine di donne. Ecco, gli operai disarmati che scioperavano per condizioni migliori di vita, ritratti in un documento impressionante di un momento cruciale del nostro Paese, con indimenticabili immagini della città, del nostro stesso quartiere. Immagini davvero difficili da dimenticare. Come un TG del 1898.

    La mostra è affiancata da una importante rassegna cinematografica realizzata in collaborazione con la Fondazione Cineteca Italiana di Milano, che fino al 30 luglio si presenta come  una delle più esaustive mai progettate sull’argomento e propone oltre sessanta titoli realizzati in un arco di tempo che va dagli anni Dieci del Novecento ai giorni nostri. Alle lettrici che avranno modo di prendere parte all’importante iniziativa, chiediamo di segnalarci  le figure femminili che più le hanno interessate e commosse, scrivendo  a lartediparte@gmail.com.

    Rubiamo  brandelli di universo e ricostruiamo i tasselli di una Storia che non ci neghi e non cancelli il dolore e la vittoria delle donne.

    Lo spettacolo Adele Pergher Profuga sarà replicato Milano il 12 maggio proprio alle Gallerie d’Italia. (Ingresso 5 euro oltre al normale costodell’ingresso alle gallerie).

    Sul sito della Cineteca italiana i film, a ingresso gratuito, della rassegna alle Gallerie d’Italia:http://www.cinetecamilano.it/notizie/la-grande-guerra-rassegna-cinematografica

    Ecco le informazioni sulla mostra:

    http://www.gallerieditalia.com/node/4537

    Tutte le notizie su Elda Olivieri/sono qui:

    http://www.eldaolivieri.it/home.php

     

     

     

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    Marzia Frateschi

    Da sempre ha voluto fare il medico. Si è riconosciuta in un percorso di donna fra donne e ha scelto la specialità in ginecologia. Così è iniziata la sua carriera professionale, ma anche il mio amore e la lotta per tutte le donne e i loro diritti. Ha lavorato sul territorio, come ospedaliera e in istituti scientifici. Attualmente è libero professionista in uno studio a Milano dove svolge visite specialistiche Ginecologiche ed ostetriche, ecografie ginecologiche e colposcopie per la diagnosi pre tumorale del basso tratto genitale. Da qualche anno ha preso una specialistica in Omotossicologia, branca della omeopatia. ‘Medicina ufficiale” e medicine integrate: un binomio perfetto per una medicina di genere a 360°.

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