157 Paesi riconoscono la Palestina: la speranza oltre le macerie
Centocinquantasette bandiere oggi sventolano a favore della Palestina. Dalle strade di Tokyo ai municipi francesi, fino alle capitali europee, il mondo sembra aver trovato il coraggio di dire basta. Persino il Giappone, “dall’altro lato del mondo”, ha rotto il silenzio: un segnale che nessuno vuole più voltarsi dall’altra parte.
Ma questo riconoscimento, per quanto potente sul piano simbolico, non ferma le bombe. Non restituisce la vita ai bambini sepolti sotto le macerie, non consola le madri che piangono i figli perduti. È un atto di dignità, che offre alla Palestina strumenti diplomatici e voce nei consessi internazionali. Eppure, l’ingresso pieno alle Nazioni Unite resta un miraggio, bloccato dal veto americano: quel nome, “Palestina”, non trova ancora posto accanto agli altri Stati sovrani.
Sul terreno, la realtà è crudele. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato: «Uno Stato palestinese non ci sarà mai». Parole dure, che rimbombano mentre a Gaza si contano nuovi morti e in Cisgiordania si moltiplicano sgomberi e operazioni militari. Ogni giorno nuove sirene, nuove ambulanze, nuovi funerali: la vita quotidiana di un popolo che non conosce tregua.
E poi c’è Hamas. Molti governi occidentali ripetono la formula di una “Palestina senza Hamas”. Ma come si può cancellare un movimento che ha vinto le ultime elezioni a Gaza e che continua a rappresentare, nel bene e nel male, una parte viva della società palestinese? È un nodo irrisolto, che rende ancora più fragile la prospettiva di un futuro politico condiviso.
Oggi la Palestina raccoglie sostegno come mai prima d’ora, ma nelle strade di Gaza, Nablus e Hebron il dolore continua. Le 157 bandiere issate nel mondo sono un messaggio chiaro: la comunità internazionale non vuole più chiudere gli occhi. Ma resta la domanda più urgente, che pesa come un macigno: quando quelle bandiere si trasformeranno in pace vera?