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    Erica ArosioBy Erica Arosio03/04/2025Updated:03/04/2025Nessun commento3 Mins Read
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    Un film di David Cronenberg

    con Vincent Cassel, Diane Kruger, Guy Pearce, Sandrine Holt

    nelle sale dal 3 aprile

    Ci sono film e registi per pochi, sono opere di autori che prediligono tematiche estreme, che non cercano l’approvazione e vanno dritti per la loro strada. Autori con cui la sintonia e l’affinità sono indispensabili anche solo per un cauto avvicinamento. David Cronenberg è uno di questi, ogni suo titolo rappresenta le sue ossessioni che possono inquietare, affascinare, disturbare o anche respingere.

    Il regista canadese scava nell’animo umano, racconta la fusione perversa della tecnologia con la carne, mette in scena corpi mutanti, la morbosità non lo spaventa, anzi la ricerca consapevolmente, qua e là con esiti insostenibili. A volte ci azzecca, come quando ben prima che diventasse una realtà scientifica, in un suo film aveva ipotizzato l’uso delle cellule staminali.

    La medicina con le sue sperimentazioni, la tecnologia che trasforma i corpi e li contamina, il sottile confine che per alcuni esiste fra il piacere e il dolore sono tutte tematiche in cui si è calato, senza rete, senza curarsi dello spettatore.

    In questo ultimo film, presentato al Festival di Cannes, riaffiorano tutte le ossessioni che ha coltivato per anni,  per esprimere un dolore privato: la morte dell’amatissima moglie. Ecco così che il film diventa una sua personalissima elaborazione del lutto. 

    Al centro della storia c’è Karsh, un uomo d’affari che, disperato per la scomparsa della moglie a lungo malata, ha inventato una tecnologia che permette di monitorare quello che succede nella bara, ovvero di seguire in diretta la sorte del corpo. Macabro, certo, ma per chi non si rassegna può essere un modo devastante di rallentare la separazione, di tenere viva una memoria seppure paranoica. Quando alcuni vandali profanano le tombe di questo avveniristico cimitero, Karsh si mette sulle loro tracce.

    La storia procede claustrofobica, buia, dolorosa. E a mio parere non troppo interessante. Più interessanti altri aspetti. Il primo, l’adesione totale del protagonista, Vincent Cassel al ruolo in cui si è immerso senza protezione, diventando una sorta di doppio del regista a cui, con la stessa pettinatura e smagrito, assomiglia così tanto da essere in certe inquadrature, con certi tagli di luce, indistinguibile da Cronenberg

    Anche con l’altra protagonista l’autore mette in campo la sua ossessione per il doppio che ha affrontato in tanti film (ricordate Inseparabili?). Diane Kruger infatti riveste tre ruoli, la moglie scomparsa, la sorella e l’avatar in un gioco di specchi che a volte sfugge di mano al regista. Infine, non in primo piano ma comunque presente in tutto il film, sottotraccia, è il sesso. Desideri e eccitazione convergono in percorsi inusuali (vi ricordate Crash?) arrivando all’inguardabile: ci si può eccitare anche pensando alle cure su una donna malata terminale. Troppo? Sì, ma non per David Cronenberg, perché il suo cinema diventa anche cyber-filosofia.

    Insomma, lo avete capito, questo è un film a sé, consigliato solo a chi conosce e apprezza il lavoro di Cronenberg ed è pronto a dargli fiducia anche per un film così estremo (come tutti i suoi del resto) ma, e questa è una prima volta, credo si debba rispettare un film così personale. L’uomo Cronenberg chiede aiuto al regista Cronenberg per trovare un senso alla morte e quindi, da ateo, da artista e intellettuale, prova a costruire una strada per avere la contezza della perdita della donna amata. Affrontare l’inguardabile, anche la decomposizione di un corpo, diventa una trasposizione psicanalitica e artistica per elaborare il lutto della perdita.

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    Erica Arosio

    Erica Arosio, milanese, una laurea in filosofia, giornalista, scrittrice, critico cinematografico, è mamma di due figli meravigliosi, Mimosa e Leono. è stata a lungo responsabile delle sezioni cultura e spettacolo del settimanale «Gioia» e ha curato per vari anni la rubrica cinema di «Radio Popolare». Autrice di una biografia su Marilyn (1989 Multiplo, poi 2013 Feltrinelli Real cinema, in cofanetto con il dvd «Love, Marilyn»), ha collaborato a varie testate, fra cui «la Repubblica» e «Il Giorno». Nel 2012 esce il suo primo romanzo, “L’uomo sbagliato” (La Tartaruga, poi Baldini & Castoldi, 2014). Con Giorgio Maimone scrive una serie di gialli ambientati nella Milano degli anni 50 e 60: “Vertigine” (Baldini & Castoldi, 2013), “Non mi dire chi sei”, “Cinemascope” , “Juke-box” e il racconto “Autarchia” nell’antologia “Ritratto dell’investigatore da piccolo” (tutti per Tea), “Macerie” (2022, Mursia), “Mannequin” (2023, Mursia) Sempre con Giorgio Maimone ha scritto “L’Amour Gourmet” (Mondadori, 2014), un romanzo sentimentale ambientato nella Milano degli anni Ottanta, il mémoire sul ’68 “A rincorrere il vento” (2018, Morellini) e i gialli ambientati in Liguria “Delitti all’ombra dell’ultimo sole” (2020, Frilli) e “La lista di Adele” (2021, Frilli). A gennaio 2024 è uscita l’audioserie originale Faccia d’angelo, storia di Felice Maniero e della mala del Brenta, disponibile sulle principali piattaforme. E’ autrice di ”Carne e nuvole” (Morellini, 2018) una raccolta di 101 racconti brevi e della favola ”La bambina che dipingeva le foglie” (Albe edizioni, 2019). Ha pubblicato diversi racconti in antologie collettive ed è fra gli autori in Delitti di lago 3, 4 e 5 (Morellini editore).

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La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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    Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo roman Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo romanzo, L’arte della gioia, uscito dopo la sua morte (nel 1996 a 72 anni) e solo grazie alla dedizione del marito, Angelo Pellegrino. Il libro vide la luce nel 1998 presso Stampa Alternativa (e poi nel 2008 da Einaudi). Tollerata dai salotti intellettuali del tempo, dove era entrata grazie alla sua lunga relazione con il regista Citto Maselli, Goliarda Sapienza fu sempre insofferente nei confronti del mondo intellettuale e borghese. Attrice, scrittrice, donna libera, più irregolare che anticonformista, chissà cosa penserebbe dell’interesse che sta suscitando in questo periodo non solo la sua opera ma anche la sua vita.

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Lo studio delle lingue straniere alimenta la curiosità e stimola la voglia di apprendere in molte discipline anche ben diverse, soprattutto se sostenute da una capacità imprenditoriale. Questo lo dimostra la storia qui di seguito riportata di Marialuisa Portaluppi da noi intervistata.
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