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    Film

    “FOLLEMENTE” per sorridere, teneramente, di noi stessi e delle nostre emozioni.

    Milene MucciBy Milene Mucci01/03/2025Updated:19/03/2025Nessun commento4 Mins Read
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    Inutile voler snobbare  un film come “Follemente “  accusandolo di essere superficiale o troppo semplificativo rispetto alle umane relazioni.

    Inutile perché, invece, Follemente è un film che arriva , facendo sorridere e pensare.
    Svelando a chiunque di noi l’odierna complessità di voler seguire i copioni di aspettative  nostre o di  altri invece di essere, semplicemente e solamente, autentici.
    Ci riusciamo? Mah.. probabilmente no senza avere la voglia di rischiare .
    Cosi accade che per cento minuti nel film di Paolo Genovese ognuno di noi ritrova quelle parti di se imbranate, insicure , contrastate e contrastanti . Quegli aspetti che, anche se ci mostriamo al mondo sicuri e invincibili, conosciamo bene e, alla fine , è proprio per questo rispecchiarci che ci sorridiamo teneramente .
    La trama ormai è nota.



    Un gruppo di attori straordinari nella mente del protagonista Edoardo Leo e un gruppo straordinario di attrici nella mente di Pilar Fogliati .Ognuno rappresentante una modalità, un modo di relazionarci, di essere.
    Troppo semplice? No se in questo ci rivediamo
    No se in questo riviviamo moltissimo della complessità degli odierni rapporti uomo – donna.
    Personalmente amo sempre tanto ascoltare le reazioni del pubblico in sala e , stavolta, era palese che ridessimo di più noi  donne.
    Ok magari certe donne neanche tutte, perché non è detto che il genere dia necessariamente il patentino della capacità dell’ironia, soprattutto  verso noi stesse.
    Ridevamo, però ,di più noi donne esclusivamente perché da sempre siamo più abituate a gestire, o non saper gestire, le nostre emozioni.


    Più abituate a viverle  barcamenandoci da sempre fra ruoli continuamente diversi, fra desideri completamente diversi . Amorevoli, disponibili, spontanee, romantiche certo se lo vogliamo ma , nello stesso tempo , sempre timorose che tutto questo sentimento possa sembrare debolezza, essere usato o manipolato per l’  esaudimento di  bisogni o desideri di altri.

    Abituate ad un esercitazione continua fra volontà e cuore, fra desiderio di mostrarci e  o trattenerci per evitare ferite. Un training estenuante  che ci ha rese  manovratrici esperte di montagne russe fra emozione o ragione , per tener fede a quanto di acquisito non vorremmo perdere per apparite solide e risolte al mondo.
    Ma…gli uomini? Gli uomini di oggi  a tutto questo sono abituati?
    Certamente dai trenta , trentacinque anni in su io non credo .
    Vivendo, questi nostri un pò spaesati compagni di viaggio,  un momento di passaggio fra  le granitiche certezze del come essere maschi alla ,  finalmente , scoperta della possibilità di sdoganamento di incertezze , fragilità e paure onestamente  mostrabili.

    Certo non tutti e non sempre ma, se un film come questo di Genovese ha un valore, è proprio nella divulgazione semplice, ripeto, di questo  mal-essere comune la sua forza.


     Nel far vedere qualcosa che chiunque seduto in platea vive rendendo semplicemente tutti meno soli e con un sorriso
    . Perché, alla fine, è di solitudini che si racconta.
    Di come evitarle se desideriamo altro o di come non sceglierle  come via di fuga .
    “Spegnere il cervello” ?Si prospetta come possibile soluzione alla fine del film.
    Non penso basti se non insieme al  provare ad essere più sinceri, più coraggiosi, più liberi ,più autenticamente noi stessi.

    Imparando  anche dalle nostre ferite, facendone  risorse, mostrabili. Esattamente come ,in una scena del film i due protagonisti si mostrano le cicatrici dei grandi o piccoli infortuni avuti nella vita.
    Quindi ben venga  se grazie ad una sceneggiatura brillante, a degli attori straordinari e ad una idea, certo non nuova, ma resa in maniera divertente arriva  il sentire comune di un’ era  di smottamento di qualunque certezza comportamentale di genere rispetto alle emozioni e al come viverle.
    Ma non  spegniamo il cervello, usiamolo.
    Magari insegnandogli meglio a passare, al bisogno e sinceramente, anche  dal cuore.

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    Milene Mucci
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    Milene Mucci. Nata il giorno della Befana ad Arezzo vive a Carrara fra le Apuane e il mare . Scrive per Dols ( da anni) , per Exibart e Huffington Post. E' Arteterapeuta e Counselor Professionista formata in Aspic (Scuola Superiore Europea di Counseling Professionale) . Formatrice di Metodo Caviardage per la RdA , conduce laboratori di scrittura e mediazione artistica per la crescita personale, soprattutto in relazione all'empowerment femminile. Sua e' la rubrica su Dols dal titolo "Donne si nasce assertive si diventa" Gia' impegnata in battaglie per i diritti civili con Ignazio Marino e l'Associazione "Luca Coscioni ",è membro della Fondazione "Antonino Caponnetto" ,che si occupa di lotta alle mafie ,cittadinanza attiva , legalita' e Costituzione. Ha due figli ormai adulti ed in giro per il mondo ed un gatto di nome Sheva che le fa da assistente e che , per ora, e' ancora a casa .. :-)

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