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    Home»Costume e società»Cultura»Film»The Bikeriders
    Film

    The Bikeriders

    DolsBy Dols18/06/2024Updated:18/06/2024Nessun commento6 Mins Read
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    di Adriana Moltedo

    Gli anni ’60. I road movie in sella alle moto.

    Saranno questi i punti cardine del  film The Bikeriders

    di Jeff Nichols di cui è regista e sceneggiatore, e racconta la storia, principalmente dal punto di vista di Kathy, che ripercorre quanto accaduto loro negli anni, racconta la nascita e la fine dei gruppi di motociclisti che hanno attraversato – e spesso incendiato – l’America.

    L’ispirazione che ha fatto poi diventare l’idea materia narrativa proviene dall’omonimo fotolibro di Danny Lyon (1967), su una banda di motociclisti americani chiamati Vandals.

    Vandali.

    Kathy (Jodie Comer), membro della gang dei Vandals  che è sposata con un selvaggio, temerario motociclista di nome Benny (Austin Butler), racconta l’evoluzione dei Vandals nel corso di un decennio, iniziando da quando erano un club locale di reietti uniti da divertimento, moto rombanti, e dal rispetto verso il loro carismatico leader Johnny (Tom Hardy). 

    Nel corso degli anni, Kathy fa del suo meglio per contenere la natura selvaggia di suo marito e la sua fedeltà a Johnny, col quale si sente in competizione per l’attenzione di Benny. 

    Mentre la vita nei Vandals diventa sempre più pericolosa, e il club minaccia di diventare una banda ancora più famigerata, Kathy, Benny e Johnny sono costretti a fare scelte sulla loro fedeltà al club e gli uni verso gli altri.

    Attraverso il punto di vista di Kathy (la sorprendente inglese Jodie Comer, vediamo dieci anni di decadente romanticismo ma anche esaltazione della violenza, poi alcol, droga, passaggio generazionale e caduta degli ultimi valori.

    Si racconta l’ispirazione per la figura di Johnny, interpretato da Tom Hardy, un uomo che ha un lavoro – da camionista – una famiglia e due figlie – ma che viene folgorato, una sera sul divano, dal “Selvaggio” Marlon Brando.

    Il film sottolinea e conferma il fascino di Austin Butler. 

    Il fatto che lo hanno ribattezzato il nuovo James Dean – dice Butler- “ovviamente, significa molto per me, perché James Dean era un mio mito da ragazzo. Quando ho visto per la prima volta i suoi film, mi sono sembrati la cosa più grande a cui mi trovavo davanti. Ma non so come reagire ai confronti. Se devo raccontare cosa mi ha attratto di Dean è quanto fosse animalesco, spontaneo, vulnerabile. Ricordo che una volta qualcuno mi disse che da una parte c’era Marlon Brando che diceva “vaffanculo”, dall’altra parte Montgomery Clift che diceva: “Aiutami”. E poi nel mezzo c’era James Dean”.

    Il film è anche un triangolo amoroso, quello tra il fascinoso Benny(Butler, che dopo quello di Elvis, evoca stavolta il mito di Brando) conteso tra Johnny (Hardy) e Kathy (Comer): Benny rappresenta quello a cui entrambi ambiscono per motivi diversi, a lui consegnano speranze e sogni.

    il regista spiega perché il punto di vista sia quello femminile: “La risposta pragmatica è che è la più perspicace, introspettiva, a volte esasperante. È un essere umano in carne ed ossa che ha vissuto in quelle parole nel libro di Danny. Questa è la ragione numero uno. In una cultura di uomini della classe operaia, che probabilmente non sono molto bravi ad esprimersi, forse anche a riconoscere le emozioni che stanno provando. C’è una scena tra il personaggio di Johnny e il personaggio di Kathy più avanti nel film, quando lui passa a casa sua. È semplicemente incapace di esprimersi, lei chiede: “Di cosa hai bisogno?” E lui è incapace di dirle la verità. Quindi, se immaginiamo il film raccontato dal punto di vista maschile, tutto diventa pesante, falso, perché gli uomini si mettono in posa o si nascondono. Per arrivare alla verità delle cose, sembrava che fosse necessario inserirla attraverso la lente di una donna”.

    Il cinema ha una lunga tradizione culto delle due ruote, è ricca la colonna dei biker movies e dei loro carismatici centauri, dal Marion Brando de Il selvaggio evocato nel film di Nichols, al duo Dennis Hopper Peter Fonda di Easy Rider, passando l’Anthony Hopkins di Indian – La grande sfida. E poi Steve McQueen, Mel Gibson, Mickey Rourke, Gerard Depardieu… 

    Ma anche I diari della motocicletta al femminile, Girl on a Motorcycle (Nuda sotto la pelle) con una bella fotografia nelle sequenze di strada, colorazioni psichedeliche e il fascino di Marianne Faithfull a cavallo della BSA 650. Ma soprattutto Rodeo, opera Lola Quiveron, presentata nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2022 , premio Speciale della Giuria al 40° Torino Film Festival, sa prendere, un western urbano e femminista con una straordinaria protagonista. 

    Inoltre ha riferito il regista: “La verità è che i film sui motociclisti erano sottogeneri secondari, negli anni 60, negli anni 70, molti di loro erano film di serie B. Molti di loro sono solo film fatti davvero male.

     Ad essere onesti, il film di cui parlo non un film di motociclisti. 

    Dal punto di vista narrativo la prima ora è romantica, inondata di musica e divertimento, e poi questi personaggi iniziano a pagare le conseguenze delle decisioni di far parte di questo mondo. Quando ho visto il libro di Danny Lyon, ho scoperto i dettagli, gli ingredienti che non avevo attraverso l’esperienza di vita. 

    Il selvaggio è un grande distillato di cosa significhi essere un ribelle. Ci sono persone là fuori oggi che vogliono ribellarsi a qualcosa, e non hanno davvero bisogno di qualcosa contro cui ribellarsi. È una sensazione che hanno dall’interno.

     Vi garantisco che c’è un ragazzo di 16 anni da qualche parte in questo momento, probabilmente a Roma, che la pensa esattamente allo stesso modo. Ecco perché Il selvaggio è importante. Quanto a Easy Rider, è una pura espressione degli anni 60 nella cultura della droga e in tutto il resto. E se guardi al periodo tra questi due film, hai 15 anni. Questo collega Il selvaggio, un film in studio e Easy Rider. Cosa diavolo è successo in quei 15 anni? E’ ciò che ci racconta il mio film”. 

    Il film parla di ribellione e ricerca della libertà, ma i personaggi sono davvero liberi? “Forse la libertà è un costrutto. – ragiona il regista – Forse non è reale. 

    O forse è solo un momento. La libertà forse non è una costante, ed è questo che la rende nostalgica. Ed è anche questo che lo rende attraente. Johnny non può toccare la libertà che ha Benny perché Johnny ha una moglie e dei figli, un mutuo e delle macchine. Perciò brama la libertà di questo giovane. 

    Quando guardi l’arco narrativo del film, vedi i momenti che queste persone vivono, e che non esisteranno più. E questa è nostalgia più che libertà. Ma la libertà deve essere un momento che hanno vissuto all’interno di quella speranza”.

    moltedo-film

    Adriana Moltedo

    Esperta di cinematografia con studi al CSC Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, Ceramista, Giornalista, Curatrice editoriale, esperta di Comunicazione politico-istituzionale per le Pari Opportunità. Scout.

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