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    Ginecologia

    Childfree

    Aura FedeBy Aura Fede20/04/2024Updated:23/04/2024Nessun commento5 Mins Read
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    Liberarsi e emanciparsi (la psiche e la complessità sociale) 

    Sono due cose che ci consentono di muoverci nel mondo di oggi.Un cammino iniziato da molto, ma non ancora compiuto

    Ma attenzione …..

    La liberalizzazione sessuale ha sì abbattuto muri, rovesciato tabù e quant’altro, ma ha pure detto a tutte qualcosa di pericolosamente democratico,  cioè beh, ora siete libere, fate un po’ quello che vi pare.
    Ecco, le ragazze, fanno il grande salto e libere e orgogliose iniziano a dire, urlare, cose come io sono mia!
    E soprattutto cose come l corpo è mio e me lo gestisco io.

    E come, di grazia? In che modo hanno intenzione di gestirlo, questo corpo? Seguendo quale misterioso libricino d’istruzioni?

    La libertà (o l’anarchia), badiamo, non sono cose facili da maneggiare. Il ruolo della donna è stato sempre in equilibrio instabile tra:


    – materno (biologico-sociale )

    – sessuale (libertà di scelta).

    La psicoanalista Deutsch parla di un 

    “inevitabile conflitto tra interessi individuali e interessi della specie”. 

    Sottolinea ancora:

    …..la maternità non è tutta la storia della donna, 

    la possibilità di conciliarla con impulsi e desideri diversi non cancella la frustrazione che il compromesso comporta.

    Spesso nel criticare le donne che hanno scelto di non avere  figli, si cita la presunta “naturalità dell’istinto materno”. 

    Questo però, più che essere una caratteristica biologica delle madri, è un costrutto sociale evolutosi negli anni

    Le culture religiose (per lo più eredi delle società patriarcali arcaiche)  insistono nell’affermare che la natura della donna sia di generare figli e non per esempio affetti, amori, ambienti, oggetti, idee, opere d’arte, sistemi sociali e di valori.

    Questa insistenza, interiorizzata come codice psichico normativo, diventa in molte donne una vera e propria ossessione, portatrice di incertezza, ambiguità e patologia.

    Non ogni donna ha un’attitudine alla maternità. Che esista un “istinto materno” in ogni singola donna è una  forzatura sociale.

    Per quasi tutti i popoli antichi la maternità era l’obbligo di ogni donna, di solito facilitato da modelli  sociali.

    Rifiutare la maternità era dunque una colpa “civica” oltre che “religiosa”. 

    Oggi, anche nell’Occidente moderno, da quando i valori  legati alla famiglia e alla maternità sono stati “naturalizzati” (cioè interpretati come “naturali” ), si ritiene che l’impulso psicologico alla maternità risponda ad una norma biologica, cioè che sia un “istinto”. 

    Di conseguenza, le donne che non avvertono in se stesse questo “istinto” vengono percepite come psichicamente “anormali”, cioè affette da una “perversione” morale o affettiva.(Nicola Ghezzani

    D’altra parte, se la maternità fosse un istinto biologico universale, tutte le donne sentirebbero un identico impulso a restare incinte, a partorire e ad accudire con amore il proprio bambino. 

    Ma non è così. 

    Ogni donna nasce con una personalità distinta, e come tale ha la facoltà di scegliere, secondo la sua natura psicologica (caratteriale), se avere un figlio oppure no. 

    Possiamo fare due esempi per capire quanto il cosiddetto istinto materno non sia affatto una caratteristica scontata di tutte le donne. 

    Nei periodi in cui la mortalità infantile era molto alta,  l’attaccamento materno al bambino era molto più basso e i casi di abbandono e infanticidio più alti.

    Inoltre i bambini venivano lasciati spesso alle balie e quando era difficile mantenerli erano mandati negli orfanotrofi o a lavorare, perché l’idea della sacralità dell’infanzia ancora non esisteva. 

    Il secondo esempio è molto più recente ed è raccontato dalla scrittrice Jessica Valenti nel suo libro  Why Have Kids.

    Nel 2008 lo stato americano del Nebraska depenalizzò l’abbandono dei bambini da parte dei genitori sperando che si riducesse il numero di infanticidi. 

    La misura però ebbe un risultato inaspettato dovuto al fatto che nel formulare la legge non si era messa un’età massima per cui si poteva lasciare il proprio figlio in una struttura pubblica senza subire conseguenze legali: prima che la legge fosse modificata vennero abbandonati moltissimi bambini e ragazzi, ventidue dei quali maggiori di 13 anni.

    Non è che le sensazioni che indichiamo con l’espressione “istinto materno” non siano vere o profonde per chi li prova: è che sono un costrutto della nostra società e non una nostra caratteristica biologica

    La filosofa francese Élisabeth Badinter ha ricostruito l’evoluzione storica del concetto di istinto materno in molti dei suoi libri: inMamme cattivissime? La madre perfetta non esiste  riassume cosa pensare delle teorie secondo cui esiste un istinto materno biologico con la semplice frase:  “Non bastano gli ormoni per fare una buona madre!

    Nel post-moderno(futuro prossimo) non ci si aspetta dalle donne che diventino madri  ( come dagli uomini che diventino padri); si chiede a entrambi che sappiano discernere il significato di generare da quello di allevare e educare. 

    Nel post-moderno le madri non si sentano messe in discussione dalle non madri e viceversa. 

    Madri e non madri non devono stabilire chi è più libera dell’altra, ma insieme cercare di cambiare ciò che le rende infelici.

    La donna childfree pone la questione della responsabilità materna come non è mai stata posta in precedenza, quando la maternità non era considerata che una necessità naturale» (Elisabeth Badinter). 

    Perché si continua a investigare il fatto di scegliere di essere o no madre in termini di normalità o di devianza? 

    Perché non interrogarsi sulla legittimità del desiderio di avere un figlio? Eppure nessuno ignora i danni  dell’irresponsabilità materna. Della irresponsabilità genitoriale!

    Le childfree o lunàdagas

    «Le childfree testimoniano che non esistono caratteristiche assolute o essenziali che distinguono le donne dagli uomini. 

    La maternità è un aspetto importante dell’identità femminile ma non più un fattore necessario all’acquisizione della pienezza del sé femminino» (E. Badinter)

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    Aura Fede
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    Aura Fede. Siciliana ma ora abita a Treviso. A Padova ha fatto gli studi pre-universitari e universitari. Docente nel corso post-laurea (per psicologi e specialisti ginecologi) di psicoprofilassi ostetrica dell’Università di Padova E' sessuologa clinica (altre a consulente) e Formatore dell'istituto Internazionale di Sessuologia di Firenze diretto dalla prof. Roberta Giommi. Ha frequentato il corso di Mindfulness presso l’AISPA di Milano, autrice di lavori scientifici su vari argomenti legati alla specializzazione. Coautore di volumi sul benessere delle donne e sul benessere dei ragazzi.

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    La solitudine dei non amati, firmato e diretto dal La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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    Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo roman Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo romanzo, L’arte della gioia, uscito dopo la sua morte (nel 1996 a 72 anni) e solo grazie alla dedizione del marito, Angelo Pellegrino. Il libro vide la luce nel 1998 presso Stampa Alternativa (e poi nel 2008 da Einaudi). Tollerata dai salotti intellettuali del tempo, dove era entrata grazie alla sua lunga relazione con il regista Citto Maselli, Goliarda Sapienza fu sempre insofferente nei confronti del mondo intellettuale e borghese. Attrice, scrittrice, donna libera, più irregolare che anticonformista, chissà cosa penserebbe dell’interesse che sta suscitando in questo periodo non solo la sua opera ma anche la sua vita.

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Lo studio delle lingue straniere alimenta la curiosità e stimola la voglia di apprendere in molte discipline anche ben diverse, soprattutto se sostenute da una capacità imprenditoriale. Questo lo dimostra la storia qui di seguito riportata di Marialuisa Portaluppi da noi intervistata.
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