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    Home»Costume e società»Il Teatro Franco Parenti e Milano dalla parte delle donne iraniane
    Costume e società

    Il Teatro Franco Parenti e Milano dalla parte delle donne iraniane

    DolsBy Dols16/12/2022Nessun commento4 Mins Read
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    di Gianna Melis

     

    foto film Francesca BorghettiEra pieno il Teatro Parenti l’11 dicembre, all’indomani della Giornata Mondiale dei Diritti Umani,  per l’evento Donna, vita, libertà: l’Italia per l’Iran. Esordisce Ruth Shammah, padrona di casa: «Qui con noi stasera c’è un po’ tutta Milano». L’evento in collaborazione con la Repubblica e Linkiesta è iniziato con la proiezione del film Climbing Rain della regista Francesca Borghetti. La pellicola racconta la storia della free climber iraniana Nasim Esqhi che ricerca la libertà attraverso l’arrampicata e la montagna. L’atleta conosciuta in tutto il mondo, ha aperto vie in Oman, Emirati Arabi Uniti, Armenia, India, Turchia e Georgia fino all’ottavo grado e compiuto molte prime ascensioni femminili in stili differenti. È stata anche premiata dal King Albert Memorial Award per “la sostenibilità e l’eccezionale servizio prestato in relazione alla montagna”.

    Durante la serata si ricorda che la rivolta delle donne iraniane è iniziata il 16 settembre dopo la morte di Mahsa Amini, arrestata a Teheran dalla polizia morale per non avere indossato correttamente il velo. L’omicidio della giovane Amini ha innescato, in tutto il paese, delle proteste incredibilmente coraggiose, organizzate soprattutto da giovani donne e studenti contro l’oppressione del regime totalitario e autoritario islamico. La rivolta contro il velo è una ribellione contro la arrampocarsiteocrazia islamica che coinvolge donne di ogni età, etnia, provenienza e fede. La scrittrice Azar Nafisi racconta l’Apartheid di genere che tiene in ostaggio le iraniane: «La gente è stupita dal coraggio delle donne che scendono nelle strade senza sapere se poi torneranno a casa. Questa rivolta non è come altre proteste degli ultimi quaranta tre anni: questi giovani non vedono un futuro davanti a loro. Non è politica, non è ideologica, è esistenziale».

    Una giovane sale sul palco per leggere la sua lettera. «Non lasciamo che questo regime crudele prenda la vita dei giovani iraniani senza nessun timore. Non è mai stato punito nessuno per aver spruzzato acido sul viso delle ragazze, sottratto miliardi o ucciso persone per strada». Il professor Kayhan Abbasian elogia la potenza del trittico Donna, vita, libertà. «Questo slogan straordinario non ha bisogno di metafore o di parole per essere compreso dagli altri popoli. Tutti possono capire fino in fondo il significato di queste tre parole, per questo le proteste hanno coinvolto tutto il mondo».Andrée Ruth Shammah cita il Talmud: «Dio conta le lacrime delle donne». Mentre il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, dice che la mobilitazione pacifica, di massa, per rivendicare i diritti umani è un’onda invincibile per chiunque. Quella dell’Iran è la nostra libertà, i valori della Persia non meritano di essere violentati da una dittatura che viene dalla notte della Storia». Per il direttore di Linkiesta Christian Rocca, «ll regime teocratico è sopravvissuto a tutto, ma per la prima volta improvvisamente mostra i segni di un cedimento strutturale». Sul palco sale anche Ornella Vanoni: «Quando apro il giornale la mattina, mi si spezza il cuore. La libertà in Iran si paga sempre con la vita. Il vero colpevole è il velo, ma cos’hanno i capelli di così terribile? Sono erotici, sarà quello, è difficile trovare un altro motivo ideologico». 

    nasim- foto film Francesca BorghettiStefano Boeri presenta alcuni giovani artisti iraniani. Una di loro ricorda un amico in prigione. «Siamo andati insieme all’università di arte, speravamo di diventare famosi. Dodici anni fa, io e mio marito abbiamo perso le speranze, anche il mio amico voleva andare a Parigi, ma sua moglie gli ha detto: “non andiamo”. Hanno scelto di rimanere per ricostruire l’Iran, ma sono finiti in prigione. Il regime non cambierà, deve cadere».  

    «Mi vergogno della mia ignoranza e del mio privilegio – dice lo scrittore Antonio Scurati – Esiste un abisso tra le nostre esistenze di europei spesso distratte e quelle di queste donne, ragazze e uomini. Noi non possiamo capire, partiamo da questo socratico “sapere di non sapere” perché serate come questa non corrano il rischio di essere un balsamo per le nostre coscienze. Come facciamo a muovere un passo verso questa umanità sofferente ed esultante?» chiede Scurati. «Quando il regime ha paura dei manifestanti più di quanto i manifestanti ne abbiano di morire, sta succedendo qualcosa di enorme» afferma la giornalista Concita De Gregorio, che invita a tenere le telecamere accese». Per lo psicanalista Massimo Recalcati, «Quello che noi vediamo è un vero e proprio delirio. Un sistema teocratico è un sistema delirante. Quando si fa il male nel nome del bene, il male può essere infinito. È un delirio che noi conosciamo bene perché ha attraversato l’Occidente».

    La musica, i canti e i profumi e i sapori dei piatti iraniani offerti nel foyer del Teatro Franco Parenti, alternati alle testimonianze, hanno dato alla serata un tocco piacevole.

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