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    Home»Pari opportunità»Femminismi»La Giornata della donna, le violenze e il silenzio delle istituzioni
    Femminismi

    La Giornata della donna, le violenze e il silenzio delle istituzioni

    Cristina ObberBy Cristina Obber12/03/2018Updated:12/03/20182 commenti6 Mins Read
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    Femminicidio e figlicidio sono ancora crimini di serie B. E mentre la violenza dilaga, la politica tace. Da Pamela Mastropietro ad Amine Tiras, diciamo basta. Non solo l’8 marzo.

    È l’8 marzo 2018 e le donne continuano a morire di femminicidio.

    Si è appena chiusa una campagna elettorale in cui nessun leader si è assunto un impegno serio in tema di violenza contro le donne, nessuno ha dichiarato che una volta al governo avrebbe applicato la Convenzione di Istanbul, il documento dove tutto ciò che c’è da fare è scritto chiaramente, in attesa di buona volontà e finanziamenti. Neppure la morte di due bambine uccise da un padre violento ha scosso le coscienze di partito, nessuno ha chiesto ufficialmente conto del loro operato ai vertici delle forze dell’ordine, palesemente responsabili ancora una volta di aver sottovalutato le richieste di aiuto di una donna che ben sapeva quanto fosse pericoloso il marito, per sé e per le figlie.

    Lo ha fatto la rete Rebel Network (che proprio in questo 8 marzo diventa associazione e di cui sono tra le fondatrici) richiamando il Capo della Polizia e il Generale dell’Arma a dare risposte, e in mancanza, le dimissioni. Perchè è ora di pretendere da parte di chi commette un grave errore nello svolgimento delle sue funzioni quell’assunzione di responsabilità che troppe volte manca. Non si può più accettare che femminicidio e figlicidio vengano considerati crimini di serie B, destinati ad una giustizia più morbida, in virtù di quell’idea che relega la violenza domestica tra i panni sporchi da lavare in famiglia. Perchè Antonietta Gargiulo non è la prima e non sarà l’ultima se le istituzioni tutte non decideranno di affrontare il tema della violenza con la competenza che non hanno ma che è necessario acquisire.

    È il silenzio delle istituzioni il protagonista di questo 8 marzo 2018, un silenzio che continua e che aleggia sopra ogni cosa, sopra ogni donna, bambina, ragazza.

    Penso a Stella, che in occasione del 25 novembre 2017, Giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne, ha raccontato della violenza subita a scuola in una lettera al presidente Sergio Mattarella alla quale non ha avuto nemmeno un cenno di risposta.

    Penso alla studentessa del liceo classico Rinaldini di Ancona a cui il prof inviava messaggi alle due del mattino proponendole una «relazione d’amore come in un romanzo»; dopo le proteste di alcuni genitori la maggioranza ha preferito il silenzio e così i colleghi. Nessuna denuncia. La preside ha sospeso il docente «fino all’esplicazione della visita di idoneità» e ne ha parlato alla stampa locale come di un «raffinatissimo umanista» che ha bisogno di cure per «evitare in futuro comportamenti sicuramente non idonei dal punto di vista didattico». Ma un prof che abusa del suo potere e nelle sue lezioni infila continue allusioni sessuali e invia messaggi alle sue studentesse nel cuore della notte non andrebbe licenziato e interdetto a vita da qualsiasi attività con minori? Cosa porterà quell’uomo alla preside, un certificato medico di guarigione? Da che? Non si dovrebbe tutelare il diritto delle ragazze a non essere molestate prima di del diritto al ‘posto fisso’ del prof?

    In questo 8 marzo sono invitata da alcune scuole di Matera ad incontrare ragazzi e ragazze di tutte le età. Come posso parlare loro di relazioni, felicità, diritti, senza metterli in guardia sulla violenza delle stesse istituzioni che quei diritti dovrebbero garantire?

    A Bronte, in provincia di Catania, una 12enne ha subito un’operazione per lacerazioni alla vagina probabilmente causate da un stupro di gruppo particolarmente efferato, con l’utilizzo di oggetti. Mentre le indagini sono in corso sul quotidiano La Sicilia leggiamo che il primo sospettato ha 16 anni e che «adesso in paese regna il silenzio, l’omertà ha preso il sopravvento sul buonsenso».

    Ancora un silenzio dunque. Si sa mai che stiamo per rovinare quei ‘bravi ragazzi’ che hanno stuprato una bambina.

    Giù le mani dal corpo delle donne è una frase che appartiene al femminismo, al mondo delle donne che si impegnano pubblicamente per i propri diritti e per i diritti di tutte le altre.

    Il corpo di Pamela Mastropietro è stato martoriato brutalmente dai suoi carnefiici, e di quel corpo ci è stato raccontato ogni dettaglio raccapricciante e macabro da una stampa carnefice che non conosce più limiti né pudore.

    Una stampa che ci ha presentato Jessica Faoro come un ‘caso umano’ dal destino avverso, quasi che la violenza subita fosse segnata, anziché raccontarci di ciò che faceva sentire il suo femminicida, Alessandro Garlaschi, autorizzato ad esercitare violenza su di lei e sulle vittime di cui aveva precedentemente abusato. Una stampa che trasforma uno stalker in corteggiatore e un femminicida in un pover uomo. Che assolve la violenza e se ne fa complice.

    Siamo travolti da una inutile bagarre mediatica mentre c’è silenzio dove invece le parole conterebbero, necessarie e urgenti.

    Dove una politica sempre più succube agli interessi economici e finanziari sembra dimenticarsi dell’etica, dei principi costituzionali, dei diritti umani.

    È assordante il silenzio su Amine Tiras, la bambina soldato frastornata e in lacrime che Erdogan ha buttato in pasto al mondo senza che il mondo -e il governo italiano – facesse un plissé.

    «Ha la bandiera turca in tasca. Se diventerà una martire, a Dio piacendo, la avvolgeremo con quella. Sei pronta a tutto, non è vero?»

    Queste le parole di Erdogan, mentre le cingeva le spalle, la accarezzava, la baciava sulla guancia.

    Giù le mani anche da lei.

    Auguriamo ad Amine che quell’uomo possa toglierle le mani di dosso, in senso metaforico e non.

    E che l’indignazione per questa violenza inaudita su una piccola donna e su tutte le donne, piccole e grandi, in Turchia come in Italia come in ogni luogo del mondo, si sposti dai social alle stanze dei bottoni dove le condanne sono morbide, gli interventi quasi nulli, le connivenze sempre più ambigue.

    Se una Giornata internazionale della donna può avere un senso, partiamo da Amine, da un futuro diverso che si può scrivere abbattendo muri e omertà, chiedendoci se siamo pronti a ritrovare la nostra umanità anche laddove questo ci costa fatica.
    da LetteraDonna 

    femminicidio figlicidio
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    Cristina Obber
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    Cristina Obber è nata a Bassano del Grappa il 9 novembre 1964. Iscritta all’ Ordine dei giornalisti, ha collaborato per cinque anni con un quotidiano vicentino. Nel 2008 ha pubblicato “Amiche e ortiche” con Baldini Castoldi Dalai, affresco dolce-amaro dell’amicizia al femminile. Nel 2012 ha pubblicato un libro sulla violenza sessuale, "Non lo faccio più" ed. Unicopli che ha dato vita ad un progetto scuole e al blog nonlofacciopiu.net. Nel 2013 ha pubblicato per Piemme editore il libro Siria mon amour, storia vera di una 16enne italo-siriana che si è ribellata ad un matrimonio combinato. Nel biennio 2009-2010 ha pubblicato con Attilio Fraccaro editore “Primi baci” e “Balilla e piccole italiane”, due libri in cui ha raccolto ricordi del primo bacio e ricordi del mondo della scuola nella prima metà del novecento. Collabora con Dol’s, il sito delle donne on line da svariati anni. Si occupa di tematiche legate ai diritti. Il 25 novembre 2011, giornata internazionale contro la violenza sulla donna, esce il suo primo e-book dal titolo La ricompensa (edito da Emma books), che si apre con una citazione di Lenny Bruce: La verità è ciò che è, non ciò che dovrebbe essere. Il suo ultimo libro è ''L'altra parte di me’’, edito da Piemme, una storia d’amore tra adolescenti lesbiche.

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    2 commenti

    1. Daniela Calfapietro on 13/03/2018 14:38

      Cara Cristina,
      siamo stanche di guardare questo pietoso panorama dove persino i bla bla sono sempre più flebili e i lupi hanno campo libero.Se la politica tace…è connivenza con la violenza??E’ evidente, la sua assenza assorda in modo più che loquace. E noi donne siamo preparate ad alzare la voce e farci sentire come forza unitaria e autonoma indipendente da partiti? Abbiamo chiari i nostri diritti di esseri umani e sappiamo farli valere? Queste settimane, questi mesi, sono bollettini di una guerra totale dichiarata alle donne e ai bambini, agli animali e ai più deboli. Tranne rarissimi casi di uomini degnissimi di essere definiti esseri umani a pieno titolo e con la massima dignità, vi sono tanti che potrebbero essere tranquillamente cancellati dal consesso umano. Dunque noi donne non possiamo oltre restare al palo delle indecisioni ideologiche o storiche. Anzi siamo chiamate ora come mai prima, ad alzare la testa e unirci, compattarci, essere un muro di pura energia trasformante. Siamo chiamate all’autoconsapevolezza delle energie femminili, dobbiamo sorgere, risorgere. il futuro di tutto è nelle nostre piccole e deboli mani. ed è proprio la nostra debolezza il punto di forza più grande, siamo una marea umana che può rovesciare le sorti di questa guerra alla Vita. Se le istituzioni fanno finta di non sentire, esse ci fanno guerra. Quindi vanno costrette ad ascoltarci con assedi veri e propri, con gogne mediatiche, con stolckeraggi mediatici, dovremo destituire quelle parti di istituzioni fallimentari. dovremo dare delle nuove indicazioni precise, decise. Dovremo diventare nuove parti sociali che entrino in causa con tutto il loro peso. Noi possiamo essere la più potente delle lobby, e fare le pressioni più i possenti che siano mai state fatte. Io propongo una Assemblea Costituente delle Donne, che si ponga in modo critico davanti alle istituzioni in materia di leggi atte a prevenire le violenze, più forti e più restrittive nei confronti dei violenti, che so, campagne di sensibilizzazione alle donne di tutti i ceti per riconoscere i segni di squilibrio in un uomo prima che sia tardi, ottenendo un fermo reale e un cambio di regione. con obbligo di firma quotidiana, verifiche psichiatriche periodiche che attestino miglioramenti o sottolineino peggioramenti, esili coatti, su isole o fuori nazione. Provvedimenti forti, incontrovertibili. Castrazioni chimiche per i violentatori di bambine. Carcere criminale a vita e ” fine pena mai ” reale e ineluttabile, per reati efferati. Troppo dura? Può essere ma qui ci hanno dichiarato guerra, è chiaro o no? Guerra alla nostra vita, alla nostra integrità umana, fisica , psicologica, guerra alla dignità, guerra alla pace., guerra all’essere madre, moglie, figlia, sorella. Guerra senza quartiere e senza motivo, guerra da parte di chi compie ogni sorta di sopruso e guerra da chi non fa nulla per fermare tutto questo. E noi? Cosa siamo noi? Carne da macello? Agnelli sacrificali? Basta!!!.la reiterazione e degli omicidi e delle violenze non sono meri susseguirsi e catene ma mirano a farci assuefare, noi donne per prime, ad una idea di precarietà della nostra stessa vita, dei nostri stessi diritti alla esistenza. Ma siamo impazziti? Queste sono bastonature per metterci in un recinto ed impedirci di pensare ad una ribellione così dell’anima come civile! Si, sto pensando a tantissime donne morte come a delle vere e proprie martiri, a donne che hanno cresciuto figlie solo per sapere che degli orchi le hanno massacrate, ed anche quelle madri sono morte come le loro figlie. Sto pensando che forse non voglio far vivere più le mie figlie in questa nazione che abbandona le donne e i deboli.. oppure.. bisogna prendere in mano le redini delle cose e degli eventi. Ne abbiamo il dovere. l’urgenza. Utopista? certo. Forse. La Storia si cambia a colpi di utopie che diventano realtà..

      Reply
    2. caterina-torre-hp
      Caterina Della Torre on 13/03/2018 17:56

      ”Sto pensando che forse non voglio far vivere più le mie figlie in questa nazione che abbandona le donne e i deboli.. oppure.. bisogna prendere in mano le redini delle cose e degli eventi. ” hai ragione Daniela ma dobbiamo lottare per loro e per quelle dopo di loro

      Reply
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