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    Dol's Magazine
    Home»Costume e società»Mondo Rom: minori senza futuro
    Costume e società

    Mondo Rom: minori senza futuro

    DolsBy Dols15/04/2017Updated:15/04/2017Nessun commento10 Mins Read
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    rom-bambini
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    Una popolazione sparsa per l’intero paese, di circa 300.000 persone, di cui oltre il 50% è formata da minori. Si tratta della popolazione Rom, per l’80 % di cittadinanza italiana, che vive emarginata su un territorio e discriminata nei diritti.

    di Marcella Delle Donne

    Un gruppo etnico, ricco di bambini, vive in un’Italia vecchia, che ogni anno registra 100.000 nascite in meno. Una popolazione sparsa per l’intero paese, di circa 300.000 persone, di cui oltre il 50% è formata da minori. Si tratta della popolazione Rom, per l’80 % di cittadinanza italiana, che vive emarginata su un territorio e discriminata nei diritti, a cominciare dai minori in età scolare. Una scolarizzazione fallimentare. Separati e lontani dai plessi scolastici, i minori Rom in età scolare vengono prelevati ogni mattina da pulmini gestiti da cooperative finanziate dall’ente pubblico. Non tutti vanno a scuola e molte sono le assenze.

    A scuola i bambini Rom giungono, in genere, in ritardo. L’accoglienza in classe è di disturbo e di emarginazione. Anche i più sicuri vivono nel disagio. Durante la ricreazione i bambini Rom vengono isolati dagli altri bambini, forte è il loro senso di estraneità. Spesso piangono, hanno paura degli addetti ai servizi sociali, pensano che li portino via (cosa che accade non di rado). Dal punto di vista dell’apprendimento, hanno difficoltà con la lingua italiana. Per la mancanza di spazio e di luce nelle abitazioni dei campi, i quaderni vengono lasciati a scuola, così anche i più svelti accumulano un gap nell’apprendimento con gli alunni italiani. Per evitare bocciature alle scuole elementari, gli alunni Rom vengono promossi con livelli minimi di alfabetizzazione. Alle medie è un disastro. Il gap diventa insormontabile. La difficoltà di comprendere il linguaggio formalizzato delle lezioni e dei libri di testo, determina la decimazione delle presenze degli scolari maschi, mentre le femmine già in età matrimoniale si perdono. I maschi che continuano la scuola, si assuefanno alla marginalità scolastica, in attesa di passare alle scuole serali CTP prima dei diciotto anni, tollerati perché Rom. I CTP organizzano corsi di istruzione per immigrati. Qui si generano tra immigrati e Rom conflitti razziali. La commistione con africani, ad esempio, rende i Rom ostili (“i negri fanno schifo”); mentre gli africani considerano i Rom, “sporchi zingari”. Molto spesso questa conflittualità porta all’abbandono scolastico da parte dei Rom.

    Cuore di zingara_M_12-20_cop_2014Il disagio scolastico dei minori Rom emerge dalle interviste a volontari (Assoc. Cittadinanza e Minoranze) operanti nei campi Rom, condotte nel 2014. Il campo, così, come microcosmo autoreferente e separato, li ri-inghiottisce, chiude loro la possibilità di aprirsi a esperienze innovative e conduce alla assunzione di modelli ripetitivi, non di rado coniugati con la criminalità. Non è peregrina l’ipotesi per cui il campo sia funzionale a generare una connivenza omertosa per le attività illegali. Sfera pubblica e società civile: difficoltà di inclusione. Per quanto attiene i processi di integrazione e inclusione nella società maggioritaria, nonostante le dichiarazioni di buona volontà da parte delle istituzioni pubbliche sollecitate dall’Unione Europea (vedi la Strategia Nazionale di inclusioni di Rom, Sinti e Caminanti) non è ancora superato l’approccio alla cosiddetta “emergenza nomadi” in un’ottica securitaria. Basti considerare l’accelerazione degli sgomberi, senza fornire alternative degne di una società civile.

    Il campo nomadi. Per comprendere la situazione dei minori, le abitudini e gli stili di vita della popolazione Rom bisogna partire, io credo, dal contesto in cui si trova o è costretta a vivere la popolazione Rom: i cosiddetti “campi nomadi”, benché i Rom siano stanziali da decenni. Il campo è un microcosmo concluso e conchiuso, un sistema sociale totale autoreferente. L’autoreferenzialità è mantenuta e accentuata dal fatto che i campi sono separati, lontani dalla società maggioritaria, sia in senso sociale che urbanistico. La segregazione in spazi circoscritti e controllati ne fanno dei ghetti degradati, dove gli abitanti vengono discriminati su base etnica e in questa modalità vengono schedati con foto segnaletiche e impronte digitali estese ai minori quattordicenni, non di rado ai più giovani, attraverso sistemi polizieschi pensati per la criminalità organizzata.

    Ecco di seguito una testimonianza di un Rom da un campo di Milano: “Sono arrivati alle cinque e mezzo, hanno circondato il campo, lo hanno illuminato con le cellule fotoelettriche, sono venuti casa per casa, roulotte per roulotte, ci hanno fatto uscire, ci hanno buttato fuori, hanno fotografato le case e poi i nostri documenti. Hanno finito intorno alle sette e mezzo. Io credo che tutti debbano sapere e capire cosa sta succedendo: sono italiano, sono cristiano e sono stato schedato in base alla mia razza”. (da Figli dei “campi” Ass. 21 luglio, 2014) Ora dobbiamo chiederci che percezione possono avere i minori, se non di paura, senso di impotenza, estraneità e ostilità nei confronti del mondo della società maggioritaria? Se volgiamo lo sguardo alla vita nei “campi”, sorprende chi entra, l’intensità della vita relazionale tra gli abitanti. Di fatto, non c’è distinzione netta tra la sfera privata e la sfera sociale nella cultura e nei modi di vita Rom. Nei campi, intensa è la partecipazione alle varie attività della vita quotidiana, la maggior parte delle quali vengono svolte all’aperto a cominciare dalla preparazione dei pasti; anche per l’angustia degli spazi abitativi interni: roulottes, containers e baracche. I bambini percepiti come la maggiore ricchezza, vivono insieme in uno spazio comunitario, (benché degradato e infestato dai topi), liberi di scorrazzare per i campi dove vengono considerati figli di tutti. Se i genitori vanno in carcere, i figli vengono assistiti dalle altre famiglie.

     

    La famiglia Rom e i ruoli femminili e maschili. La famiglia è la cellula fondamentale del mondo Rom. Per famiglia si intendono raggruppamenti di cellule familiari appartenenti allo stesso gruppo o clan di famiglie (ad esempio gli Hamidovic, Salimanovic, Rustic, ecc) che comprendono anche cento e più membri all’interno. I ruoli maschili e femminili sono rigidi e definiti da una cultura in cui il maschio è il capo, la guida, l’identità suprema. Le donne si trovano in una posizione subalterna, hanno il compito della riproduzione, la gestione dell’educazione dei figli, la cura e la gestione delle faccende domestiche. In più sono tenute a contribuire all’economia familiare con il mangel, l’accattonaggio, e non di rado il furto. Le bambine dai primi anni della loro vita vengono preparate al ruolo stabilito dalla cultura Rom e addestrate al mangel ed altro. Il matrimonio è contratto in età precoce (in genere per entrambi i coniugi). Non è raro che la famiglia della sposa, nel contratto di matrimonio, spesso gestito dai rispettivi genitori, riceva un compenso proporzionale alle capacità della sposa di contribuire all’economia familiare (attraverso il mangel). La Rom, quando si sposa, entra nel clan familiare del marito ed è sottoposta all’autorità della suocera. L’età precoce dei matrimoni comporta una grande prolificità, tanto che nei cosiddetti campi la popolazione minorenne è numericamente maggiore di quella adulta. Ciò è dovuto anche alle basse aspettative di vita del popolo dei campi, per le condizioni precarie in cui si trovano a vivere. Ancora, sulle donne, vorrei evidenziare un cambiamento profondo nei modelli di vita, avvenuto con il massiccio ingresso nei campi Rom delle popolazioni Rom provenienti dall’est Europa, in particolare dalla Romania.

    Un altro principio sacro nella cultura Rom è stato infranto: la verginità delle fanciulle fino al matrimonio. Fanciulle che per l’età adolescenziale in cui si sposano sono minorenni. Non è raro trovare giovanissime Rom che si prostituiscono. Per quanto riguarda i maschi, questi seguono le orme degli adulti. Ultimamente, nell’impossibilità di praticare i lavori tradizionali quali ramai, canestrari, musici, giostrai, commercianti in cavalli, ecc e rifiutati nei lavori praticati dalla società maggioritaria, si sono inventati attività autonome come la raccolta e il trasporto del ferro e i mercatini. Nella raccolta e nel trasporto del ferro sono stati impediti in quanto è stato sequestrato il mezzo di trasporto per mancanza di permessi normativi (a Torino e a Cosenza si è trovata una forma di compromesso). I mercatini, realizzati con i prodotti riciclati nella raccolta dai cassonetti, nello svuotamento delle cantine, sono stati chiusi perché alcune mercanzie sono state rubate. Ora dobbiamo chiederci: nel mercato di Porta Portese a Roma, quanti rivenditori offrono mercanzia di dubbia provenienza? Eppure il mercato di Porta Portese è lì tutte le domeniche, come sempre. Così ai Rom rimangono le attività illecite, come l’uso e lo spaccio di droga che era un tabù nel mondo Rom fino agli anni duemila; e i furti perpetrati dai ragazzini, tanto per rimanere nell’ambito dei minorenni. A questo proposito, è importante considerare un aspetto peculiare della condizione giuridica dei minori Rom privi di documenti. La maggioranza nati in Italia o arrivati in età infantile in seguito alle guerre nella ex-Jugoslavia, questi minori, oggi anche maggiorenni, si trovano senza identità anagrafica, in una condizione di non esistenza giuridica e sociale. Si pensi all’impatto psicologico di questi minori fantasma, alla percezione di un sé senza identità, senza spessore, senza futuro. Si pensi al disorientamento relazionale e alla frustrazione che ne derivano. Questa condizione, tutta italiana, deve essere affrontata e sanata al più presto. Siamo già in enorme ritardo. Comunque, è l’intero impianto della normativa sulla cittadinanza che è lacunoso sul piano del diritto individuale e in difetto rispetto al dettato costituzionale.

    Significativo quanto è accaduto a una profuga dalla exJugoslavia di origine Rom che avrebbe dovuto usufruire della protezione e dell’assistenza in base al decreto legge n. 93 sulla temporary protection. Trovandosi sprovvista di documenti e di assistenza, Sevla (nome fittizio), la giovane Rom finisce in un campo Rom di Firenze dove trova ospitalità. Sorpresa a rubare viene condotta al carcere di Solliciano. Sevla è incinta, denuncia la propria condizione, ma non viene creduta. Quando partorisce, in cella si rendono conto della gravità della situazione. Sevla viene condotta d’urgenza all’ospedale di Firenze. Reciso il cordone ombelicale, la neonata viene posta immediatamente in adozione. Riceve il nome di Anna Meloni e diviene cittadina italiana. Una psicologa fiorentina che si occupa con grande abnegazione della questione Rom, venuta a conoscenza del fatto mi chiama disperata. Io metto tutte le energie per rendere la bimba a sua madre. Un’interpellanza parlamentare smuove la situazione. La neonata torna figlia di Sevla. Nello stesso momento perde identità e cittadinanza e come un fantasma segue sua madre in carcere. Cultura orale e difficoltà di integrazione.

    Per quanto riguarda l’integrazione dei Rom nella società maggioritaria dobbiamo considerare la specificità della cultura Rom fondamentalmente di tipo orale. I valori e i comportamenti di ruolo vengono trasmessi per contagio psicologico e apprendimento imitativo diretto, tanto più rigido, quanto più separato, chiuso e autoreferente è il contesto. Bisogna tener conto che una parte consistente, se non la maggior parte, della popolazione dei campi non è alfabetizzata. L’esperienza degli operatori volontari all’interno dei “Campi” Rom mette in luce una delle maggiori difficoltà di inserimento dei Rom nella società maggioritaria. La cultura orale non contempla il saper leggere e scrivere. Ciò comporta l’impossibilità di comprendere le normative e, più semplicemente, le indicazioni scritte, che sono alla base del sistema sociale della società maggioritaria. Negli uffici delle amministrazioni locali, nelle ASL, negli ospedali, nelle scuole, per non parlare dei tribunali, le difficoltà di comunicazione dei Rom sono all’ordine del giorno. Non solo, il non saper leggere rende difficile ai Rom sapersi destreggiare nella toponomastica urbana. La mancanza di alfabetizzazione è tanto più grave se consideriamo, l’altissima mortalità scolastica dei minori Rom i cui genitori non comprendono l’importanza dell’obbligo scolastico.

    Autrice – Marcella Delle Donne

    È docente di Sociologia e Sociologia delle relazioni etniche all’Università La Sapienza di Roma. Ha allestito il Museo demo-etno-antropologico a Pontecorvo. È membro dell’Executive Committee dell’European Association for Refugees Research, è̀ vicepresidente dell’associazione Cittadinanza e Minoranze.
    Ha pubblicato testi scientifici, tra cui Lo specchio del “non sé” (Liguori 1997), Convivenza civile e xenofobia (Feltrinelli 2000), Un cimitero chiamato Mediterraneo (Derive/Approdi 2004), Camele, il Diavolo e il Santo (Liguori 2007) e creativi: il romanzo Cuore di zingara (Ediesse 2014) e la raccolta poetica A Nord, a Sud del Mediterraneo (Ediesse 2015). Recentemente è uscito Donne donne eterni dei

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