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    Home»Pari opportunità»Donne politica»Colombe nel cappello (del prestigiatore)
    Donne politica

    Colombe nel cappello (del prestigiatore)

    Marta AjòBy Marta Ajò22/02/2017Updated:22/02/2017Nessun commento5 Mins Read
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    colomba-cappello-prestigitore
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     Un profondo disagio si sta palesando da tempo nel nostro Paese ed è meglio che sia esplicitato piuttosto che rimuginato in un rancore solitario

    Premessa.
    L’Italia è il nostro Paese, è bello e lo amiamo. Vorremmo che lo amassero anche i nostri figli e nipoti. Lo rispettiamo e vorremmo che fosse rispettato. Volevamo, vogliamo, vorremmo e speriamo che Esso tenga conto della nostra dedizione insieme alle nostre speranze. Vorremmo che la sua storia passata per la conquista della libertà, la democrazia, quella più recente delle conquiste civili, dei diritti umani, dell’accoglienza, del bene comune e quei principi di Patria in cui siamo cresciuti e in cui abbiamo creduto non si alienassero in un quotidiano, insopportabile, stillicidio della cosa pubblica.

    Un profondo disagio si sta palesando da tempo nel nostro Paese ed è meglio che sia esplicitato piuttosto che rimuginato in un rancore solitario
    Certo e per fortuna c’è anche un’apparente tranquillità, che ci vuole fare vivacchiare sballottati, distratti fra un Sanremo, un’Isola dei “famosi”,  gossip,  vincite di pacchi (di soldi), fiction, prove di cuochi, ricette, moda e varianti sui temi mentre, ancora storditi dalla pubblicità,  ci ritroviamo sempre più spesso a dovere fare i conti con un’altra realtà.

    Un’altra realtà che pur essendo dietro l’angolo appare lontana, violenta, ignorante e diseducativa in cui  ognuno diventa protagonista e comparsa di un sistema.

    Ci vuole altro che la magia a  dare le risposte possibili.
    Il prestigiatore, che promette di tirare fuori dal cappello la colomba, potrebbe non eseguire bene il numero e metterci davanti all’ennesima disillusione.
    colomba-MarinoPer quanto riguarda chi scrive, da disillusa provo a chiedermi cosa avrei voluto vedere uscire da quel cilindro.
    Dunque, essendo donna, cocciutamente donna ma anche e soprattutto cittadina libera e partecipe, mi intigno ad osservare ciò che accade nel mio mondo, quello di genere e nella mia rappresentanza, in questi tempi.
    Banalmente mi riferisco al Comune Roma e al dibattito nel PD.

    La sindaca Virginia Raggi, mi piacerebbe che ci avesse pensato almeno una volta, è stata votata da una massa di cittadini/e romani esasperati dal degrado territoriale ed amministrativo tra cui moltissime donne che non aderivano idealmente al Movimento ma che hanno voluto credere in lei. Nella forza della differenza, nella speranza-certezza che avrebbe dato il meglio della perseveranza, mediazione, interpretazione dei bisogni, impegno per una diversa organizzazione sociale (scuole, servizi, trasporti ecc.), confidando nella capacità di sapere porre autorevolmente le questioni anche al governo nazionale in un rapporto diverso con il potere, con la politica, con l’inciucio e con il compromesso. In attesa che la magia del cappello si compisse piaceva l’idea che una giovane donna, a capo della Capitale d’Italia, avesse dimostrato a tutti che poteva essere vero, che una donna messa nel posto giusto avrebbe fatto la differenza.

    Il gioco di prestigio non è riuscito e la colomba è uscita dal cappello con le ali spezzate. Così il prestigiatore le ha messo i fili e ha continuato a muoverla come una marionetta.

    Il cappello di un prestigiatore, si sa, è pieno di sorprese e pieno di colombe.
    Quelle che di ali ne hanno due, che hanno volato in totale apertura, che solo successivamente sono incappate per sbaglio o ingabbiate dal prestigiatore, quelle che ogni tanto riescono ad uscire, volano a stento, in spazi e apertura d’ali ridotti

    Così le donne dalle quali ci sentivamo, direttamente o indirettamente, rappresentate nei luoghi della politica.
    E mentre il numero delle vittime, anche bambine, di violenza, omicidio, sfruttamento di genere cresce in modo inusitato le istituzioni non riescono ad arginare il fenomeno.
    Nei decenni passati ci sentivamo orgogliose di avere raggiunto la cosiddetta parità, parziale quanto faticosa. Che man mano che la globalizzazione, la digitalizzazione, la modernità procedevano è stata incredibilmente ricondotta in un alveo insicuro e indeterminato. L’inserimento nel mercato del lavoro è calato ed è rimasto poco qualificato, la questione della  mediazione famiglia-cura-società non appare risolta, la cultura rimane basata su stereotipi ancora più mercificatori che in passato del corpo femminile.

    C’è un messaggio in ciò che sta accadendo che non andrebbe trascurato.
    Quel poco, o tanto, che esisteva è andato vanificandosi nella politica della rottamazione-liquidazione del preistorico.
    Cosi le Commissioni, i Comitati, gli organismi femminili che svolgevano comunque la funzione di anello di congiunzione tra elaborazione e proposizione si sono dissolti. Non sulla carte, no! Nella impossibilità di agire e di essere ascoltati. Solo organismi e decreti burocratici esistenti sulla carta.

    Ormai nella politica le donne di rappresentanza ci sono solo nel PD.
    Ecco perché mi sarei aspettata da loro qualcosa di diverso dalla materna attitudine a consigliare di “non fare i capricci, fate la pace”, siamo una famiglia.
    Come hanno fatto importanti nomi di quella nomenclatura.  Un appello all’unità era cosa dovuta (lo hanno chiesto tutti) e, in quell’appello, l’unica differenza era il genere delle firmatarie. E poi? Qualche intervento nelle loro assemblee (perché a volte bisogna dimostrare di esistere).
    Ma, prima di arrivare all’oggi-ora-qui del PD, le stesse che hanno avuto ruoli centrali non solo nel partito ma nel governo, possibile che non abbiano mai avuto niente da dire?

    In politica niente avviene per caso. Scelte nobili e meno nobili s’intrecciano come le carte veloci di un prestigiatore ma se sai che il trucco c’è puoi sfidare anche l’illusionista. Si rifaranno, in corso di congresso, per la richiesta e la  conta di quote e rappresentanza, incarichi da ricoprire, tattica vecchia. Sarebbe piaciuto di più che qualcuna uscisse allo scoperto in questo scontro per spiccare un volo alto.

    La sensazione è che le donne siano un po’ ancora dentro il cilindro e si affidino alla mano del prestigiatore che sperano le tirerà fuori, mentre altre preferiscono restare invisibili, chissà, forse verranno risparmiate e altre ancora conservano a loro insaputa quell’atteggiamento materno, quello impossibile da imitare e da perdere, e salvifico per i loro prestigiatore che tanto sta faticando.

    La magia è sempre la stessa, banale e riconoscibile. Forza colombe, fuori dal cappello!

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    Marta Ajo
    Marta Ajò
    • Website

    Marta Ajò, scrittrice, giornalista dal 1981 (tessera nr.69160). Fondatrice e direttrice del Portale delle Donne: www.donneierioggiedomani.it (2005/2017). Direttrice responsabile della collana editoriale Donne Ieri Oggi e Domani-KKIEN Publisghing International. Ha scritto: "Viaggio in terza classe", Nilde Iotti, raccontata in "Le italiane", "Un tè al cimitero", "Il trasloco", "La donna nel socialismo Italiano tra cronaca e storia 1892-1978; ha curato “Matera 2019. Gli Stati Generali delle donne sono in movimento”, "Guida ai diritti delle donne immigrate", "Donna, Immigrazione, Lavoro - Il lavoro nel mezzogiorno tra marginalità e risorse", "Donne e Lavoro”. Nel 1997 ha progettato la realizzazione del primo sito web della "Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità" della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il quale è stata Editor/content manager fino al 2004. Dal 2000 al 2003, Project manager e direttrice responsabile del sito www.lantia.it, un portale di informazione cinematografica. Per la sua attività giornalistica e di scrittrice ha vinto diversi premi. Prima di passare al giornalismo è stata: Consigliere circoscrizionale del Comune di Roma, Vice Presidente del Comitato di parità presso il Ministero del Lavoro, Presidente del Comitato di parità presso il Ministero degli Affari Esteri e Consigliere regionale di parità presso l'Ufficio del lavoro della Regione Lazio.

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Appunti di viaggio.

Di Alfredo Centofanti

Bari. La città vecchia è un labirinto di vie che raccontano infinite storie. Inarrestabile è il vociare degli abitanti nel dialetto locale, dei tanti turisti stranieri, dei pellegrini che da secoli vengono qui per venerare San Nicola, amato tanto dai cattolici quanto dagli ortodossi.
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