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    Home»Costume e società»Cultura»Portare la vita in salvo
    Cultura

    Portare la vita in salvo

    ANTONIA CHIARA SCARDICCHIOBy ANTONIA CHIARA SCARDICCHIO04/09/2016Updated:04/09/2016Nessun commento6 Mins Read
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    portare-la-vita-in-salvo
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    Perchè sì: ci sono libri che ti salvano

    Le effimere e la fortezza

    Non ho mai scritto di libri,  qui.
    Ma questo  mi ha preso e mi ha trapassato – passato attraverso – neanche fossi una maglia a buchi larghi.  Proprio io che mi tengo tutta stretta.
    Proprio io che le lacrime le addomestico e devo darmi il permesso prima di sentirmi debole.
    Questo ha divelto le mie serrature.
    Comincia piano.

    Ho ben chiaro il motivo per cui è successo.  Com’è che succede che ti arriva dentro la pancia.
    Vito scrive benissimo ma non è lo stile né la capacita d’espressione.
    Le parole sono tutte perfette,  non una poteva stare altrove.
    Ma prima di esse è qualcos’altro che ti affonda.
    Come uno che ti mette la testa sott’acqua senza preavviso.
    Certo,  non é affatto una bella sensazione.
    Riemergendo riprendi fiato e pensi di essere stato un pò all’inferno
    Eh si, questo libro ti ci porta.
    No, non è noir né macabro.
    La realtà sovente non ha bisogno di artifici retorici per sapere di thriller.
    È e basta.
    E che la maggior parte di noi umani scrive e pure parla proprio con lo scopo preciso di raggirarla.
    Edulcorarla.
    O inasprirla (che tanto é la stessa cosa).

    portare-la-vita-in-salvo2Uno che ti ci mette di fronte, invece, è uno senza pelle.
    La vita gli ha chiesto di cambiarla e lui se l’è lasciata sfilare.
    Urlando come un pazzo, sì,  ma senza mai cedere alla tentazione di morire e di farlo orgogliosamente: da solo.
    E questa specie particolare di umani sopravvissuti – li riconosci da come ti sguainano autenticità,  candore e virilità,  siano maschi o femmine sono contemporaneamente indifesi ed imperatori ,  frangibili ed amazzoni –  ha il superpotere di fare altrettanto con chi gli si para davanti. Cioè?
    Ti scortica.
    Che è una cosa devastante.
    Cazzo.  Perché mai il tuo dolore dovrebbe essere il nostro?
    C’abbiamo già una vita dura e quello che è capitato a te.. solo a te… Probabilisticamente impossibile che si ripeta… Tientelo per te,  Vito Calabrese2.
    Scrivo questa frase ossidrica perché l’hanno detta un giorno a me.
    Mia figlia è autistica e tra le sue bizzarie c’ha pure che salta e 60kg che saltano fanno rumore.  Assai.  Non ha senso sminuire: io a volte mi sento impazzire per quella sua bulimia di baccano.
    Sicché la signora del piano di sotto legittimamente patisce pure lei questa assurdità.  Ed io la incontravo e le chiedevo scusa. Finche lei mi diede quella risposta.
    “Il dolore è tuo.  Perché dovrei conoscerlo anche io? “3
    Assolutamente…. Razionale.  Non trovate?
    Logica pura.
    La mente di ognuno si difende.

    Ma non nelle anime superiori.
    Queste si spogliano,  invece che proteggersi ed attaccare.
    Si disarmano e disarmandosi ti obbligano a essere vero: allora o resti o te ne vai.
    Non puoi più recitare. La parte ipocrita di quel dolore che fai finta di condividere mentre in realtà stai pensando che fortuna che non sia capitato a me.
    E taluni pure lo specificano nelle loro preghiere: “Signore, per piacere, ricordati di me che ti sono fedele: proteggimi dal destino di quello.
    Non lo merito, segnatelo che la domenica lascio sempre l’offerta nel cestino.”.
    Come se credere in Dio significasse avere una garanzia. E come se questo Dio fosse fazioso. E dispensasse il Bene solo in seguito ad oboli, neanche fosse una macchinetta per il caffè.
    E vabbè.
    Vito mi dice di essere ateo.
    Già da prima, mica da dopo il fattaccio.
    Ora, però, la verità è per me che io ho letto un libro di psicologia e politica, d’amore e terrore, un saggio scientifico e di…teologia.
    Io non so che forma abbia Dio.
    Però mentre mi smagliavo e mi scorticavo leggendo, sentivo e pensavo che se uno incontra l’inferno e poi lo prende e lo chiama per nome e lo usa per averci una colluttazione che all’improvviso diventa un tango… e occhi negli occhi della morte, che fa? Le toglie quello che lei ha di più caro: le toglie sterilità. E la feconda! Allora c’è che se Dio non è in questa storia- in questo uomo- in quella donna- in quel fottuto omicidio- in questa irrazionale vita che reclama non solo “perché” ma soprattutto coraggio… Allora io non so dove altro sia.
    Se non nelle creature che ne replicano la resurrezione.
    E senza preavviso io in questo libro io ho pregato.  No,  nessuna litania,  nessuna formula,  niente,  lo giuro,  vicino ad una preghiera fatta bene, con le parole giuste.
    Ho pregato perché tra quelle righe c’era tutto il senso del mio stesso destino: vivere,  spaccarsi,  disperatamente cercare di scoprire di resistere,  non morire,  imparare a morire, stare in salvo,  sì,  salvarmi.
    Allora forse si chiama Dio ed al contempo – nel medesimo istante – ha il nome di un uomo.
    Uno che è ateo eppure ti prende e ti getta nel mistero che siamo. E sa parlare di amore e morte, insieme.
    Che non è una bestemmia.
    É un miracolo.
    Assurdo.
    Logico.

    ( Il dolore è tuo,  Vito Calabrese.
    Ed anche mio.
    E pure la tua poesia,  adesso che l’hai scoperchiata, esplosa ti  lancia a raffica sulla nostra pelle.
    Scorticata.
    Io, adesso che il libro l’ho appena appena chiuso, mi sento di fare quello che si fa quando si entra in chiesa.  Stare in ginocchio.

    E dire grazie.
    E respirare.
    E dire grazie.
    E continuare a piangere un altro pò,  ora che le mie maglie si sono allargate.)

    __________________________________________________________

     Note
    1. Vito Calabrese, Portare la vita in salvo. Edizioni la meridiana, 2016
     2. Lui, Vito, è psicologo. Ed è il marito di Paola Labriola, la psichiatra uccisa a Bari nel 2013 da un suo paziente.
    Non avevano litigato, non ci fu alcuna discussione.
    Lui è arrivato, l’hanno chiamata, lei era in visita.
    Quando è uscita, è andata verso di lui e gli ha detto “scusami per averti fatto attendere, andiamo pure di là”. E gli ha voltato le spalle per precederlo nel corridoio.
    E lui l’ha accoltellata.
    3.  Per dovere di cronaca, letteralmente la frase fu “La disgrazie ie la toje! Ppccè l’egghia pagà pur ie?”
    Non traduco dal dialetto perché in italiano la traduzione letterale suonerebbe più violenta. Rinuncio al testo… basta il paratesto

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    ANTONIA CHIARA SCARDICCHIO

    Antonia Chiara Scardicchio, dal 1998 è formatrice e studiosa di educazione degli adulti, resilienza e connessioni tra arte e scienza. Dal 2005 ricercatrice presso l’Università di Foggia dove insegna presso il c.d.l. specialistica. Nel marzo 2014 è stata insignita della prima edizione del Premio Italiano di Pedagogia. Dalla primavera 2013 è coordinatore del Festival della Complessità per l’AIEMS (Ass. It. di Epistemologia e Metodologia Sistemica) a Bari. E’ autrice di pubblicazioni scientifiche internazionali e nazionali. Appassionata di neuroscienze, Zavattini, patatine fritte, Erri De Luca, Jovanotti, filosofia, arte contemporanea, Italo Calvino, Roberto Benigni e Gregory Bateson. Con le Edizioni La Meridiana ha fondato, nel gennaio 2015, la prima HOPE SCHOOL italiana: www.hopeschool.edizionilameridiana.it

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