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    Home»Pari opportunità»Donne politica»Non andare a votare? Una richiesta che suona pericolosa per le donne
    Donne politica

    Non andare a votare? Una richiesta che suona pericolosa per le donne

    Marta AjòBy Marta Ajò15/04/2016Nessun commento4 Mins Read
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    DONNE-VOTO
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    Era il 10 marzo 1946 quando le donne italiane furono chiamate per la prima volta a votare.Trasformate per legge da angeli del focolare a cittadine votanti-esseri pensanti, le donne diedero nei decenni successivi il proprio contributo personale ai cambiamenti del Paese

     

    Appartenenti a tutti i ceti, operaie, borghesi, religiose, tutte si accinsero per la prima volta a sperimentare la propria autonomia di voto e di pensiero, all’interno delle urne. Anche se, dentro queste “contenitrici, forse le mani tremavano, accompagnate ancora da scorie di una cultura politica, familiare e culturale bel lungi dal riconoscerle interamente come soggetti autonomi e pensanti; anche se probabilmente qualcuna aveva nel taschino un foglietto con un’indicazione da copiare, ad attestare la volontà di mantenere le donne in una presunta ignoranza e dipendenza. Trasformate per legge da angeli del focolare a cittadine votanti-esseri pensanti, le donne diedero nei decenni successivi il proprio contributo personale ai cambiamenti del Paese. Fu, quel giorno di 70 anni fa, sicuramente una sperimentazione politica generale che si confrontava per la prima volta con la forza numerica dell’altro genere. Per le donne una sperimentazione personale di autonomia, un momento di consapevolezza che presto avrebbe cambiato anche i rapporti sociali.

    Oggi, dopo 70 anni da quel giorno, che le rese orgogliose della Patria e dei suoi valori, alle donne viene chiesto indirettamente ma ancora una volta di ubbidire e non andare a votare per il referendum della prossima domenica. Una chiamata a prendere una decisione di cui esse, ormai protagoniste, non hanno bisogno di spiegazioni né di suggerimenti. Sia per un si che per un no, ciascuna potrà scegliere e votare secondo la propria coscienza.
    Infine, l’ indicazione di astenersi dal voto, data da alte cariche dello Stato, dal punto di vista femminile appare ancora più grave perché si chiede in sostanza di venire meno ai propri doveri-diritti e rinunciare così due volte ad espletare quell’atto che 70 anni fa sembrava ancora impossibile. Una volta perché nella partecipazione al voto referendario di domenica prossima, 17 aprile, le donne esprimono contemporaneamente un’ indicazione di politica e di governo ma anche perché espletano contemporaneamente il diritto di cittadine che mirano a misurarsi con le scelte future. Basti ricordare il ruolo determinante delle donne nel referendum del 1974 sul divorzio e in quello del 1981 per cancellare la legge sull’aborto del 1978.
    Qualcuno, forse troppi, puntano ancora sul fattore ignoranza. Eppure dovrebbero riflettere che il referendum “sulle trivelle” come viene definito, non può avere per le donne minore valore o minore importanza di altri. Chiamare alle “non-urne” non è un bell’esempio. Puntare sull’agnosticismo o la diserzione non da senso alla cittadinanza e non è un bel messaggio per le giovani generazioni.

    Si sa, o pensano di sapere, che le donne la domenica mattina preparano il pranzo per il marito, i figli, i nipoti; puliscono la casa; stirano tutto il bucato della settimana; nella migliore dell’ipotesi fanno una gita fuoriporta e certo anche questi, più o meno, sono diritti conquistati con la pace, il benessere e una modernità da mantenere e coltivare. Ci sono momenti però che devono portare a scelte prioritarie rispetto agli interessi individuali che sono quelle per il bene comune. Questo è il valore popolare del referendum. Per questo non possiamo sottrarci salvo accettare di esserne chiamate fuori e comprovare l’ignoranza nel merito.
    Per questo a quelle donne, alle quali ci si rivolge per disertare le urne e che diventare l’ago della bilancia, dovrebbe essere chiaro che per continuare ad essere protagoniste dei cambiamenti, partecipare al progresso e non regresso del proprio Paese che sarà quello dei loro figli e nipoti, la partecipazione di voto nelle urne è una “chiamata” al dovere e non un optional.
    Ciascuna sarà libera di scegliere nel merito sapendo che un si o un no può contare. In quest’ottica di libertà e in risposta ad un richiamo coercitivo di presenza-assenza dovrebbero sentire ancora di più la necessità di partecipare.
    Il voto è anche nostro! Ce lo siamo conquistato e a nessuno, proprio nessuno, deve venire in mente di delimitare-circostanziare un diritto che non può essere concesso-utilizzato-detratto esercitando un potere che, questo si, non è stato dato per mandato democratico .

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    Marta Ajo
    Marta Ajò
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    Marta Ajò, scrittrice, giornalista dal 1981 (tessera nr.69160). Fondatrice e direttrice del Portale delle Donne: www.donneierioggiedomani.it (2005/2017). Direttrice responsabile della collana editoriale Donne Ieri Oggi e Domani-KKIEN Publisghing International. Ha scritto: "Viaggio in terza classe", Nilde Iotti, raccontata in "Le italiane", "Un tè al cimitero", "Il trasloco", "La donna nel socialismo Italiano tra cronaca e storia 1892-1978; ha curato “Matera 2019. Gli Stati Generali delle donne sono in movimento”, "Guida ai diritti delle donne immigrate", "Donna, Immigrazione, Lavoro - Il lavoro nel mezzogiorno tra marginalità e risorse", "Donne e Lavoro”. Nel 1997 ha progettato la realizzazione del primo sito web della "Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità" della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il quale è stata Editor/content manager fino al 2004. Dal 2000 al 2003, Project manager e direttrice responsabile del sito www.lantia.it, un portale di informazione cinematografica. Per la sua attività giornalistica e di scrittrice ha vinto diversi premi. Prima di passare al giornalismo è stata: Consigliere circoscrizionale del Comune di Roma, Vice Presidente del Comitato di parità presso il Ministero del Lavoro, Presidente del Comitato di parità presso il Ministero degli Affari Esteri e Consigliere regionale di parità presso l'Ufficio del lavoro della Regione Lazio.

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