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    Home»Costume e società»Cultura»Lui “baciato dal sole”, io dalla noia
    Cultura

    Lui “baciato dal sole”, io dalla noia

    Daniela AstreaBy Daniela Astrea24/02/2016Updated:24/02/2016Nessun commento6 Mins Read
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    baciato-dal-sole
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    La curiosità per una huova fiction può tenere attaccati allo schemo solo se è un buon prodotto, ma se fa annoiare ed è pieno si stereotipi, respinge.

    La spettatrice

    Da curiosa del web, posso dire di aver scoperto willwoosh e il suo canale YouTube quando aveva caricato il suo primo video e di averlo caldamente consigliato a tutte e tutti: mi faceva davvero ridere il suo modo acuto e ironico di porsi e per alcuni anni guardare i suoi video è stata una piacevole fonte di svago. Poi sono arrivati i vari eventi in giro, qualche film e tanto silenzio mediatico fino alla ricomparsa, prima graduale e poi fissa sui social. Proprio tramite essi ha annunciato di aver preso parte a una fiction che sarebbe stata poi trasmessa da Rai 1: un evento vero e proprio che non avevo intenzione di perdermi. Quindi, recuperando ancora una volta il decoder che stacco e ripongo vista la mia scarsa attitudine a tenere accesa la tv, per due serate ho fatto parte del pubblico di telespettatrici che preme il tasto “uno” del suo telecomando e non abbandona la visione di quanto proposto sul primo canale di Mamma Rai.
    Comincio col dire che mi è costata davvero fatica non spegnere il televisore: raramente mi è capitato sotto gli occhi un prodotto così mal confezionato. Non so da dove partire per esprimere il mio disappunto, ma mi darò una priorità e comincerò a parlare degli attori. Ebbene, pur contando sulla presenza di un cast non malvagio, la recitazione lascia davvero molto a desiderare. Bobulova e Zeno sono tutt’altro che dilettanti: la prima ha dato prova di notevoli capacità interpretative in più lavori e mi ha davvero contrariato vederla così dimessa e sottotono. Questa fiction si intitola Baciato dal sole e vede nel ruolo di protagonista Guglielmo Scilla, appunto lo youtuber che ho seguito per circa sei anni e che non si era mai messo alla prova con la lunga serialità (sono solo sei le puntate, e per fortuna) ma che nemmeno mi aveva poi convinto nei suoi lungometraggi. Ripeto, la mia curiosità, mista ad una sorta di affetto (oppure alla sindrome di Pippo Baudo, nel senso che per una volta avrei potuto dire ai miei “questo l’ho scoperto io”) è stata la spinta che mi ha animata di buone intenzioni nonostante avessi il presagio che di un gran polpettone si trattasse. La prima puntata è stata rivelatrice. Anzi, dovrei ammettere che tutta la trama mi era già chiara dalla messa in onda degli spot: forse ho troppa fantasia, o forse ne hanno poca gli autori, chissà. Dicevo: ho seguito la prima puntata stancandomi per la regia, la fotografia, i dialoghi. Un piattume soffocante. Persino lo sdoganamento delle parolacce in prima serata, mi è sembrato all’acqua di rose: i personaggi non funzionano, non hanno spessore. Non è che io sia abituata alle fiction da anziani di Rai 1, è che questa non mi pare ben fatta, e il calo di ascolti rilevato già nella seconda messa in onda non credo sia dovuto a me: fedele e masochista, ho guardato il seguito, continuando ad annoiarmi molto.

    I personaggi sono stereotipi, attuali, ma sempre stereotipi. I luoghi in cui si muovono sono asfittici e privi di colore. Il mondo della tv non ne esce bene (era un tentativo di denuncia sociale?) e la spregiudicatezza dei “cattivi” unita alla bontà disarmante dei “buoni” conferisce un effetto grottesco al risultato finale. Gli uomini sono: il ragazzo sognatore ma tormentato dal triste passato; il tipo geniale, ma alcolista che verrà salvato; il cattivissimo e spregiudicato che verrà punito. E non finisce qui, Per dare velocemente il colpo di grazia al tutto, ecco la rappresentazione femminile più antica del mondo: Anna, l’amica che ama in silenzio il protagonista e si immola per lui, rinunciando a tutto (e che credo, alla fine lo conquisterà). Ma a lei si uniscono Milla, la snob, ricca e viziata, che si fa di cocaina, non ha i genitori e ferirà il protagonista cotto di lei e Diana, la manager rampante ma dalla disastrosa vita affettiva e relazionale. Una che ha lauree, master e prestigiosi incarichi ma non uno straccio di figlio o di uomo.
    No! Per me è troppo.
    Sembrano maschere, non hanno respiro. I capovolgimenti che si intuiscono riguarderanno la popolarità del ragazzotto di provincia ( viene da una Puglia stranissima, priva di sbocchi per i suoi giovani che si vestono come fossero fermi a venticinque anni fa) che gli porterà grandi dubbi esistenziali e nuovi dolori: il sentirsi estraneo al mondo da cui proviene e l’avvicinamento con personaggi perfidi e doppiogiochisti tutti facenti parte del mondo dello spettacolo. Quindi, come da buona favola moderna, il caro vecchio lieto fine con ravvedimento generale ed esaltazione dei buoni principi. Vorrei tanto essermi sbagliata sulle mie previsioni, tuttavia non credo di essermi discostata molto da quanto avverrà nelle restanti puntante. Ritrovamento della madre perduta compreso. Tutt’al più, si scoprirà che è morta. Ma tant’è.
    Uno spiraglio di realtà sarebbe potuto venire dai due genitori adottivi del protagonista, Elio Sorrentino. Il padre ha debiti e la sua impresa ha problemi con banche e creditori e suo figlio aveva scelto di partecipare al reality (che poi non ha vinto per un imbroglio) solo per donare i duecentomila euro della vincita a lui e salvargli il lavoro. L’uomo, orgoglioso testardo del Sud, non accetta questa generosa offerta e continua a dire che tutto va bene, mentre deve tenere chiusa l’azienda. La madre adottiva (in un periodo in cui sulle adozioni si fa un gran parlare) non si discosta dal cliché delle figure femminili tutte ansie, lacrime e bisogno di primeggiare: primeggiare sulla vera madre che lo ha abbandonato a tre anni per non farsi più viva e che gli appare sotto forma di visioni o sogni sudaticci. E poi, il colpo di grazia: la cucina pugliese come arma di distruzione di massa. Due incauti autori provenienti da Roma, osano chiedere asilo in casa della suddetta mamma e via un tripudio di orecchiette e cime, dolci, vino Primitivo e addirittura l’offerta di dormire nella cameretta del figlio assente. Loro con le pance all’aria e le battutine d’ordinanza, lei che non accetta rifiuti sulle pietanze offerte e poi arrossisce per dei bacetti ricevuti come ringraziamento. Ecco, io a quel punto credo di aver toccato il fondo. Mi si è rimescolato dentro tutto un ragionamento sulle rappresentazioni delle figure femminili nelle produzioni televisive italiane e solo il confronto con quelle maschili che, questa volta, non erano meno standardizzate e caricaturali, mi ha calmata. Delizioso Neri Marcorè che interpreta se stesso, ma un grande non può salvare tutta la baracca.
    Difficilmente tirerò di nuovo fuori il decoder, lo prometto!

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    Daniela Astrea

    Daniela Astrea - laureata in Filosofia con un tesi in Studi di genere, si occupa da anni di studi femministi in vari campi: cinema, letteratura, arte. Ha organizzato eventi, fatto parte di collettivi, lavorato in un’agenzia pubblicitaria come copywriter, pubblicato saggi e articoli sulla storia delle donne.

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