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    Home»Food»La spesa ai tempi dell’Expo
    Food

    La spesa ai tempi dell’Expo

    Annarita TriaricoBy Annarita Triarico27/01/2015Updated:11/11/20152 commenti4 Mins Read
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    pane-pomodoro
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    Riflessioni semi-serie per sopravvivere “all’anno del food”.

    di Annarita Triarico

    Prima vennero gli chef.
    Il sarcasmo al vetriolo di Gordon Ramsay, capace di far tremare perfino le padelle di Hell’s Kitchen. Le goduriose tentazioni di Nigella, pronte in un lampo – che quasi si cucinano da sé. La faccia da eterno bravo ragazzo di Jamie Oliver, con le sue immancabili camice a quadri. Il “vuoi che muoro?” di Joe Bastianich. Ma anche la patatina di Cracco, che si è beccata il cartellino rosso da parte dei puristi del food.

    A noi italiani piace mangiare. E parlare di cibo. Ognuno di noi, a suo modo, si considera un esperto, un intenditore in qualcosa (un vino, una ricetta, una preparazione…). E non ci tiriamo di certo indietro quando si tratta di giudicare un piatto. Pensate forse che il cibo sia un argomento neutro? Provate a rivelare davanti a una tavolata di amici e parenti che siete vegetariani o vegani. O, meglio ancora, crudisti. Scatenerete reazioni verbali a catena da far impallidire la De Filippi. O una tifoseria di ultrà. Altro che diatribe politiche. Il “tutti d’accordo” su una cosa qualunque, fosse pure il giusto grado di cottura della pasta, è una pia illusione.

    Quest’anno però le cose si fanno serie. C’è l’Expo 2015. Sono mesi che gli spot televisivi ci ricordano che abbiamo gli occhi di tutto il mondo puntati su di noi. Chissà se i protagonisti della recente bufera giudiziaria sugli appalti truccati hanno capito di aver preso una cantonata: l’Expo (cito dal sito ufficiale) “sarà il più grande evento mai realizzato sull’alimentazione e la nutrizione”. Capito? Loro invece credevano fosse il solito magna-magna.
    Nessuno glielo aveva spiegato.

    A ottobre, durante lo scorso Salone del Gusto a Torino, sono rimasta vari minuti ad esaminare una mappa virtuale di parte di Expo 2015. E non riuscivo granché a raccapezzarmici, colpa sicuramente del mio pessimo senso dell’orientamento. Al vicino stand mi hanno gentilmente consegnato del materiale informativo ufficiale gratuito: una sorta di guida del peso di quasi 5 etti.
    Da allora mi faccio una domanda.
    Come faranno i 20 milioni di visitatori attesi da ogni nazione del mondo a programmare e soprattutto a gestire la loro “food experience” rispetto ad un evento che comprende 1,1 milioni di metri quadri di superficie espositiva?
    Si fa presto a dire “vado all’Expo 2015”.
    E’ il tornare dall’Expo semmai il difficile.
    Già mi immagino vagare tra stand e padiglioni, carica di deplian e cartelle stampa, con l’acido lattico che tortura sadicamente l’intera estensione dei miei arti inferiori.

    Una maratona. Una grande abbuffata di tutto ciò che è legato al mondo del food.
    Un “all you can eat” del settore.
    Certo, con proposte scelte, ma sempre all’insegna del trionfo dell’over-size.
    Insomma: come si fa a digerire una cosa gigantesca come l’Expo?

    Avete presente i tipici banchetti di nozze, di quelli ancora in uso in alcune parti del sud Italia?
    I nostri padri e i nostri nonni potevano mangiare ininterrottamente per ore senza risentirne. Noi, più sedentari e soprattutto abituati a una maggiore varietà e quantità di cibo nella nostra dieta quotidiana, non ne siamo più in grado.
    Perché non abbiamo più la loro stessa fame.

    Il cibo è “di moda”. Cucinare “è di moda”. Il food è diventato una moda di cui tutti i media si occupano. L’eccesso di spettacolarizzazione rende superficiale e consumistica la nostra percezione del cibo. Lo vogliamo a buon mercato, sempre disponibile e in gran quantità. Ne abbiamo smarrito il reale valore, perché non sappiamo più cosa significhi produrlo da zero. E finiamo per buttarlo dopo averlo conservato in frigoriferi che nelle nostre cucine sono diventati via via sempre più grandi. Nel frattempo, le risorse del nostro pianeta si assottigliano a ritmo impressionante e le sostanze inquinanti rendono la terra sterile e malata, la biodiversità è a rischio. Il nostro sistema alimentare, basato sul profitto a breve termine, strangola i contadini a favore della grande distribuzione e riduce alla fame le popolazioni dei paesi più poveri. Ottenere cibo sostenibile per tutti, evitando la schiavitù che vorrebbero imporci le multinazionali degli Ogm, è una sfida in pieno svolgimento. E’ c’è chi, in questa sfida contro poteri economici forti, ci rimette anche la vita.

    Anche questo è il food. E chi fa del suo meglio per informarsi ed effettuare scelte d’acquisto consapevoli (cibo a Km 0, Gruppi d’acquisto, Commercio equo e solidale, boicottaggio dei prodotti delle multinazionali responsabili di crimini in paesi in via di sviluppo etc.) si ritrova sempre e comunque in minoranza.

    Può, dunque, un’Esposizione Universale di questo tipo “nutrire il futuro”, come si propone?

    “Stay hungry stay foolish” raccomandava Steve Jobs.
    Ma nel caso del food, forse dovremmo seguire solo la prima parte di questo consiglio

     

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    Annarita Triarico
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    Annarita Triarico – Giornalista pubblicista di Roma. Curiosa, eclettica, golosa e un po’ naif. Battitore libero (come mi definì tempo fa l’Editore per il quale lavoro). Stacanovista loquace, perfezionista ad oltranza e felicemente mass media-adjected. Potete trovarla sul suo food blog, La Reflex nel piatto www.lareflexnelpiatto.com

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    2 commenti

    1. Annarita Triarico on 28/01/2015 14:27

      E voi? Come “digerirete” l’Expo?

      Reply
    2. papio54 on 29/01/2015 17:48

      Non so come digerirò Expo, che mi inquieta assai. Sono contenta che, dopo una partenza un po’ priva di anima, si sia avviato il Protocollo di Milano: chi lo firma (e pare lo abbiano firmato in tanti, in tutto il mondo) si impegna a una sempre maggiore consapevolezza verso il valore del cibo e la lotta alla malnutrizione. Non mi è chiaro chi, dopo Expo, controllerà che questi buoni propositi vengano mantenuti. Da parte mia non spreco, compro meglio possibile dai contadini, cucino cose semplici e sane e variate, non ho particolari manie (in medio est virtus) ma temo sia facile, dopo una vita in cucina (non solo in cucina, ma qualcuno ci deve pensare, no?). In attesa di altri commenti da più giovani testimoni.

      Reply
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Cambiare vita, dare spazio ai propri desideri e fare quello che davvero ci piace è il sogno di molti,
ma realtà per pochi. Lo conferma l’analisi di Hays Italia in collaborazione con Serenis, il 40% degli
intervistati non è per nulla contento della propria condizione lavorativa e il 60% pensa con
regolarità a un cambio radicale della propria esistenza.

https://www.dols.it/2025/04/16/francesca-rizzo-imprenditrice-di-successo-a-bali/
    Negli ultimi tempi, ho avuto lunghe conversazioni Negli ultimi tempi, ho avuto lunghe conversazioni con mia cugina, che vive in Germania. Lei è alevita e ha sposato un ragazzo sunnita originario di Erzurum. Eppure, nonostante entrambi appartengano al popolo curdo, le differenze religiose sono bastate a creare muri. La famiglia del marito fatica ad accettarla, ritenendo gli aleviti culturalmente ed eticamente inferiori. Questo mi ha portato a riflettere su una dinamica universale: la tendenza dell’essere umano a costruire confini invisibili, a classificare, separare, giudicare.

Quante volte, da immigrati, ci siamo sentiti dire: “Se tutti fossero come voi, così integrati, sarebbe diverso”? Quante volte il nostro valore è stato misurato in base alla capacità di adattarci, di “assomigliare” alla cultura dominante? Ma questa non è una dinamica esclusiva delle migrazioni o della religione. Ovunque, gruppi diversi si osservano con sospetto. Il “diverso” fa paura.

Se ci spostassimo in un villaggio del Togo, del Senegal, del Congo, del Tibet, della Birmania o del Perù, troveremmo le stesse dinamiche: anche all’interno della stessa etnia, le tribù si guardano con diffidenza. Come se l’altro fosse meno degno, meno umano. È un istinto antico, quasi animale, nato dal bisogno di proteggere il proprio spazio. Ma qui nasce il paradosso: gli animali conoscono il proprio territorio e lo rispettano. Noi esseri umani, invece, non facciamo altro che invadere, appropriandoci, giudicando, alimentando paure e pregiudizi grandi come montagne.
https://www.dols.it/2025/04/16/pregiudizi-paura-e-confini-invisibili-il-difficile-cammino-dellumanita-verso-laccettazione/

⸻
    Regia di Guido Chiesa Prodotto da Iginio Straffi e Regia di Guido Chiesa
Prodotto da Iginio Straffi e Alessandro Usai
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Al cinema dal 17 aprile
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    Regia Manetti bros. Con Rocco Papaleo, Blaise Afo Regia Manetti bros.

Con Rocco Papaleo, Blaise Afonso, Giulia Maenza, Massimiliano Bruno e Claudia Gerini

Siamo in una cittadina, un po’ disastrata, del Sud Italia. La squadra di calcio locale naviga in pessime acque, finché succede qualcosa in grado di mutare le sorti della città e del team. Arriva infatti, da Milano, un grandissimo calciatore straniero. L’incontro di due realtà così lontane sarà il detonatore di grandi cambiamenti, a tutti i livelli.

https://www.dols.it/2025/04/06/u-s-palmese/
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Le Assaggiatrici di Silvio Soldini è un triller. Sarebbe piaciuto ad Alfred Hitchcock, è nel suo stile.
    Nessuna limitazione abusiva dei diritti (non si st Nessuna limitazione abusiva dei diritti (non si sta proponendo di escludere dall’identità dei figli quella dei padri), nessun rompicapo amministrativo da gestire, nessuna restrizione che impedisca ai figli di scegliere quale dei due cognomi ricevuti attribuire un giorno alla propria prole. Tutto va a posto “naturalmente” se si accetta di rendere trasparente la realtà.

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