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    Home»Pari opportunità»Le donne possono anche morire
    Pari opportunità

    Le donne possono anche morire

    Maria Cristina Paselli lifecoachBy Maria Cristina Paselli lifecoach17/09/2014Updated:23/09/20142 commenti3 Mins Read
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    Ancora e ancora e ancora donne come oggetti da amare, possedere, esibire, desiderare ed eliminare senza problemi come si fa con bambole vecchie o rotte se non corrispondono più all’imperativo del desiderio maschile.

    Quanto tempo dovrà passare perché ci sia il rispetto per la ricchezza che nasce dalla diversità dei generi, perché le donne possano non temere i ricatti e le minacce di compagni, mariti, fratelli o fidanzati e possano agire libere dai vincoli, creati da imprinting  educativi eccessivamente maschilisti?

    Troppo spesso la donna s’identifica alla figura di suddita consapevole e gratificata dall’essere “la bella scemotta” esibita come trofeo e considerata “ meglio se non troppo intelligente, se non rompiscatole, ma ideale se carina, gentile,dolce e docile come un soprammobile” tanto è stata creata solo per  procreare e sollazzare, travestita da coniglietta dolce e sensuale alla cene d’addio al celibato o nei privé delle alcove.

    L’accanimento e le violenze nascono il più delle volte dalla non accettazione dell’abbandono, da  separazioni non condivise, dalla cessata appartenenza ad una famiglia, ad un gruppo, ad un’etnia e hanno origini simili: la supremazia del ruolo maschile sulla figura femminile, il potere che i più attribuiscono a padri,  mariti, fidanzati, tanto rispettosi, affabili e carini da non destare alcun sospetto che però non possono tollerare di essere traditi o lasciati per qualche maschio rivale o semplicemente perché la compagna sceglie di condurre una vita da single al di là delle dipendenze e diventano crudeli carnefici.

    Entra in gioco il ruolo, l’onore da mantenere e da difendere fino alla morte perché non si può accettare che una moglie possa preferire andarsene, abbandonare il suo antico ruolo, le abitudini costituite, ecco che scatta la punizione feroce, l’acido, lo stalking, il ricatto e la minaccia fino al femminicidio, fino a gettarla la traditrice dal settimo piano, buttata via come oggetto indesiderato.

    Non troppo tempo fa le ribelli si arrostivano sul rogo senza troppi complimenti o  si eliminavano con processi sommari decisi da tribunali maschili se manifestavano una cultura medica o di guarigione, se si ribellavano al potere dominante. Le giovani erano costrette a matrimoni forzati e riparatori se solo si macchiavano della colpa di restare incinte senza avere una storia ufficiale approvata dalla famiglia d’origine.

    Ancora una volta oggi non a tutte le donne viene data la possibilità di decidere, scegliere, cambiare, evolvere, conoscere, vivere pienamente.

    Se sei femmina ti si chiede sempre più di mostrare capacità superiori a quelle dei maschi nel raggiungere posizioni sociali importanti se non si fa ricorso alle ben  più veloci e facili carriere di letto decise dall’ uomo .

    E gli uomini? Tre su dieci non condannano la violenza sulla donna anzi credono che sia lei, in qualche modo, la responsabile delle aggressioni da parte dell’uomo.

    L’orientamento  emerge da uno studio effettuato dall’Associazione Europea Eurodap.

    Il sondaggio rivela anche che sette uomini su dieci considerano il tradimento della donna molto più grave di quello maschile e giudicano in modo assolutamente negativo le donne che indossano abiti provocanti. Pur condannando  le aggressioni, pensano però che le donne maltrattate abbiano sicuramente agito in un qualche modo provocatorio tanto da scatenare la furia e la reazione di violenza.

    Questo fa capire quanta strada ci sia ancora da fare…

     

     

     

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    Maria Cristina Paselli lifecoach
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    Specializzata in Scienze d’Azienda, Gestione di Risorse Umane, lavora da tempo nei settori dell’Alta Formazione per Manager, nel Coaching, nella Comunicazione Positiva, Marketing, Creazione di Team Leader, Immagine Personale, Leadership Aziendale e nella Selezione di Personale Hight Level. Collabora con Province e Regioni per Corsi di Avvio e Formazione all’ Imprenditoria . Consulente di Aziende Private ed Enti Pubblici per Attività di Organizzazione, Management, Aggiornamento professionale, Progettazione, Formazione sul Lavoro ed Orientamento. Ha pubblicato testi sulla Formazione, l’Inserimento e il Ricollocamento di donne, adolescenti difficili, adulti e categorie ritenute socialmente deboli. Ha realizzato la sceneggiatura di Performance teatrali al termine di Corsi di Autostima. Ha progettato e diretto Programmi di Prevenzione e Mantenimento del Benessere Psicofisico in Centri di Cura, collaborando con specialisti e terapisti orientali, sia in Veneto che in Toscana.

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    2 commenti

    1. Iole Natoli on 17/09/2014 11:13

      “L’accanimento e le violenze nascono il più delle volte dalla non accettazione dell’abbandono”.
Condivido il contenuto dell’articolo ma vorrei attrarre l’attenzione su un punto. Su questi accadimenti influisce anche l’uso di un termine linguistico improprio qual è quello consueto di “abbandono”. Abbandono e non separazione. Perché? Separazione indica un semplice distacco e un “ognuno per la sua strada”, “abbandono” ha una connotazione diversa. Include in sé il significato di un’unità a due teste che non dovrebbe essere scissa, di colpa da parte di colui o colei che chiude il rapporto, di commiserazione nei confronti dell’elemento non consenziente, che viene “abbandonato” ovvero lasciato solo e inerme nel deserto della vita. Finché non useremo le legittime armi del linguaggio per stanare gli stereotipi culturali ovunque essi si annidino e operino, non riusciremo a liberare la misogina “cultura” corrente dalla sua vocazione femminicida.

      Reply
    2. caterina-torre-hp
      Caterina Della Torre on 17/09/2014 11:21

      E’ vero, il linguaggio è lo secchio della società.

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