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    Dol's Magazine
    Home»Costume e societ໓Lasciamo che i giochi siano giochi”
    Costume e società

    “Lasciamo che i giochi siano giochi”

    Francesca LemmiBy Francesca Lemmi24/05/2013Updated:02/08/20141 commento5 Mins Read
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    bambine-svegliatevi
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    Contro i giochi sessisti

    Ricordo perfettamente che quando ero piccola, forse influenzata dal fratello maggiore e/o da una compagnia di amici e vicini di casa prevalentemente maschi, ho giocato tanto a calcio, guardato cartoni come Lupin e fra i giochi in scatola, uno dei miei preferiti era Risiko… giochi e attività che sentivo etichettare e classificare “da maschio”. All’epoca non capivo perché venisse detto questo; per me erano solo giochi, attività e cartoni che mi facevano divertire e che condividevo con gli amici.

    Per quanto sia discutibile la scelta dei giochi (“de gustibus non disputandum est”, direbbero i latini), ciò non ha mai inficiato sulla mia identità di genere e non mi sono mai considerata maschio per questo.

    Ad oggi a distanza di anni, ahimè di decenni, il copione si ripete: i giochi e le attività continuano ad essere sessisti, ovvero classificati in “maschili” e “femminili”.

    Avete mai osservato il reparto di giochi nei negozi o nei supermercati? Gli scaffali sono divisi in modo netto ed inequivocabile: da una parte, lo scaffale delle bambole e delle winz, bratz, barbie, con colori che variano dal rosa al lilla, chiaramente destinato alle bambine, e dall’altra, quello delle macchinine, gurmiti e soldatini, neanche a dirlo per maschi.

    Le scatole stesse dei giochi non lasciano spazio a grandi interpretazioni: su quelle delle bambole, compaiono solo ed esclusivamente bambine e su quelle di macchinine e trattori, i bambini. E se poi il messaggio non fosse chiaro, ci pensano gli spot pubblicitari a rimarcare il concetto: le bambine giocano con le bambole, i bambini con l’uomo ragno, le ruspe e le costruzioni.

    Perché solo le bambine dovrebbero giocare con i bambolotti e i pentolini e i bambini, invece, con le macchinine?

    Se ci fermassimo ad osservare i bambini piccoli senza intervenire e/o interferire in ciò che fanno, vedremmo che hanno la spinta spontanea e naturale ad imitare azioni di vita quotidiana che vedono fare e compiere a mamma e papà, fra cui sicuramente anche preparare pappe, accudire e coccolare il bambino/bambolotto, indossare scarpe dell’uno e dell’altro, annaffiare le piante etc… E questo non ha niente a che fare con il genere di appartenenza, in quanto l’imitazione dei gesti e comportamenti, come anche del linguaggio, delle figure di riferimento rappresenta la prima forma di apprendimento.

    Inoltre continuare a relegare al ruolo femminile attività come preparare da mangiare, accudire i figli o pulire, significa continuare a mantenere e coltivare stereotipi di genere e trasmetterli ai figli, che poi finiscono per farli propri e interiorizzarli, determinando così una trasmissione generazionale di schemi sociali rigidi e distorti. 

    Stereotipi di genere che continuano a riguardare non solo i giochi, ma anche le attività che bambini e ragazzi praticano.

    Conosco bambine a cui piace giocare con la palla e magari sceglierebbero, se fossero lasciate veramente libere di farlo, calcio o sport simili, mentre alcuni bambini amano fare ginnastica e altri ancora ballare, come il bambino Billy Elliot, protagonista di un famoso film di qualche anno fa.

    Tuttavia per quanto qualche piccola apertura mentale rispetto a prima ci sia, “suona ancora strano” che un bambino scelga di fare danza e una bambina calcio e se e quando questo avviene, non è indenne da osservazioni, commenti e derisioni da parte di compagni e adulti.

    Perché? Perché il calcio è accettabile se a praticarlo sono i maschi – anzi, spesso sono incoraggiati e stimolati in questa direzione – mentre lo è decisamente meno se ad interessarsi ad esso sono le bambine? E perché bambini che si avvicinano alla danza, devono essere considerati per questo “strani” o addirittura “omosessuali”?

    I bambini si orienterebbero verso giochi e attività in base a gusti e interessi personali a prescindere dal genere di appartenenza, se non fossero fin da piccoli condizionati da messaggi sociali fuorvianti e stereotipati.

    Secondo una recentericerca americana pubblicata sulla rivista Sex Roles, è la modalità con cui i genitori interagiscono con i figli nei primi anni di vita nei contesti legati al gioco, oltre ai messaggi verbali, a determinare la formazione di idee sui ruoli femminili e maschili.

    Pertanto il nostro modo di interagire, i giochi scelti per i nostri figli come anche le nostre reazioni e le nostre osservazioni in merito a comportamenti, attività e giochi che possono avere, condizionano significativamente la costruzione delle dell’idea di “uomo”/ “maschile” e di “donna”/”femminile”.

    Qualche segnale di cambiamento inizia ad arrivare dalla Gran Bretagna, dove sta prendendo piede la petizione “Let Toys be toys” (“lasciate che i giocattoli siano giocattoli”). Infatti a Londra i superstores Harrods e Hamleys hanno attivato una campagna contro il “gender apartheid” abolendo la distinzione dei giocattoli per sesso.

    Anche oltralpe c’è una mobilitazione in tal senso: dal 2001 ogni anno alcuni gruppi francesi organizzano la “Campagne contre les jouets sexistes” (Campagna contro i giocattoli sessisti).

    Sulla scia di queste iniziative, mi auguro che inizi a cambiare qualcosa anche in Italia.

    Dovremmo restituire ai giochi il loro significato e valore ludico sganciato da etichette e attribuzioni di genere e lasciare i bambini liberi di scegliere e di esprimere gusti, preferenze e interessi, così che possano crescere con la consapevolezza e la fiducia di poter agire in sintonia e in virtù dei propri interessi e delle proprie convinzioni, indipendentemente dal genere di appartenenza. Se partiamo agendo alla radice, ovvero quando i bambini sono piccoli, ovvero quando creano e strutturano le convinzioni e le idee su di sé, sul mondo e sugli altri, forse possiamo davvero riuscire a contrastare gli stereotipi di genere e quindi la segregazione di genere.

    contro i giochi sessisti morgue
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    Francesca Lemmi
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    Dr. Francesca Lemmi, Psicologo Clinico, Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Sessuologa. Dopo un’esperienza pluriennale nella realtà ospedaliera, svolge attività di psicologo e psicoterapeuta con bambini, adolescenti, adulti e coppie come libero professionista. Inoltre si dedica ad attività di formazione, in particolare nell’ambito della genitorialità, della coppia e della psicologia e pedagogia di genere. In virtù del grande interesse per la materia della famiglia, coppia e figli, da molti anni si dedica ed esercita anche nell’ambito della psicologia giuridica in situazioni di separazione/divorzio e affido minori.

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    1 commento

    1. Paolo1984 on 29/05/2013 11:04

      certo è giusto che i bambini giochino con ciò che vogliono..che sia “da maschio” o “da femmina” secondo il sentire comune

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