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    Home»Costume e società»Tempo tiranno o tiranni del tempo?
    Costume e società

    Tempo tiranno o tiranni del tempo?

    Francesca LemmiBy Francesca Lemmi19/02/2013Updated:25/08/2014Nessun commento4 Mins Read
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    tempo-tiranno
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    Un tempo tiranno con cui quotidianamente, donne e uomini, facciamo i conti e che troppo spesso non sembra mai abbastanza.

    Quante volte abbiamo pensato che tutto sarebbe diverso se solo le giornate fossero più lunghe o le lancette dell’orologio scorressero più lentamente… quante volte ci siamo arrabbiati con il tempo, con l’inderogabile e intransigente tempo che non ci lascia spazio per respirare e che vola via imperterrito a prescindere dalla moltitudine di cose che dobbiamo fare… Un tempo tiranno con cui quotidianamente, donne e uomini, facciamo i conti e che troppo spesso non sembra mai abbastanza.
    Ma siamo sicuri che sia il tempo ad essere tiranno oppure siamo piuttosto noi a consumare in modo frenetico e ansioso il tempo?

    Il tempo è democratico, forse è una delle poche cose rimaste davvero democratiche nel corso dei secoli e degli anni. Le giornate durano ventiquattro ore e ciascuna ora ha sessanta minuti: è sempre stato ed è tuttora così, senza distinzione di genere, età o classe sociale.
    Ma noi che uso facciamo di questo tempo? Siamo così sicuri di viverlo bene?
    Ciascuno chiaramente può parlare per sé, per quella che è la propria realtà personale e individuale. Tuttavia viviamo indiscutibilmente in una società consumistica in cui tutto è accelerato, i ritmi frenetici sono diventati oramai la normalità e la giornata è un puzzle di incastri.
    Mi faccio portavoce di tante testimonianze raccolte in questi ultimi anni da parte di padri e madri di famiglia, spesso affogati dai mille impegni, sovraccaricati e stressati da lavori che consumano gran parte della loro giornata, perché se un tempo esistevano gli straordinari, adesso questi sono diventato l’ordinario e non è più così inusuale uscire ad orari tardi e oltretutto senza la facoltà, se non in privato, di lamentarsi, visti i tempi che corrono e quindi l’incubo di perdere il lavoro.

    Se prima questi ritmi frenetici e stressanti caratterizzavano la vita dei manager e dei dirigenti, di coloro che ambivano a fare carriera e che pagavano con ciò il caro prezzo di poter sedere “sulle poltrone del potere”, adesso non è più così. La maggior parte dei lavoratori, a prescindere dal ruolo e dall’incarico ricoperto, si trovano a sostenere quotidianamente ritmi impegnativi e spesso senza che questo impegno sia controbilanciato da adeguati riconoscimenti e rinforzi, soprattutto nel settore privato.
    Se a tutto ciò aggiungiamo il carico familiare, gli impegni aumentano vertiginosamente e il tempo non è mai abbastanza, per cui spesso per far quadrare i conti, ci si ritrova a tagliare lo spazio del piacere e dei bisogni primari (non è così inusuale sentire mamme che si sono abituate a dormire meno rispetto ad epoche precedenti), con conseguenti costi a medio e lungo termine sia sull’equilibrio personale che di coppia e familiare.

    Ritengo che la situazione generale sia degenerata e che la vita quotidiana sia diventata una corsa contro il tempo, un tempo consumato in cui sopravviviamo e che ben poco viviamo e ci godiamo. La società ci spinge e ci chiede di fare e di produrre, poco spazio rimane per pensare e riflettere, per elaborare idee e progetti, per goderci gli affetti e il piacere di vivere.
    E’ tanto tempo che non sento il termine “oziare”, probabilmente in disuso e sicuramente ad oggi considerato poco concepibile e accettabile.
    Vige il pensiero comune che il tempo vada vissuto al massimo perché non torna più, ma il principio del carpe diem che potrebbe e poteva avere una sua ragione di essere, è finito per diventare lo spunto e lo sprone per accelerare i tempi, per affogarci di impegni, per avere giornate piene di cose da fare, spesso usate come compensazione a vissuti di vuoto e solitudine, perché è più facile fare che vivere e gestire le emozioni, soprattutto quando spiacevoli.

    Risultato? Un aumento importante di malesseri psicologici che variano dallo stress, che oramai accompagna in misura variabile la vita di ciascuno di noi, all’ansia, inclusi gli attacchi di panico, fino alla depressione.
    I bambini non sono sicuramente indenni da questo contagio sociale, per cui fin da piccoli, più per necessità dei genitori che loro personali, si trovano ad avere giornate super-impegnate, con poco spazio per il tempo e il gioco libero.
    In virtù di questo quadro generale, qualche serio dubbio sorge in merito al fatto che stiamo andando nella direzione giusta e che questo stile di vita generale e generalizzato sia veramente un elisir di benessere… credo piuttosto che dovremmo fermarci di più a riflettere su come conduciamo la nostra vita, sulla nostra scala delle priorità e sull’opportunità di ri-appropriarci del piacere e della capacità di vivere il presente,

    Tempo tiranno tiranni del tempo?
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    Francesca Lemmi
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    Dr. Francesca Lemmi, Psicologo Clinico, Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Sessuologa. Dopo un’esperienza pluriennale nella realtà ospedaliera, svolge attività di psicologo e psicoterapeuta con bambini, adolescenti, adulti e coppie come libero professionista. Inoltre si dedica ad attività di formazione, in particolare nell’ambito della genitorialità, della coppia e della psicologia e pedagogia di genere. In virtù del grande interesse per la materia della famiglia, coppia e figli, da molti anni si dedica ed esercita anche nell’ambito della psicologia giuridica in situazioni di separazione/divorzio e affido minori.

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Lo studio delle lingue straniere alimenta la curiosità e stimola la voglia di apprendere in molte discipline anche ben diverse, soprattutto se sostenute da una capacità imprenditoriale. Questo lo dimostra la storia qui di seguito riportata di Marialuisa Portaluppi da noi intervistata.
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