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    Home»Donna e lavoro»Il mondo del lavoro non contempla i figli – II
    Donna e lavoro

    Il mondo del lavoro non contempla i figli – II

    Francesca LemmiBy Francesca Lemmi19/01/2013Updated:04/09/2014Nessun commento5 Mins Read
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    Perché è così difficile, faticoso e stressante incastrare tutto?

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    Perché è così difficile, faticoso e stressante incastrare tutto?
    È colpa dei bambini che devono andare a scuola e hanno attività extra-scolastiche? E’ colpa dei figli che osano ammalarsi e quindi metterci nei guai? È colpa delle mamme (e anche dei papà) che dovrebbero avere la facoltà dell’ubiquità e quindi riuscire ad essere presenti contemporaneamente su più fronti? È colpa del sistema lavorativo che non consente una sufficiente elasticità al fine di conciliare questi due ambiti? È colpa di una politica e di una società che di fatto, al di là di grandi promesse, nel quotidiano non danno supporti e agevolazioni alle famiglie?
    Ritengo che ai bambini ci sia poco da rimproverare; anzi, in virtù della loro capacità di abituazione e di adattamento, spesso riescono a tollerare e ad adattarsi ad una vita in cui mamma e papà possono essere impegnati e crescono sereni anche se il tempo speso con i genitori non è tanto, chiaramente a condizione però che sia speso bene, che quel poco sia dedicato completamente a loro e che comunque non ci sia da parte dei genitori un sottrarsi o un delegare il loro compito educativo che i figli accettano e si aspettano da loro.
    Anche ai genitori e alle mamme in particolare, non possiamo chiedere più di quello che fanno: acrobazie, organizzazioni pazzesche, incastri come neanche i migliori maghi sanno fare, ritmi e tempi ai limiti dell’umano e le energie spremute fino all’ultimo respiro…forse chiedere di più porterebbe ad un martirio generazionale che non farebbe bene né alle donne né ai figli e alle famiglie, ma neanche al lavoro e all’economia del paese.
    E allora dove sta il punto nevralgico?
    Per quanto sia refrattaria a quegli atteggiamenti di critica distruttiva nei confronti della società e della politica in quanto, a mio avviso, poco funzionali e proficui, in questo caso non posso esimermi dal mettermi in una posizione critica (ma ritengo in modo costruttivo) nei confronti del nostro sistema lavorativo e quindi della politica che non sollecita e non incentiva alcuna manovra reale e concreta per agevolare e creare reali opportunità di conciliazione e integrazione lavoro-famiglia.

    Che cosa chiedono le mamme lavoratrici e in generale, i genitori che lavorano?
    In primo luogo un sistema lavorativo più flessibile che consenta di rispondere alle esigenze familiari sopra descritte senza per questo venir meno agli impegni, agli oneri e agli onori lavorativi.
    Che cosa s’intende per flessibilità? I lavori che lo rendono possibile, potrebbero impostare l’impegno lavorativo in termini di quantum di ore settimanali o mensili e di obiettivi e compiti da assolvere, lasciando un margine di autonomia alla madre lavoratrice nell’amministrare la quotidianità dando fasce orarie più elastiche che contemplino quanto detto prima. Infatti personalmente ritengo che il numero di ore di lavoro non sia un sufficiente indice della qualità del lavoro e una garanzia del fatto che i compiti assegnati siano svolti. Proporrei, al contrario, di impostare il lavoro in termini di obiettivi da raggiungere con incentivi e rinforzi quando suddetti step sono raggiunti in modo eccellente e in tempi circoscritti, al fine di promuovere la responsabilità e la motivazione del lavoratore ma garantendo al contempo margini di libertà di gestione che consenta di integrare anche altri impegni.
    Nel caso delle mamme lavoratrici, sempre nei limiti consentiti dal tipo di lavoro, ritengo che una buona soluzione potrebbe essere anche quella di favorire il tele-lavoro o lavoro a distanza, così ché pur preservando l’impegno e la dedizione al lavoro, non sia richiesta la presenza fisica in loco e quindi le difficoltà che questo comporta quando ci sono dei figli da gestire.

    Parallelamente ad una diversa impostazione del sistema lavorativo, ritengo che sia necessario garantire maggiori e migliori supporti sociali e che questi non debbano essere sempre cercati e pagati esclusivamente dalle famiglie, perché è proprio questo che spesso induce molte donne, anche valide professionalmente, a rinunciare al lavoro. Le aziende dovrebbero essere incentivate ad attivarsi a costruire e predisporre asili aziendali e per gli altri lavori, dovrebbero essere istituiti degli asili di settore, in cui gli enti previdenziali o le associazioni di settore si impegnano a predisporre asili o promuovere convenzioni con asili già presenti, al fine di agevolare i lavoratori e i professionisti.
    Infine le attività e gli sportelli (incluso l’ambulatorio pediatrico) dovrebbero rivedere gli orari e i giorni di apertura, al fine di agevolare anche i lavoratori e non proporre un orario che va incontro solo ai pensionati e alle casalinghe.

    In sintesi, ritengo che basterebbe che coloro che ricoprono incarichi decisionali e governativi provassero (magari se sono donne e madri, possono riuscirci meglio) a mettersi nei panni delle famiglie di oggi e delle madri lavoratrici e studiare delle soluzioni concrete e tangibili, prendendo spunto anche da altri paesi europei che hanno attivato una politica a misura di famiglia con ottimi risultati, rendendo evidente che se c’è impegno e attivazione in questa direzione, qualcosa evidentemente può essere fatto.

    Francesca Lemmi Il mondo del lavoro non contempla i figli - II
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    Francesca Lemmi
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    Dr. Francesca Lemmi, Psicologo Clinico, Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Sessuologa. Dopo un’esperienza pluriennale nella realtà ospedaliera, svolge attività di psicologo e psicoterapeuta con bambini, adolescenti, adulti e coppie come libero professionista. Inoltre si dedica ad attività di formazione, in particolare nell’ambito della genitorialità, della coppia e della psicologia e pedagogia di genere. In virtù del grande interesse per la materia della famiglia, coppia e figli, da molti anni si dedica ed esercita anche nell’ambito della psicologia giuridica in situazioni di separazione/divorzio e affido minori.

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Lo studio delle lingue straniere alimenta la curiosità e stimola la voglia di apprendere in molte discipline anche ben diverse, soprattutto se sostenute da una capacità imprenditoriale. Questo lo dimostra la storia qui di seguito riportata di Marialuisa Portaluppi da noi intervistata.
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