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    Dol's Magazine
    Home»Donna e lavoro»Prendere distanza dagli stereotipi
    Donna e lavoro

    Prendere distanza dagli stereotipi

    Francesca LemmiBy Francesca Lemmi07/12/2012Updated:01/09/20145 commenti6 Mins Read
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    Nella famiglia italiana è normale che la donna sia quella che si preoccupa di gestire la casa

    Cosa accade alla sera in una normale casa italiana? LEI arriva a casa trafelata con borsa, cartella del lavoro, zaino di scuola, sacchetti della spesa, si precipita a preparare qualcosa da mangiare, mentre il figlio la chiama per giocare insieme e nella casa regna il caos in attesa che sempre lei trovi il tempo anche per ripristinare ordine.
    Il LUI della situazione, compagno/marito e padre, arriva e dopo aver salutato moglie e figlio, se ne va tranquillo a spogliarsi reclamando a gran voce di andare a fare la doccia perché, poverino, è stanco e deve rilassarsi.

    Cosa c’è di strano in tutto questo, direte voi? Normale amministrazione.
    Ed è proprio qui il problema: nella famiglia italiana è normale che la donna sia quella che si preoccupa di gestire la casa – pulizie, lavatrici, stirare, cucinare, lavare i piatti – come anche dei figli, con scarsa collaborazione da parte del marito.
    Al riguardo, le statistiche parlano chiaro: dai dati Istat relativi all’indagine multiscopo sulle famiglie riguardante l’”Uso del tempo” del 2002-2003, risulta che in media al giorno gli uomini dedicano al lavoro familiare il 6% delle 24 ore contro il 20% speso dalle donne. Come si legge in “La sfida delle giovani donne” di Zajczyk, Borlini e Crosta, questa differenza di genere nella gestione della casa e della famiglia è una costante in tutti i paesi europei; tuttavia mentre nei paesi scandinavi il carico familiare grava sulle donne il 50-60% in più rispetto agli uomini, in Italia – come in Spagna – tale percentuale di differenza sale al 200%.
    Anche l’accudimento dei figli continua ad essere prevalentemente a carico delle donne con un’asimmetria di genere del 72,7%, sebbene in calo rispetto ai decenni precedenti (del 80% nel 1988-89) (ibidem; Istat, 2006 – “Diventare padri in Italia. Fecondità e figli secondo un approccio di genere”).

    Se guardate l’agenda – cartacea, computerizzata o mentale – di una donna, ci troverete di tutto: dalle questioni di lavoro all’appuntamento col tecnico della caldaia, il pediatra, gli orari di scuola dei figli, dello sport, catechismo etc…
    Se guardate l’agenda del consorte, troverete tout court gli appuntamenti di lavoro, al massimo integrati con appuntamenti suoi personali (parrucchiere, calcetto…).
    D’altronde se la borsa della donna assomiglia a quella di Mary Poppins e dentro c’è un po’ di tutto – oggetti personali ma non solo, spesso anche tante cose dei figli (soprattutto se piccoli) – e l’uomo si può ancora permettere (a parte chi viaggia con la borsetta a tracolla, forse più per moda che per necessità) di andare in giro col portafogli in una tasca e il fazzoletto nell’altra, forse qualcosa vorrà pur dire.
    Gli esempi sarebbero infiniti, basti solo pensare alla giornata tipo di una donna madre di famiglia in confronto a quella del marito: la moglie si sveglia presto al mattino per cercare di rassettare casa, preparare colazione e occorrente sia per se stessa che per i figli, rifare i letti, e procede con l’accompagnare i figli a scuola, andare al lavoro, andare a riprenderli, accompagnarli dall’amichetto o allo sport, poi a casa per seguirli nei compiti, sistemare casa, fare lavatrici e stirare, quindi preparare cena e lavare i piatti; il marito lavora e alla sera, gioca o sta un po’ con i figli.
    E non mi dite che questo è dovuto al fatto che noi donne siamo più complesse e ne vogliamo fare mille e che l’altra parte dell’universo è più semplice; qui la questione riguarda ben altro.

    Nonostante ai tempi d’oggi la donna sia sempre più spesso impegnata sul fronte del lavoro outside e in taluni settori anche con orari e ritmi importanti (penso alla categoria dei liberi professionisti, giusto per citare un esempio), continua a prevalere un’egemonia femminile nella gestione della sfera privata.
    Pertanto ad un’emancipazione femminile sul fronte sociale e lavorativo non ha corrisposto un’evoluzione in seno alle pratiche e questioni domestiche e familiari.
    Ne consegue comprensibilmente un aggravio importante per la donna in termini di fatica, stanchezza, ansia e stress, con inevitabili ripercussioni non solo sulla salute psicofisica individuale ma anche sul clima e sulle dinamiche familiari e di coppia.

    Sicuramente dobbiamo riconoscere che l’uomo moderno è più presente e partecipe in famiglia rispetto alle generazioni precedenti, con disponibilità ad occuparsi talora anche di faccende domestiche come anche dell’accudimento dei figli. Non è così inusuale, infatti, vedere un uomo che dà l’aspirapolvere, fare la spesa o cambiare il pannolino al proprio figlio. Tuttavia queste realtà, per quanto in aumento, non sono ancora comuni e frequenti come dovrebbero essere. Inoltre spesso rappresentano episodi isolati e sollecitati da richieste ferme e insistenti da parte della moglie oppure in risposta a fattori contingenti. Pertanto se è vero che da parte dell’uomo c’è un graduale allontanamento rispetto al modello marito-padre delle generazioni precedenti, per le quali casa e figli erano affairs de femme, la strada da percorrere è ancora lunga.

    Perché?
    I giovani adulti di oggi – spesso padri e madri di famiglia – sono figli di una generazione passata in cui ancora vigeva la rigida e netta ripartizione dei compiti: l’uomo era il breadwinner e la donna era la regina del focolare, dedita a casa e figli. Tali modelli genitoriali e di genere sono stati fatti propri e sebbene la situazione sociale e familiare sia cambiata, uomini e donne tendono a riproporre questi modelli interiorizzati.
    Pertanto troppo spesso l’uomo continua ancora a dare per scontato che sia la moglie ad occuparsi della casa e dei figli e la donna, da parte sua, contribuisce a mantenere questa situazione assumendosi un sovraccarico importante, spesso motivato da convinzioni controproducenti e fallaci: “se faccio io, faccio meglio”, “faccio prima a fare io che a chiedere”, “non devo essere io a dire cosa fare, ci dovrebbe pensare da solo”… in questo modo, il film si ripete e niente cambia!
    Ritengo che se vogliamo che la situazione evolva, dobbiamo iniziare a prendere le distanze dai vecchi modelli maschili/femminili e attivare dei cambiamenti in seno all’organizzazione familiare al fine di creare un clima più collaborativo con il coinvolgimento sia delle donne che degli uomini, contribuendo così a rendere il clima familiare più tranquillo, le donne meno stressate e più supportate e non per ultimo, insegnando così ai nostri figli (futura generazione) che in famiglia ciascuno può ricevere ma anche dare, indipendentemente dal genere di appartenenza.

    casa donna stereotipi uomo
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    Francesca Lemmi
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    Dr. Francesca Lemmi, Psicologo Clinico, Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Sessuologa. Dopo un’esperienza pluriennale nella realtà ospedaliera, svolge attività di psicologo e psicoterapeuta con bambini, adolescenti, adulti e coppie come libero professionista. Inoltre si dedica ad attività di formazione, in particolare nell’ambito della genitorialità, della coppia e della psicologia e pedagogia di genere. In virtù del grande interesse per la materia della famiglia, coppia e figli, da molti anni si dedica ed esercita anche nell’ambito della psicologia giuridica in situazioni di separazione/divorzio e affido minori.

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    5 commenti

    1. Paolo1984 on 08/12/2012 15:35

      preso atto dell’intreccio di natura e cultura di cui tutti siamo fatti e che ogni coppia si organizza come vuole e può…non ci vedo niente di male se i mariti aiutano e collaborano con la compagna nei lavori domestici

      Reply
    2. Paolo1984 on 08/12/2012 15:53

      fatto salvo l’intreccio di natura e cultura che costituisce tutti noi e che ogni coppia si organizza come vuole e può, penso che sarebbe giusto che anche il marito collaborasse e aiutasse nei lavori domestici. E anche il graduale aumento di cui si parla non è cosa da disprezzare

      Reply
    3. Paolo1984 on 08/12/2012 16:58

      si potrebbe proporre una legge che introducesse congedi parentali su modello scandinavo che ogni coppia gestisce come vuole in base alle esigenze proprie e del pupo.

      “che ogni coppia si organizza come vuole e può,”

      ci tengo a chiarire che non considero a priori “meno libero” chi si organizza in maniera tradizionale, non dò giudizi prescrittivi però ritengo positiva la collaborazione maschile in casa

      Reply
    4. anna maria ricci on 12/12/2012 11:19

      Grazie per aver scritto questo articolo. Credo anch’io che il cambiamento può avvenire solo se in primis noi donne diamo spazio ai nostri compagni e siamo le prime a prendere le distanze dagli stereotipi, prendendone consapevolezza però! E’ un percorso possibile e talvolta lungo, ma se ci crediamo porta a risultati equi nella gestione della casa e nell’accudimento. Personalmente l’ho sperimentato e funziona: ognuno di noi due dà e riceve ciò che può e le nostre figlie sanno che se io non ci sono il padre può gestire la casa e l’accudimento a modo suo e io a modo mio. Il mio “modo” di accudire le nostre figlie e gestire la casa non è più o meno importante del mio o viceversa e nemmeno più o meno competente…è l’UNIONE DEI COMPITI inteso come obiettivo comune della famiglia.
      Il vantaggio è proprio lo scambio, la condivisione, l’atmosfera di parità che si respira in casa.
      Ripensando alla mia famiglia d’origine però ho visto mio padre preparare pranzi (sempre a modo suo) e fare ciò che andava fatto! E anche se poteva sembrare strano ai più io me lo ricordo e quando ho costruito la mia famiglia me ne sono ricordata e ho “ampliato” la mia visione. Sottolineo però che talvolta ho ricevuto critiche per questo mio modo…non solo da uomini ma anche da donne. Lo scrivo per onestà intellettuale, e penso anche che prima prendiamo tutte consapevolezza degli stereotipi esistenti e prima agiremo il cambiamento che auspichiamo nella nostra società, la famiglia è un grande terreno di partenza per la “parità”

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La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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