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    Home»Donna e lavoro»Ricerca “rosa”: snobbata in Italia
    Donna e lavoro

    Ricerca “rosa”: snobbata in Italia

    DolsBy Dols02/10/2011Updated:25/06/2014Nessun commento5 Mins Read
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    di Cinzia Ficco

    Difficile far ricerca in Italia

    (da tipitosti)

    E’ il premio che dall’Islanda Alessandra Fierabracci, di Volterra, in provincia di Pisa, ha regalato al suo Paese, alla Ricerca e alle donne italiane che, in questo momento, non godono di tanta celebrità all’estero. Una giuria di esperti internazionali ha assegnato a Reykjavik gli European Union Women Inventors & Innovators Awards, riconoscendo alla nostra connazionale il terzo posto assoluto.

    Altre tre ricercatrici e un’imprenditrice italiane hanno raccolto grande apprezzamento dai partecipanti alla conferenza internazionale “SUSTAINABLE IDEAS AND CREATIVITY FOR SOCIAL AND ECONOMIC GROWTH, organizzata da GWIIN/EUWIIN (rete internazionale di donne inventrici e innovatrici, cui aderisce l’ associazione italiana ITWIIN).
    Ad aprire i lavori della conferenza, che si sono svolti il 7 e l’8 settembre scorsi, la Presidente della Repubblica d’Islanda Olafur Ragnar GRIMSSON e il ministro dell’Industria Katrin JULIUSDOTTIR.
    Sede dell’incontro, il New Harpa Conference Centre della capitale islandese.
    Ma vediamo chi è la premiata, attraverso questa intervista.

    E’ la prima volta che partecipa al Concorso EUWIIN?
    Sì e sono molto grata alla Associazione Italiana Donne Inventrici ed Innovatrici (ITWIIN) per avermi nominato come candidata a seguito del Concorso di Bari che si è tenuto a giugno dell’anno scorso, dove avevo ricevuto un premio in quanto finalista.

    In quante eravate al Concorso EUWIIN?
    Hanno partecipato cinquantacinque finaliste, selezionate dai vari Paesi Europei

    Mi spiega perché questo Premio? E quali applicazioni concrete avrà la sua scoperta?
    Ho conseguito il Premio Migliore inventrice Europea Categoria ‘Education’ a seguito dei risultati degli studi che da molti anni conduco sulla patogenesi del diabete di Tipo 1.

    Di cosa si tratta?
    Il diabete di Tipo 1 è una patologia ‘autoimmune’, in cui il sistema immune, deputato a proteggere il nostro organismo dagli agenti esterni, ‘erroneamente’ aggredisce le cellule beta delle isole pancreatiche, che producono insulina. Sebbene il paziente diabetico abbia in circolo autoanticorpi diretti contro proteine delle isole, utilizzati attualmente come marcatori di predizione dell’ insorgenza della malattia nel periodo prediabetico, si ritiene che i linfociti T autoreattivi siano i ‘reali’ aggressori della cellula beta.

    E quindi?
    Una delle mie ricerche ha portato all’ allestimento di un metodo di laboratorio ed alla progettazione di un ‘kit’, che porta alla identificazione di linfociti T autoreattivi nei confronti della proteina GAD 65 nel sangue periferico. Questo è oggetto di un Brevetto Europeo, che mi è stato rilasciato nel 2010, e di cui sono ‘unico inventore’. C’e’ però ancora molto da studiare e comprendere. Con questo ‘metodo semplice’ potranno essere effettuati screening di soggetti a rischio per verificarne l’ utilità nella predizione della insorgenza della malattia o nel monitoraggio di immunoterapie, che possono essere applicate al paziente neodiagnosticato.

    Cosa rappresenta per lei questo Premio?
    Un importante riconoscimento all’ impegno, alla determinazione che contraddistinguono la vita di un ricercatore.

    Come e, soprattutto, dove spera di spenderlo? Ha avuto proposte interessanti in Italia e da chi?
    La notizia è stata ovviamente accolta con entusiasmo. EUWIIN è stata sicuramente un’ occasione per realizzare importanti contatti professionali. Vorrei ora ‘produrre il kit’ ed introdurlo nel mercato, perché penso possa costituire un sussidio valido per i ricercatori ed i clinici.

    Se le dico Ricerca in Italia cosa mi dice?
    Non è facile fare ricerca in Italia. Senz’altro c’e’ meno ‘tradizione’ nel nostro Paese, che all’ estero. Ci sono, però, ricercatori italiani di alto livello. In Italia non ci sono molti fondi a disposizione. E’ necessario impegnarsi molto per ricevere finanziamenti.

    Quali sono le rinunce più grandi di un ricercatore in Italia? Tra queste c’è anche la famiglia?
    E’ vero che il ‘lavoro’ del ricercatore non ha orari. Ma la famiglia è sempre un sostegno fondamentale nella vita di una ricercatrice.

    Quale secondo lei il Paese ideale per fare ricerca?
    Paesi quali gli USA investono certamente molto di più nella ricerca. E’ molto importante, però, l’ iniziativa personale nel realizzare i propri obiettivi.

    Secondo lei c’è stato qualche Governo in Italia che abbia dato il giusto peso alla Ricerca? E dove operare più tagli per potenziare questo settore?
    In Italia da sempre si dovrebbe investire di più nella Ricerca. E’ importante rafforzare la collaborazione tra mondo accademico ed industria.

    Cosa sente di dire alle giovani che fanno ricerca In Italia?
    Fare una esperienza all’ estero e formarsi all’ estero come ricercatore è fondamentale. Le difficoltà ci sono, però, anche fuori dai confini nazionali, soprattutto quando la permanenza è lunga e gli ambienti sono diversi dal punto di vista culturale.
    Un premio che arriva quando in Italia molte donne sono ridotte a puro oggetto di desiderio e la ricerca è quasi a pezzi!
    Credo di avere sempre affrontato i miei studi e lavorato con onesto impegno, confidando nelle mie forze e nei miei ideali, durante il corso di Laurea in Medicina a Pisa, quando ricoprivo un incarico universitario a Londra a tempo indeterminato a seguito del PhD, nel periodo di anno sabbatico a Pittsburgh, ora in Italia all’ Ospedale Bambino Gesù.

    Progetti per il futuro?
    Continuare a svolgere il mio lavoro di ricercatore per portare alla comunità scientifica risultati che abbiano un risvolto per la salute dei pazienti.
    Ad avere menzioni speciali sono state: Carla Ferreri, Debora Fino, Angela Serpe, Giuseppina Grimaldi.

    Alessandra Fierabracci
    Aveva già partecipato all’edizione 2010 del concorso italiano ITWIIN (Associazione Donne Inventrici e Innovatrici) ed era entrata nella rosa delle finaliste grazie a brillanti ricerche condotte nel Laboratorio di Immunologia dell’Ospedale Romano Bambin Gesù. Qui Alessandra è approdata nel 2001, dopo aver conseguito nel 1996 il PhD (dottorato di ricerca) in Immunologia e lavorato a lungo alla London University e all’Università di Pittsburgh (Pennsylvania, USA). I suoi studi sulla patogenesi delle malattie autoimmuni nell’ uomo possono aprire importanti prospettive alla predizione dell’ insorgenza della malattia diabetica: Alessandra ha infatti messo a punto un kit che consente la rilevazione delle cellule T autoreattive verso la proteina GAD65 nel sangue periferico di pazienti affetti da diabete di Tipo 1.

    Per wiin, itwiin

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