di Caterina Della Torre
‘’La bicicletta verde’’ di Haifaa Al-Mansour, prima regista donna dell’Arabia Saudita e figura di spicco della cinematografia nazionale, è n film che sembrerebbe a primo acchito trattare i problemi delle donne musulmane in un paese troppo occidentalizzato per poter pensare che se ne stiano con le mani in mano ad aspettare che arrivi l’emancipazione anche per loro. Se alcune la vogliono. Invece, accanto a questo tema ne tratta un altro più universale: la ricerca di ciò che non si possiede e il desiderio di superare i limiti imposti.
Wadjda è una bambina di 10 anni che vive alla periferia di Riyadh, la capitale Saudita. Nonostante viva in un mondo tradizionalista, Wadjda è intraprendente e decisa a superare i limiti imposti dalla sua cultura. E li manifesta sia a casa, dove la madre è invece serva del marito-padrone (alla ricerca di un altro figlio, maschio, non importa se da un’altra moglie), che a scuola, dove si comporta frequentemente in modo non ammesso dalle strette regole civili, sia nella sociale, dove abbandonando talvolta il velo, decide di gareggiare alla pari con l’amichetto maschio, Abdullah, un ragazzino del quartiere con cui non avrebbe il permesso di giocare.
Benchè il film si occupi di temi di spessore, come la situazione della donna araba, mantiene sempre un tono leggero, talvolta ironico, laddove l’ironia dice il vero, ma lo trasfigura. Infatti il sogno della bicicletta verde nasconde i sogni delle giovani donne musulmane, in un mondo ancora troppo arcaico.
Il film, il cui titolo originale è Wadida, il nome della è protagonoista è stato patrocinato da Amnesty Italia.
1 commento
Pingback: Schiavitù su due ruote – Parla con noi - Blog - Repubblica.it