Close Menu
    Facebook X (Twitter) Instagram
    Trending
    • La generazione in attesa
    • The life of Chuck
    • Battocletti vita forte
    • Downton Abbey: il gran finale
    • Jane Austen ha stravolto la mia vita
    • Lo spartito della vita
    • Elisa
    • Quando la violenza scende in campo
    Facebook Instagram
    Dol's Magazine
    • Pari opportunità
      • DIRITTO
      • DONNE E POLITICA
      • DONNE E SPORT
      • PARITA’ DI GENERE
      • DONNE E FILOSOFIA
    • Lavoro
      • BANDI, CONCORSI E PREMI
      • DONNE E ARTE
      • DONNE E ARCHITETTURA
      • DONNE E DENARO
      • MAMME E LAVORO
      • IMPRENDITORIA FEMMINILE
      • RISORSE UMANE
    • Donne digitali
      • ARTE DIGITALE
      • INNOVAZIONE
      • TECNOLOGIA
    • Salute e benessere
      • FOOD
      • GINECOLOGIA
      • NUTRIZIONE
      • MENTAL TRAINER
      • PSICOLOGIA
      • SESSUOLOGIA
    • Costume e società
      1. AMBIENTE
      2. ATTUALITA’
        • Good news
        • Think positive
        • Bad news
      3. CULTURA
        • Libri
        • Film
        • I racconti di dols
        • Mostre
      4. LIFE STYLE
      5. SOLIDARIETA’
      6. VIAGGI
      7. FACILITIES
      Featured

      The life of Chuck

      By Lucia Tilde Ingrosso17/09/20250
      Recent

      La generazione in attesa

      18/09/2025

      The life of Chuck

      17/09/2025

      Downton Abbey: il gran finale

      11/09/2025
    • INIZIATIVE
      • CONDIVIDI CON DOL’S
      • EVENTI
        • Calendario eventi
      • TEST
      • LE DONNE ITALIANE
      • SCRIVILO SU DOL’S
        • Scritti su dol’s
    Dol's Magazine
    Home»Costume e società»J come Jeans
    Costume e società

    J come Jeans

    DolsBy Dols18/05/2019Updated:18/05/2019Nessun commento5 Mins Read
    Facebook Twitter Pinterest LinkedIn Tumblr Email
    uomo-donna-jeans
    Share
    Facebook Twitter LinkedIn Pinterest Email

    L’abito è uno strumento fondamentale per la relazione tra il corpo e il mondo, e non c’è nulla di naturale nell’abbigliamento, checché ne dicano i fanatici antigender. Capi unisex per eccellenza sono oggi i pantaloni e in particolare i jeans

    di Graziella Priulla

    L’abito è uno strumento fondamentale per la relazione tra il corpo e il mondo, e non c’è nulla di naturale nell’abbigliamento, checché ne dicano i fanatici antigender.
    Storicamente stoffe, fogge e pratiche differenti indicavano gruppi territoriali, sociali e religiosi diversi. Dai particolari dei vestiti e dei copricapo era possibile comprendere l’origine, l’età, la mansione e lo status di una persona. In epoche in cui la parola rappresentava una barriera, il linguaggio dell’abito comunicava in modo immediato e comprensibile.
    Distinzione non universale è quella tra abbigliamento femminile e abbigliamento maschile, ma la presenza di un doppio standard concernente visibilità e invisibilità appare evidente sin da tempi antichissimi.
    Se il vestiario crea un gioco di alternanze tra copertura e scopertura, questo gioco è orientato secondo il genere, a ribadire una desiderata identità tra fatto biologico e fatto sociale: il corpo femminile genera una matrice di senso che è concepita come diversa da quella maschile e che in realtà è fondata non tanto sul corpo che si veste, quanto sulla reazione degli altri al suo vestire. Questa è la causa della “modestia” imposta alle donne. A fine ‘700 il codice vestimentario occidentale codifica le diversità tra i sessi in modo sempre più rigido. Soprattutto tra gli uomini il divieto di emulare la vivacità e la varietà dell’abbigliamento femminile diviene la norma.
    L’800 vittoriano, che con le sue rigide distinzioni ha esteso la sua influenza al secolo successivo, appare esemplare: è più che mai l’epoca delle sfere separate, basate su differenze definite “naturali e biologiche” tra uomo e donna. Il primo va in fabbrica o in ufficio, fa politica, agisce nel mondo; la seconda sta in casa, si occupa della sfera privata, custode dell’ordine e della moralità.
    Nelle società contemporanee il diverso standard fra i generi si è pian piano affievolito e si limita alle differenze anatomiche più rilevanti fra il corpo maschile e quello femminile: in molti contesti ad esempio non è spudorato mostrare le gambe nude in pubblico né per una donna né per un uomo, mentre permane quasi sempre la differenza relativa al seno.
    Capi unisex per eccellenza sono oggi i pantaloni e in particolare i jeans, che hanno fatto la storia di intere generazioni e rappresentano l’icona del casual: indossati prima solo dai ragazzi e dai giovani adulti sotto una spinta egualitaria, i pantaloni di tela blu, cui con gli anni sono state introdotte innumerevoli varianti, occupano un posto negli armadi di chiunque.
    Ben pochi ricordano che sono nati come indumenti da lavoro, grazie alla robustezza del tessuto denim usati dai cercatori d’oro e dai minatori, dai cowboy, dagli operai e dai contadini, dai meccanici e dai muratori.
    L’indifferenziazione tra gli abiti dei due sessi ha però un’origine precedente (benché fossero già sostanzialmente unisex molti indumenti dei secoli antichi, ad esempio le tuniche nel bacino del Mediterraneo). È il 1850 quando una giovane attivista, Amelia Bloomer, professa un ruolo più centrale della donna nella società americana, anche a partire dall’abbigliamento. Nascono così i bloomers, detti anche pantaloni alla turca.
    Le donne cominciano a indossare i pantaloni, a partire dagli sport ma anche sul lavoro, per ragioni non solo di contestazione dei confini prefissati ma anche di una vita più dinamica.
    La prima gonna pantalone fa la sua comparsa in Italia negli anni ’10 del secolo scorso, ed è scandalo. Il Corriere della Sera parla di donne assalite, molestate e ingiuriate per strada perché “colpevoli” di vestirsi come i maschi.
    Agli esordi, nei rivoluzionari anni ’60 e ’70, l’abbigliamento unisex (Pierre Cardin, André Courrèges, Paco Rabanne) aspirava a “sfocare e attraversare i confini di genere”, ma alla fine – complici gli stessi grandi marchi – l’uniformità si è espressa attraverso una decisa inclinazione al maschile dell’abbigliamento femminile – e basta.
    Sebbene la moda riduca nei fatti al minimo le differenze di genere, di solito ha l’effetto opposto sull’immaginario. Parte del fascino è infatti il contrasto sexy tra chi li indossa e gli abiti, che in realtà richiamano l’attenzione su parti considerate erotizzanti del corpo femminile.
    Coco Chanel passeggia in riva al mare con i pantaloni dell’amante; il look androgino e i capelli corti vengono immortalati da Francis Scott Fitzgerald; Marlene Dietrich indossa lo smoking nel film Marocco. Tutte queste piccole rivoluzioni hanno portato la moda femminile a convergere su quella maschile, ma non viceversa.
    I tentativi di femminilizzare l’aspetto maschile si sono rivelati di breve durata: le donne portano quasi tutte i pantaloni in ufficio, ma gli uomini si attengono rigidamente alle giacche – magari alleggerite o colorate – e alle cravatte. Fa eccezione il solo kilt tradizionale scozzese, nato per ragioni di comodità poi diventato segno identitario.
    Jean Paul Gaultier, couturier francese amante della trasgressione, ha provato a mettere in scena a più riprese modelli con la gonna nelle sue sfilate, ma non ha avuto il successo che sperava. «Men must learn to deal with their fragility», ha detto inascoltato. «Vogliono cancellare il maschio!» gridano i giornali reazionari.
    Nessuno, se non il pregiudizio omofobo, ha stabilito che gli uomini non possano indossare le gonne. Uno psicanalista avrebbe gioco facile a spiegare perché.
    L’inclusione e la fluidità di genere restano fatti di élite, tematiche portate avanti soprattutto dai modelli delle passerelle e dal mondo del cinema, con personaggi di spicco che decidono di indossare sul red carpet abiti che rompono gli schemi e mescolano codici stilistici.
    Ammirati, ma non copiati.

     

    Articolo di Graziella Priulla
    Graziella Priulla, già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, lavora alla formazione docenti, nello sforzo di introdurre l’identità di genere nelle istituzioni formative. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui: C’è differenza. Identità di genere e linguaggi, Parole tossiche, cronache di ordinario sessismo, Viaggio nel paese degli stereotipi.
    da :https://vitaminevaganti.com/2019/05/18/j-come-jeans/?fbclid=IwAR1kYo-Ay8zdAsvUH441yYparY23Wx_i-bCpSiYo055FKDT-NMTbLavuZEA

    Share. Facebook Twitter Pinterest LinkedIn Tumblr Email
    Avatar photo
    Dols

    Dols è sempre stato uno spazio per dialogare tra donne, ultimamente anche tra uomini e donne. Infatti da qualche anno alla voce delle collaboratrici si è unita anche quella degli omologhi maschi e ciò è servito e non rinchiudere le nostre conoscenze in un recinto chiuso. Quindi sotto la voce dols (la redazione di dols) troverete anche la mano e la voce degli uomini che collaborando con noi ci aiuterà a non essere autoreferenziali e ad aprire la nostra conoscenza di un mondo che è sempre più www, cioè women wide windows. I nomi delle collaboratrici e collaboratori non facenti parte della redazione sono evidenziati a fianco del titolo dell’articolo, così come il nome di colei e colui che ci ha inviato la segnalazione. La Redazione

    Related Posts

    La generazione in attesa

    18/09/2025

    The life of Chuck

    17/09/2025

    Downton Abbey: il gran finale

    11/09/2025
    Leave A Reply Cancel Reply

    Captcha in caricamento...

    Donne di dols

    Dols magazine
    Caterina Della Torre

    torre.caterinadella

    Redattora del sito internet www dols.it

    Recensione di lucia~ingrosso Recensione di lucia~ingrosso
    Post su Instagram 18067089128335314 Post su Instagram 18067089128335314
    Post su Instagram 18056643248425137 Post su Instagram 18056643248425137
    Elisa recensione di Erika Arosio Elisa recensione di Erika Arosio
    Lo spartito della vita di Erica Arosio Lo spartito della vita di Erica Arosio
    Fuori cinema in Gae aulenti Fuori cinema in Gae aulenti
    Post su Instagram 17969264072791937 Post su Instagram 17969264072791937
    Post su Instagram 18524484466032075 Post su Instagram 18524484466032075
    Parco Nord a Milano Parco Nord a Milano
    Parco Nord milano Parco Nord milano
    Post su Instagram 18075304736483397 Post su Instagram 18075304736483397
    Post su Instagram 18102166543591351 Post su Instagram 18102166543591351
    Post su Instagram 18063120035036334 Post su Instagram 18063120035036334
    Warfare di Erica Arosio Warfare di Erica Arosio
    Fragilità e forza Fragilità e forza
    Aperitivo da Illy in Gae aulenti Aperitivo da Illy in Gae aulenti
    Post su Instagram 17977992797879651 Post su Instagram 17977992797879651
    Matera e Matera e
    Vista di Milano dalla Triennale Vista di Milano dalla Triennale
    Post su Instagram 17892342741296014 Post su Instagram 17892342741296014
    Carica altro Segui su Instagram
    Quando verrà la fin di vita

    le stagioni della verità

    Questo mio corpo

    Amazon.it : Questo mio corpo

    CHI SIAMO
    • La Redazione
    • La storia di Dol’s
    • Le sinergie di dol’s
    • INFORMATIVA PRIVACY
    • Pubblicizza su Dol’s Magazine
    • Iscriviti a dol’s

    Questo sito non è una testata giornalistica e viene aggiornato secondo la disponibilità del materiale.
    Pertanto non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n.62 del 7.03.2001
    © 2025 Dol's Magazine. All Rights Reserved. Credits: Dol's Magazine

    Questo sito non è una testata giornalistica e viene aggiornato secondo la disponibilità del materiale.
    Pertanto non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n.62 del 7.03.2001
    © 2025 Dol's Magazine. All Rights Reserved. Credits: Dol's Magazine

    Type above and press Enter to search. Press Esc to cancel.

    Questo sito utilizza cookie, eventualmente anche di terze parti, per offrirti una migliore esperienza di navigazione.
    Per saperne di più clicca qui, procedendo nella navigazione o cliccando su OK acconsenti all’uso di tutti i cookie.
    OK