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    Home»Pari opportunità»Il Gioco del rispetto: se l’intolleranza è delle Istituzioni
    Pari opportunità

    Il Gioco del rispetto: se l’intolleranza è delle Istituzioni

    DolsBy Dols21/07/2016Nessun commento6 Mins Read
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    Pari o dispari? Il gioco del rispetto: una minaccia per l’umanità o semplice de-costruzione della cultura patriarcale e sessista dominante?

    di Nicolao Conchita

    Con una delibera del 18 u.s. approvata all’unanimità, la Giunta comunale di Trieste ha deciso di eliminare dai programmi formativi delle Scuole materne comunali il tanto discusso progetto ludico – educativo “Pari o dispari? Il gioco del rispetto”.
    Sostenuto e fortemente voluto dalla precedente amministrazione comunale di centrosinistra per promuovere la cultura della parità tra i sessi, con la nuova Giunta di centrodestra, che ne aveva fatto un punto del programma elettorale, si mette la parola fine al progetto, con effetto immediato, anche attraverso il ritiro dalle scuole di tutti i 30 kit didattici distribuiti.
    Costato oltre 8 mila euro, aveva riscosso grande eco mediatica perché contestato con l’accusa d’indurre la nota “teoria del gender”.
    A seguito di quella polemica, il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro sposava il ruolo di censore e redigeva una lista nera di 49 libri di favole per l’asilo, giudicati troppo vicini al “gender”.
    Quasi in sordina, ora si pone fine alla sperimentazione..
    «I bambini sono sacri, devono poter giocare liberamente ed avere garantita un’infanzia serena»: sentenzia il neo sindaco Roberto Dipiazza.
    E quanto gli stia a cuore la serenità dei bambini lo si vede dalla politica da sceriffo subito realizzata: uscita del Comune dalla rete READY (per una politica inclusiva di gay e lesbiche), installazione di nuove telecamere sul territorio, intenzione di armare i vigili urbani, allontanare mendicanti e rom, porre fine alla questione immigrazione che, da fine mese, sarà di competenza della Prefettura e non più del Comune..
    Chiariamoci: il problema non è quello di aver speso soldi pubblici inutilmente, imponendo scelte ideologiche ultraconservatrici, ma quello di aver attuato (riuscendoci) un vero attacco alla democrazia senza alcuna reazione di sorta.
    I padri costituenti, memori degli indirizzi di politica scolastica ed educativa attuati durante il fascismo, all’articolo 33 della Costituzione disposero che ”L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.
    Tale norma, sancendo la libertà di insegnamento, ci salvaguarda dalle ingerenze politiche nell’educazione, istruzione e formazione dei nostri figli.
    Gli insegnanti, nel rispetto del diritto, hanno libertà di svolgere in autonomia il proprio lavoro, utilizzando i metodi che ritengono più opportuni.
    Detto questo, l’approvazione di questa delibera va in direzione opposta: una scuola on demand, ad immagine e somiglianza dell’elettorato di maggioranza, una scuola in cui cosa sia lecito o non lecito inserire nel programma scolastico lo decide la classe politica di turno.
    Molto pericoloso..
    La recente Legge 77/2013 di ratifica della Convenzione di Istanbul prevede che, nelle scuole di ogni ordine e grado, si lavori per una cultura del reciproco rispetto, per un’educazione paritaria tra i sessi, contro la violenza sulle donne, contro gli stereotipi di genere, le discriminazioni e l’intolleranza.
    Le stesse linee guida ministeriali confermano questo obiettivo.
    Supportato da studi e ricerche internazionali, in linea con le direttive del Miur del 2003 e della Legge 107/15 (riforma della Buona Scuola), il progetto è stato attivato in cinque scuole su un totale di 29.
    Come ribadito in un comunicato stampa dalla ex vice-sindaca (v. http://retecivica.trieste.it/new/Default.asp?tabella_padre=sezioni&ids=12&tipo=-&pagina=cstampa_leggi.asp&comunicato=11659), l’adesione al progetto ha seguito un iter approvativo piuttosto lungo, trasparente e democratico, che ha coinvolto Istituzioni, genitori, famiglie, corpo docente, coordinatori pedagogici.
    In ogni fase rispettoso delle opinioni di tutti, attento alle esigenze di ciascuno, tanto da prevedere attività alternative per i bambini le cui famiglie esprimevano dissenso a questo progetto ludico – educativo.
    L’80% dei genitori ha acconsentito a dare ai propri figli e figlie un modello pedagogico attento al tema dei ruoli di genere non stereotipati, per offrire un punto di vista diverso rispetto a quello tradizionale, perché una camicia può essere stirata dalla mamma ma anche dal papà; una lampadina può essere cambiata dal papà ma anche dalla mamma; non esistono giochi/colori/lavori/professioni maschili o femminili. E così via..
    Attraverso il gioco, si apprende che non vi è un problema di “pari o dispari” opportunità poiché tutti hanno stessi diritti, stesso valore, stesse opportunità; col gioco si educa al confronto, alla tolleranza, alle differenze.
    Si tratta di veicolare le nuove generazioni verso una sensibilità nuova, per l’abbattimento degli stereotipi culturali che imprigionano maschi e femmine in ruoli predefiniti, che nulla hanno a che vedere con la identità di genere. Anche perché, se è l’identità di genere a realizzarsi per aderenza a ruoli stereotipati, allora sì che può minare la sicurezza e l’equilibrio dell’individuo.
    I temi della sessualità e dell’affettività non vengono affrontati: contrariamente a quanto tacciato, non si induce all’omosessualità o al travestitismo.
    Il progetto ha anche valenza scientifica, soprattutto per l’attenzione rivolta alla misurazione dei risultati.
    Molte sono le scuole primarie, secondarie o superiori che hanno dato vita ad attività di prevenzione della violenza di genere e del bullismo, di educazione al rispetto. Si tratta però di interventi effettuati su un’utenza che per l’età ha già ben radicati gli stereotipi di genere.
    Se si cerca un cambiamento culturale, occorre investire sulle nuovissime generazioni..
    Una società paritaria e rispettosa si costruisce nel tempo perché, se il problema è strutturale, v’è necessità di tempo per far nascere e crescere un’attenzione nuova all’altrui diversità.
    Un percorso formativo quindi che va inculcato fin da piccoli, a prevenzione di qualsiasi forma di violenza futura. È bene far comprendere che uomini e donne, benché fisicamente diversi, hanno le stesse potenzialità.
    La novità del progetto “Pari o dispari? Il gioco del rispetto” è che si rivolge ad una scolaresca giovanissima, ancora permeabile ai concetti di libertà di espressione e di comportamento, non ingabbiata in una visione distorta e iniqua dei rapporti tra generi.
    Si tratta di porre l’attenzione agli stereotipi (individuarli, senza minimizzarli o negarli), verificare quanto concorrano a perpetrare una cultura intollerante e fallocentrica. Se compito della Scuola è quella di formare i cittadini del domani, è giusto che trasmetta conoscenze, competenze ma, soprattutto, nuovi valori e diverse sensibilità.
    Chi desidera il progresso civile e sociale, per coerenza intellettuale, non può temere interventi come questi.
    Le ideatrici del progetto – un gruppo multidisciplinare – non demordono: il concetto di mascolinità e di femminilità non preclude e non esclude nulla. Recentemente a Siracusa per esporre questo esperimento educativo, speriamo di vederle presto anche a Reggio Emilia.
    Il lavoro da fare non manca: cyberbullismo e bullismo, episodi di omofobia, violenza fisica e/o psicologica sulle donne, discriminazioni più o meno velate sul luogo di lavoro (in termini salariali e/o di possibilità di carriera), femminicidi…
    Le discriminazioni tra uomo e donna non sono “teoria” ma una realtà, molto ben radicata nella cultura italiana, ancorata a vetusti schemi, riottosa al cambiamento.
    Concludendo..
    Pari o dispari? Il gioco del rispetto: una minaccia per l’umanità o semplice de-costruzione della cultura patriarcale e sessista dominante?

    “La cultura alla quale apparteniamo, come ogni altra cultura, si serve di tutti i mezzi a sua disposizione per ottenere dagli individui dei due sessi il comportamento più adeguato ai valori che le preme conservare e trasmettere.
    L’obiettivo dell’identificazione di un bambino col sesso cui è stato assegnato si raggiunge molto presto, e non ci sono elementi per dedurre che questo complesso fenomeno abbia radici biologiche.“
    (Elena Gianini Belotti, 1973)

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