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    Home»Costume e società»AFGHANISTAN. SCHIAVE DI UN SOGNO ARTIFICIALE
    Costume e società

    AFGHANISTAN. SCHIAVE DI UN SOGNO ARTIFICIALE

    Rita CugolaBy Rita Cugola05/06/2016Updated:05/06/2016Nessun commento4 Mins Read
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    Afghanistan-donne-schiave
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    In precedenza il fenomeno della tossicodipendenza  interessava prevalentemente la popolazione maschile, ma da qualche tempo sta coinvolgendo sempre più donne e vedove o disoccupate sono costrette a vendere il proprio corpo per sopravvivere.

    Con circa un milione di eroinomani e oppiomani su una popolazione stimata in oltre 30 milioni di abitanti, l’Afghanistan è con ragione il paese leader nel mondo per ciò che concerne il consumo pro-capite di sostanze stupefacenti.

    Dalle stime effettuate dal Drugs and Crime Office dell’Onu (Unodc) si evince che la coltivazione del papavero ha registrato un incremento pari al 7% nel solo 2011; su vasta scala l’Afghanistan continua dunque ad essere il maggior fornitore di oppio al mondo e gli introiti ricavati dalla commercializzazione della droga rappresentano ormai circa il 9% del Pil nazionale.
    I fumatori locali di oppio sono in costante aumento, anche se ciò comporta una spesa giornaliera di 200 afghani (equivalenti a quattro dollari), cifra di tutto rispetto in un paese dove il reddito medio individuale annuo raggiunge a stento i mille dollari.
    In precedenza il fenomeno della tossicodipendenza interessava prevalentemente la popolazione maschile, ma da qualche tempo sta coinvolgendo sempre più donne: il Nejat Center di Kabul parla di 60mila (300 solo nella capitale), mentre per l’Unodc sarebbero 110mila, ma solo il 10% tra loro riuscirebbe a beneficiare di appositi trattamenti di riabilitazione.
    Il direttore del Nejat, Arman Raoufi, non sembra avere dubbi: alla base della diffusa tossicodipendenza femminile ci sarebbero la crescente disoccupazione, la lunga guerra civile e (non ultime) le cattive abitudini adottate da quel settore della popolazione maschile che negli anni Ottanta – all’epoca dell’occupazione sovietica del paese – erano fuggiti in luoghi schiavi del consumo di droga quali Iran (secondo al mondo) e Pakistan, e che al loro ritorno in patria hanno continuato a far uso di stupefacenti, coinvolgendo in tal modo anche le rispettive mogli, madri o sorelle.
    “Così, capita spesso che le donne mandino i loro figli a raccogliere avanzi e bottiglie per riuscire a pagarsi la droga. Inoltre”, ha sottolineato, “dalla caduta dei talebani è cresciuta la prostituzione, e questo ha contribuito a estendere i problemi”.
    In assenza di sussidi infatti, le donne rimaste vedove o disoccupate sono costrette a vendere il proprio corpo per sopravvivere. Questo, unito all’uso di droghe illecite ha favorito la rapida diffusione del virus Hiv. Il ministero afghano della Salute si è subito attivato per riuscire a identificare in tempi rapidi i soggetti con comportamenti ritenuti a rischio, in modo da poterli poi affidare a strutture specializzate, ma ha dovuto scontrarsi duramente con le forze ultratradizionaliste ancora molto potenti nel paese.“Droga e Aids sono visti come il male nella società conservatrice musulmana”, ha ammesso Mohammad Hahn Heddait, esperto ministeriale in malattie infettive . “Se poi riguardano le donne, il male è doppio”.
    Il Sanga Amaj Women’s Drug Treatment Center, istituito nel 2007 con fondi esteri, ha già aiutato oltre 500 donne. E’ una struttura in grado di accogliere con ciclicità trimestrale 20 pazienti a cui offre assistenza gratuita. Incuranti delle minacce di mariti autoritari, trafficanti e spacciatori di droga, medici e operatori sanitari setacciano quotidianamente il territorio di Kabul per individuare i casi più disperati.

    schave-afghanistanNell’Afghanistan dei Talebani che sembra aver voluto cancellare la figura femminile nell’ambito sociale, una donna non può sottoporsi a visite mediche se gli specialisti sono uomini (consuetudine ormai assodata); qualsiasi possibilità di ricorrere a eventuali cure o terapie resta dunque aprioristicamente esclusa.
    Barricate tra le mura domestiche, impossibilitate a uscire se non scortate da un parente maschio, annullate dal burqa molte donne afghane hanno quindi cercato un effimero sollievo alla disperazione rifugiandosi nel consumo di oppio ed eroina. Ora non riescono più a rinunciarvi.
    Da schiave di un sistema a schiave della droga, nel tentativo di allontanare quella realtà troppo dura da sopportare. La nefasta influenza di un’egemonia maschile esasperata sta ancora una volta contemplando le sue vittime innocenti, in seno a una società già pesantemente compromessa sul piano etico.

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    Rita Cugola
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    Milanese del ‘59 è giornalista professionista da molti anni. Nel periodo universitario si è dedicata alle recensioni musicali e cinematografiche su istanza di Amica, Cosmopolitan, NoiDonne, Il Borghese). In seguito si è però specializzata in questioni di politica estera e problematiche sociali internazionali (con peculiare attenzione all’universo femminile islamico e al fenomeno discriminatorio globale), scrivendo per svariate testate nazionali, tra cui Panorama.it, La Padania, La Stampa e Il Fatto Quotidiano. Già autrice e conduttrice di programmi giornalistici di approfondimento in emittenti private e tv locali ha deciso di creare un blog su tematiche di geopolitica internazionale (LOOK BEYOND, ritacugola.wordpress.com). Appassionata di egittologia, sufismo e filosofia ha lavorato a lungo con (Sp)Hera, mensile di storia, archeologia ed ermetismo. Per un triennio è stata condirettore di Alganews (magazine online fondato da Lucio Giordano). Attualmente scrive per Dol’s Magazine e il mensile Storica (gruppo RBA). Grazie alla conoscenza di quattro lingue (oltre all’Arabo che sta studiando nel tempo libero) collabora attivamente con la Libreria Islamica/Edizioni Al Hikma, traducendo testi ancora inediti di carattere filosofico/religioso.

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