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    Home»Costume e società»Cultura»Tra le mura
    Cultura

    Tra le mura

    DolsBy Dols21/10/2011Updated:16/06/2014Nessun commento8 Mins Read
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    Un libro di Marcella Reni e Carlo Paris

    Il libro romanzo parla dell’incontro, tra le mura del carcere di alta sicurezza di Milano-Opera, tra sette detenuti, ad elevato spessore criminale, e sette vittime in un percorso di umanizzazione e di riconciliazione.

    Il libro ha un obiettivo di informazione, sensibilizzazione e di allargamento dei punti di vista della società civile su questi temi, in più si introduce la Giustizia Riparativa che vogliamo introdurre in Italia, come raccomandato dall’ONU, e già presente in altri paesi del mondo.

    La storia descrive la Prison Fellowship International (www.pfi.org), presente in 130 paesi del mondo, la nascita della Prison Fellowship Italia in Italia (www.prisonfellowshipitalia.it) ; e il Progetto Sicomoro (www.progettosicomoro.org)

    E’ un progetto di elevato valore sociale e umanitario .

    il libro è andato in stampa in questi gg, il ricavato proveniente dalla vendita di questo libro, che descrive il nostro progetto nel Carcere di Milano-Opera, viene devoluto al 100% a due Onlus,
    1) Victim Fellowship Italia che si occupa delle Vittime di reati (tipo Libera di Don Ciotti), dei loro familiari e del loro reinserimento sociale e lavorativo;
    2) Prison Fellowship Italia Onlus che si occupa del reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, ex detenuti e loro famiglie;

    Abstract

    «Un sasso, quando cade nello stagno, provoca delle onde circolari che si allargano sempre di più fino a creare delle piccole onde sulla riva. È il crimine, il suo impatto si allarga sulle vittime e sull’intera comunità». Decenni di studi sulla teoria retributiva della pena caduti così. Come un sasso nello stagno.
    È Carlo il primo a prenderti per mano per farti entrare nelle sue intimità più profonde. I suoi dubbi diventano i tuoi dubbi. Le sue paure le tue paure, le sue domande le tue domande. La lettura è fluida, scorrevole. Di pancia, si direbbe in gergo. Ma in realtà sono continui pugni nello stomaco. Uno dietro l’altro, fino ad arrivare sulla riva di quel lago in una mattina limpida. Sulla riva Carlo passa il testimone a Marcella. Amorevole, dolce, certa della meta da raggiungere. Anche se continua a guardarsi le scarpe con la paura di non avere con sé gli strumenti adatti.
    Il lago è fermo, loro si muovono con te sulla riva. Te lo fanno vedere da diverse angolature. Ti indicano i luoghi più segreti, quelli più conosciuti e frequentati, le insenature nascoste dove qualcuno ha abbandonato detriti. Non sai perché sei lì. Non sai perché ti hanno portato con te. Non sai dove andranno, né se rimarrai con loro. Eppure sei già parte del loro viaggio, della loro esperienza. Non ne hai preso subito consapevolezza, ma hai avuto questa sensazione da quando hai iniziato a leggere: fin dalle prime pagine hai avuto l’urgenza di andare avanti, di scoprire con loro, di sapere.
    Non fai più domande, perché la domanda ce l’hai tra le mani. Sono parole che scorrono veloci, dubbi che si accavallano ai dubbi. Sono uno scrigno inaccessibile che ha preso la forma di un libro, e che contiene i sogni fermati, i futuri rubati, le speranze uccise delle tante anime imprigionate tra le pagine.
    Anche se non sai cos’è Sicomoro, anche se non ti sei mai preoccupato di sapere che esistono organizzazioni internazionali che lavorano accaventiquattro per restituire un senso a vite spezzate, continui a leggere. Continui ad avvertire, davanti a te, la presenza di quel lago, fermo. Senti l’odore dei dubbi di Carlo, il profumo della fede di Marcella, che ti accarezzano mentre ti addentri sempre di più nella loro storia, nella loro esperienza.
    Al primo cambio di velocità, al primo cambio di scena, alzi gli occhi e ti accorgi che non sono piccole onde, a muovere la superficie del lago. Sono turbini concentrici. Scuri. Sono il riflesso della tempesta che è arrivata di colpo. Il cielo si incupisce, il rumore del vento diventa assordante. Guardi meglio. I sassi sono macigni. Sono storie orrende. Sono incubi che non vuoi vivere. Ma ti hanno già preso, sei già parte di loro. Per un attimo arrivi a odiare la tua voglia di andare avanti, di camminare tra le mura dell’anima. Per un attimo vorresti non esserti mai fatto catturare da quella copertina di mattoni e movimento, che solo ora ti accorgi avere lo stesso colore del sangue. Ti viene in mente che il sicomoro è un albero africano. Immenso, lo immagini. Lo vedi affiorare accanto a ciascun sasso. Ricordi che gli antichi egizi ne utilizzavano il legno per costruire i sarcofaghi a protezione delle mummie. Vorresti scappare, ma ormai è tardi. Ormai Marcella e Carlo ti hanno preso, ciascuno per una mano, e ti fanno entrare in quel lago, che ti toglie il fiato.

    Non sai quando succede esattamente. Non sai quando inizi a riconoscere i nomi e le caratteristiche dei sette detenuti ai quali è rivolto il primo progetto Sicomoro, all’interno del carcere di Opera. Non sai quando inizi a pensare che forse anche il loro punto di vista deve essere ascoltato e compreso. Se l’hai letto, ti viene in mente il romanzo di Yasmina Khadra, l’attentatrice. Destabilizzante nello scoprire i tuoi pregiudizi sul mondo islamico, sulle ragioni che possono portare a diventare un kamikaze. Nel vedere le cose da un altro punto di vista, che non è il tuo, ma esiste. Sei destabilizzato come allora: ti stai affezionando a dei delinquenti, dei reietti, dei detenuti, proprio come si stanno affezionando i familiari delle vittime che costituiscono l’altro peso sulla bilancia del Sicomoro. Pensi ad Anubi, al bilancino per pesare il cuore dei defunti, per vedere se è leggero come la piuma di Maat, e dunque non diverrà pasto per il coccodrillo, mentre vedi Carlo e Marcella armeggiare con i sette passi e le otto sessioni del progetto, con la stessa maestria. Con lo stesso bilancino di precisione. Con la stessa volontà di alleggerire i cuori.
    Quando arrivi alla fine del diario, alla fine dell’esperienza, alla fine della tua immersione in quel lago, vorresti riprendere dall’inizio. Vorresti dire “rifacciamolo”. Subito.
    Esci da quel lago, che è tornato una tavola di cristallo, senza bisogno di aiuto. Marcella e Carlo sono stati i tuoi traghettatori, come Virgilio per Dante, dall’inferno al purgatorio. Il paradiso può attendere.

    È impossibile rendere in una prefazione l’universo di emozioni, dolci e destabilizzanti, che aggrediscono ad ogni passo, ad ogni descrizione, ad ogni parola. Tra le mura dell’anima è un libro da leggere in apnea, senza domande. È un percorso unico nel suo genere, è la conferma che ciascuno di noi può caricarsi un po’ di peso degli altri, ed essere alleviato nei propri. Non ci sono misure, in tra le mura dell’anima. C’è amore, c’è dolore. Ma c’è anche gioia, c’è anche e soprattutto condivisione.
    Mentre si sgretola, mattone dopo mattone, il muro dell’anima di ciascuno dei sette detenuti, mentre ti innamori ancora maggiormente, di un amore rabbioso, della dolcezza delle vittime, si sgretola qualcosa anche dentro di te. Cadono i muri, in quella mano tesa. Cadono i pregiudizi, i non detti, gli egoismi che costituiscono i tanti mattoni dietro i quali cerchiamo, miopi – se non, addirittura, ciechi – di nascondere le nostre paure.
    E queste sono solo alcune delle infinite ragioni per le quali non smetterò mai di essere grata a Marcella e Carlo, al loro progetto, ai loro “sette nani”, ma soprattutto ai familiari delle vittime innocenti delle mafie.

    Questo lavoro è arrivato nel momento giusto. E completa un mio personalissimo ciclo, dà un senso agli ultimi anni di domande in una terra che ti entra dentro e non ti lascia più.
    Mario Congiusta e Nicoletta Inzitari, coprotagonisti di Sicomoro, sono due ricchezze della punta dello Stivale, capaci di un amore smisurato in memoria di Gianluca e Francesco. Capaci, grazie a Marcella e Carlo, di dare un qualcosa che è ancora più prezioso dell’amore, perché è merce rara, rarissima: il perdono.
    Ho camminato con loro in punta di piedi, mi sono scoperta sorella di due ragazzi incredibili cui è stato rubato il futuro. Due ragazzi che, da sei e due anni, sono simboli e monito dell’urgenza di abbandonare l’indifferenza e iniziare a indignarsi, nonostante l’impotenza assoluta di fronte ai troppi, continui, omicidi di ’ndrangheta.
    Li ho ritrovati sotto una nuova luce, dopo Sicomoro. Dopo Opera. Dopo Marcella e Carlo. Li ho trovati ancora più determinati ad andare avanti. Ancora più convinti che “cambiare si può”.

    Tra le mura dell’anima è una terapia. Lo è stata anche per me: la terapia del ricongiungimento. Una terapia utile a chiunque, almeno una volta nella vita, si sia chiesto «cosa posso fare io, per cambiare le cose?».
    A Marcella e Carlo, ma anche e soprattutto ad Alberto, Alessandro, Antonella, Chiara, Daniela, Eugenio, Fabio, Francesco, Giorgio, Mario, Nicoletta, Roberto, Rocco, Rosario, Salvatore, semplicemente, grazie.

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