Il Teatro Evolutivo
Di e con Susanna Garavaglia
C’è un momento, nella vita, in cui qualcosa dentro di noi comincia a bussare piano.
Non è un grido, né una richiesta impaziente. È più simile a un sussurro, a un respiro sottile che dice: “È tempo”. Tempo di lasciare andare ciò che non siamo più, di riconoscere le parti di noi che hanno compiuto il loro viaggio e ora chiedono di riposare. Ogni ciclo, per quanto amato, arriva a una soglia. E dietro quella soglia ci attende un nuovo inizio.
È qui che nasce, per me, il senso profondo del Teatro Evolutivo.
Quando invito qualcuno a entrare in questo spazio, non propongo una tecnica teatrale, non insegno a recitare. Invito piuttosto a compiere lo stesso delicato lavoro che l’attore fa su se stesso prima di affrontare il palcoscenico e il suo pubblico. Un lavoro di ascolto, di verità, di coraggio.
Perché, come ho imparato in tanti anni di esperienza accanto a donne e uomini di ogni età, anche questa è una via — una via dolce, rispettosa dei ritmi interiori, una via che porta a incontrare la voce più autentica dell’Anima.
All’inizio accade in modo quasi impercettibile, come un gioco.
Un gioco di cui non conosci subito le regole, ma che impari piano piano, lasciandoti guidare.
Un gioco morbido e potente insieme, che accompagna la Personalità a mutare, per permettere all’Anima di espandersi, respirare, evolvere.
Nel Teatro Evolutivo, “l’attore” diventa un osservatore attento: osserva e si osserva.
Guarda il passato, il presente e il futuro del suo personaggio come fossero onde che attraversano la stessa vita, e nel farlo riconosce di poter dirigere la propria interiorità così come guida i movimenti del corpo sulla scena. È un atto di presenza, di coscienza.
Agendo “per gioco”, egli diventa ciò che vede in se stesso, si trasforma in ciò che la sua immaginazione gli rivela, facendo ciò che il pensiero suggerisce.
E in questo continuo fluire tra immagine e azione, tra intuizione e corpo, comprende che noi siamo anche quello che pensiamo.
Ed è così che, mentre impara a dirigere la vita del personaggio, impara a divenire consapevole della propria. Impara a farla vibrare con la vita dell’Anima.
Da sempre mi accompagna l’insegnamento di Konstantin Stanislavskij, attore, regista e teorico teatrale (Mosca, 1863–1938).
Egli invitava l’attore a cercare la vita interiore del personaggio sollecitando la propria natura nascosta, rifiutando ogni tecnica imitativa o meccanica.
Non basta immaginare la vita della parte nei suoi gesti esteriori, diceva: bisogna adattare ad essa i propri sentimenti, offrire i materiali vivi della propria anima.
Così, dal contatto tra il sentire personale e quello del personaggio, nasce un essere nuovo, vero, vibrante.
Il Teatro Evolutivo porta questo insegnamento nel cammino interiore.
Attraverso la simulazione di situazioni immaginarie, ci invita a creare un uomo vivo da noi stessi, utilizzando la nostra immaginazione creativa.
Questa facoltà, ponte fra il piano emotivo e quello mentale, raccoglie la propria energia e la focalizza in un punto preciso — tra la ghiandola pineale e il corpo pituitario.
Focalizzare significa non disperdere, ma dirigere l’energia verso un obiettivo: trovare il punto di contatto interiore tra il proprio vissuto e quello del personaggio. Un contatto che può nascere da un testo drammatico o da un semplice esercizio di addestramento, e che a volte dura solo pochi istanti.
Eppure, in quei pochi istanti, qualcosa si apre.
È come quando incontriamo una persona — sconosciuta o familiare — e di colpo la vediamo in una luce nuova. Quel contatto ci dischiude un frammento di verità: ci fa intuire qualcosa di lei, ma anche — e soprattutto — qualcosa di noi.
Nel conoscerla, nel capirla, nel forse amarla, sentiamo che qualcosa si trasforma.
Quella persona diventa uno specchio, e nel suo riflesso riconosciamo parti dimenticate della nostra stessa vita. Doni addormentati che, al contatto con l’altro, si risvegliano.
Come scrive Eileen Caddy nelle 108 Meditazioni di Findhorn:
“Dio continuamente ci fornisce la saggezza per scoprire nuovi canali perché il bene sia sempre più presente nelle nostre vite.”
E così accade anche nel Teatro Evolutivo.
Il contatto non resta confinato alla mente o all’immaginazione: diventa azione, movimento, carne.
L’allievo impara a tradurre ciò che vive interiormente in gesto, in parola, in ritmo.
Non pensa soltanto di essere in un certo modo: agisce in quel modo, anche se per gioco, anche se in una situazione simulata.
Ma non è simulato l’io dell’attore — anzi, è da lì che tutto nasce.
È dall’incontro con il proprio io più autentico che scaturisce il doppio miracolo: da un lato l’attore diventa un altro sé, co-creatore della sua realtà; dall’altro sviluppa le sue possibilità latenti, consce e inconsce. Egli non parte dall’io privato, quello costruito dalle abitudini quotidiane, ma dall’io creativo — la sorgente profonda, spesso sconosciuta, del suo essere. Per dar vita a un personaggio, deve dilatare la sua coscienza, spostandosi dall’io limitato a quello infinito.
E così, nel rappresentare un altro, comincia a scoprire chi è davvero.
Quante volte, nella nostra vita, ci convinciamo di essere solo ciò che già conosciamo di noi?
Ci aggrappiamo ai nostri modelli, alle vecchie forme, come se solo quelle potessero garantirci la vita. Temiamo il nuovo, il diverso, l’imprevisto, e così ci cristallizziamo, chiudendo il flusso della nostra energia. Ma la vita non tollera la stagnazione.
Con la Teatroterapia, creando “un altro da noi stessi”, possiamo finalmente osservarci senza giudizio, con curiosità e compassione. Possiamo ascoltare i nostri pensieri, le nostre paure, i nostri desideri come fossero personaggi: prendercene cura, accoglierli, o lasciarli andare.
“La vita infinita — diceva Stanislavskij — non può essere circoscritta all’interno di un concetto ristretto.”
E proprio lui scriveva in Il lavoro dell’attore:
“Tutto il segreto, la via alla creazione, è in voi stessi; e tutto quello che io, regista, posso fare è riportarvi a voi stessi.”
Questo è il cuore del lavoro che propongo nei miei seminari di Teatro Evolutivo:
riconoscere se stessi attraverso il personaggio, e il personaggio attraverso se stessi.
Ogni esercizio, mutuato dal metodo di Stanislavskij, dall’allenamento teatrale o dalla mia esperienza psicospirituale, diventa un passo verso la consapevolezza.
Perché l’arte creativa è una funzione dell’anima.
Il vero artista, in fondo, è colui che cerca di allinearsi con la propria luce interiore, di dare forma visibile alla scintilla divina che abita in lui. E quando l’attore si trasforma nel personaggio, attinge alla verità delle proprie emozioni, alle memorie più intime della sua vita.
Così, attraverso la memoria emotiva, egli dà vita a un essere nuovo — un’unità che non è più solo lui né solo il personaggio, ma una terza cosa, una sintesi viva.
È un atto creativo, e ogni creazione è una trasformazione. Anche solo immaginata, anche solo pensata: perché il pensiero è la legge del mondo.
Con il Teatro Evolutivo ci si allena a usare la mente come strumento d’azione.
Si comincia dal mentale, scegliendo le analogie tra sé e la vita del personaggio, e da lì si riattivano memorie, emozioni, sensazioni. Dal mentale si passa all’emotivo, e dall’emotivo al fisico: il corpo diventa la voce dell’anima.
Tutto accade in uno stato meditativo, che unisce mente razionale, intuizione e subconscio in un flusso armonioso. È in questo contatto continuo tra Anima e Personalità che nasce la vera trasformazione. La mente si purifica, l’intuizione si fa chiara, il corpo ritrova la sua verità.
Vecchie abitudini si disgregano, la volontà spirituale si risveglia, e la nostra vita torna a scorrere come un fiume limpido verso la sua sorgente.
E così, da uomini e donne in cammino, possiamo dire di star diventando sempre più ciò che siamo:
un essere nuovo, sempre più vicino alla propria natura, sempre più allineato alla strada giusta per il proprio cammino.
Vorrei concludere con una delle immagini più belle contenute nelle 108 meditazioni di Findhorn:
“Vidi un vasaio plasmare una sorta di calice.
Lo modellò e lo rimodellò finché non fu soddisfatto della forma.
Ma ogni volta che pareva completarlo, trovava una crepa, una screpolatura, e doveva ricominciare.
Allora, con infinita pazienza, il vasaio riprese il suo lavoro, finché il calice non fu perfetto.
E udii una voce dire: ‘Una volta che ho posto la Mia mano su di te, non ti lascio più, finché non ho completato la Mia opera. Sii in pace perfetta.’ ”
Seminario residenziale a Joie de Vivre
7 – 9 novembre | Calice Ligure
“Lasciar andare i frammenti d’anima che non ci appartengono più”
Tre giorni di Teatro Evolutivo e Teatroterapia per lasciare andare i personaggi interiori che non ci rappresentano più, disgregare vecchie abitudini, trasformare blocchi e situazioni, potenziare intuizione, autostima e comunicazione.
Un lavoro dolce e profondo per chiudere un ciclo e aprirsi al nuovo.
Per informazioni e prenotazioni:
https://forms.gle/zmQmKqXTPstpTs8T7