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    Home»Costume e società»Cultura»Film»Il gusto delle cose
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    Il gusto delle cose

    DolsBy Dols21/05/2024Updated:21/05/20241 commento6 Mins Read
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    di Marisa Ayroldi

    Premiato per la regia all’ultimo Festival di Cannes e scelto dalla Francia per concorrere agli Oscar, Il gusto delle cose del regista vietnamita naturalizzato francese, Tran Anh Hùng, è un adattamento, per il grande schermo, del romanzo La vie et la passion de Dodin-Bouffant, gourmet di Marcel Rouf, pubblicato nel 1924.

    Il modello storico di riferimento è, oltre al romanzo di Marcel Rouff, “La fisiologia del gusto” di Jean Anthelme Brillat-Savarin che lo pubblicò nel 1825 fissando canoni gastronomici ed estetici ben precisi nell’ambito della gastronomia e della presentazione del cibo a tavola, dai giusti piatti e bicchieri fino agli accostamenti di certi sapori con certi altri. 

    Sul set inoltre il regista ha potuto contare sulla consulenza dello chef tristellato Pierre Gagnaire;

    Non è la prima volta che Tran Anh Hùng approda a Cannes e ne esce vincitore. Era già successo nel 1993 quando vinse la Camera d’oro a Cannes nel 1993 con Il profumo della papaya verde e, nel 1995,  Leone d’oro a Venezia nel 1995 con Cyclo.

    Il rapporto tra cinema e cibo è ormai di lunga data e dunque si potrebbe pensare all’ennesimo prodotto che va ad arricchire la filmografia a tema gastronomico  mostrando chef sull’orlo di una crisi di nervi all’interno di cucine iperattive. “Il gusto delle cose”, invece, è un elogio della cucina a fuoco lento, un film che si prende i suoi tempi per mostrare come la combinazione di sapori e colori possa generare delle vere e proprie opere d’arte e ci si accorge, a differenza di altri film del filone cinema gourmet, che il suo senso profondo non è la competizione ma la condivisione del sapere. 

    Ambientato nell’idilliaca campagna della Francia meridionale alla fine del XIX secolo, il film racconta la lunga storia d’amore fra Dodin Bouffant – famoso  gastronomo – ed Eugénie l’impeccabile, esperta cuoca, che da vent’anni lavorano fianco a fianco in un rapporto di reciproca fiducia. 

    Gli interpeti principali Juliette Binoche, nel ruolo di cuoca esperta, (nominata da poco Presidente dell’European Film Academy ) e Benoît Magimel, nel ruolo del gourmet Dodin-Bouffant, sono straordinari soprattutto nell’esprimere un accordo e una profonda, reciproca conoscenza con la sola vicinanza fisica, muovendosi in sintonia in una tipica  cucina della Francia di fine Ottocento che è il cuore della casa perché, in fondo, il film è una storia d’amore che nasce e  si nutre attraverso il cibo, l’unione di due anime epicuree.

    E questo appare evidente fin dalle prime inquadrature in cui carni, pesci, vegetali, aromi e tutto ciò che contribuisce alla riuscita di un piatto vengono portati al centro dello schermo. Le lunghe inquadrature e i dettagli delle preparazioni possono risultare  eccessivamente lenti e prolissi eppure c’è qualcosa di ipnotico nel vedere quelle mani rapide che eseguono gesti precisi nell’uso delle pentole di rame e tegami, l’attenzione maniacale agli ingredienti, la cura per il dettaglio  nella preparazione di piatti sempre più complessi e di pietanze sempre più elaborate che quasi sembra di poter toccare.

    La cucina e la tavola sono la tela sulla quale si srotola una grande amicizia e un amore maturo, profondo. Dodin, soprannominato il Napoleone della gastronomia, trascorre le sue giornate studiando la scienza del cibo, ed elaborando ricette che  Eugénie, realizza alla perfezione. Preparazioni lunghe e complesse che vengono mostrate nei dettagli, dalla cinepresa, in maniera quasi esasperante ma che fanno apprezzare l’amore e il lavoro che richiedono le preparazioni che  verranno portate in tavola durante i lunghi e lussuosi pranzi che  Dodin-Bouffant condivide con un gruppo di amici appassionati di cucina.
    Il gusto delle cose ci accompagna come un menù, alterna i momenti di cucina a quelli di degustazione, in cui Dodin esibisce il suo sapere ed esalta i suoi vini contribuendo al piacere dei commensali. 

    Con il tempo la pratica della cultura gastronomica e l’ammirazione reciproca si sono trasformate in una relazione sentimentale che Dodin-Bouffant vorrebbe che sfociasse nel matrimonio più volte proposto e rifiutato. Eugénie è ben decisa a tenersi stretta la sua libertà e, in fondo, ha paura di turbare l’equilibrio che hanno stabilito. Mantenere l’indipendenza è il segreto per una relazione vera e duratura perché due persone sono alla pari quando proteggono ciascuna il proprio spazio. 

    D’altra parte la vera intimità, tra di loro, la si percepisce in cucina davanti a fornelli e piatti da preparare e nei rari momenti di solitudine in cui condividendo una semplice omelette Dodin ammette che lei, prima di essere la sua compagna, è la sua chef.  

    L’unico, altro personaggio degno di nota, nel film è la piccola Pauline, nipote dell’aiutante Violette, che mostra – per la sua età – un  notevole talento culinario e un grande desiderio di apprendere. Sia Eugénie che Dodin lo notano e ne sono piacevolmente colpiti intravedendo una possibile erede dei loro talenti.


    Il gusto delle cose è una variazione sul tema dell’amore romantico che usa il cibo come metafora.

    I  suoi personaggi, incapaci di mostrare la loro affettività fino in fondo, trasformano la loro vocazione  in  dono e  accudimento tant’è che quando Eugénie si ammala gravemente, davanti al suo ennesimo rifiuto di sposarlo, questa volta Dodin-Bouffant non si arrende e fa quello che non ha mai fatto, cucina per lei.

    Questa volta Eugénie si arrende ma non arriverà all’autunno per sposarsi.

    Eugénie muore e Dodin-Bouffant sembra aver perso interesse alla vita ma si risolleverà grazie all’aiuto degli amici e della piccola Pauline ormai evidentemente degna erede di Eugénie.

    Il film è sostanzialmente privo di una colonna sonora portante e riproduce sottofondi di rumori provenienti dalla campagna che circonda la casa perché, in fondo, pur nella sua lentezza il film è un inno alla bellezza, all’amore, alla natura e un invito a gustare la vita.

    Mi chiamo Maria Rosaria Ayroldi, all’anagrafe. Di fatto, dalla nascita mi hanno sempre chiamata Marisa. Sono nata a Molfetta (Ba) il 8/11/1955 e vivo e lavoro a Roma dal 1987. Laureata in Sociologia. Specializzata in “Editoria, giornalismo e Comunicazione” e in “Cittadinanza attiva, diritti, partecipazione femminile. Ho cominciato a lavorare nel settore della Prevenzione alla salute  nel 1980 e sono stata funzionario in una Asl di Roma fino al 31 Luglio 2019, dove ho coordinato un settore della Prevenzione e Educazione alla salute. Negli ultimi due anni ho fatto parte del CUG Aziendale. Dal 1 agosto 2019 sono in pensione. Sono stata, per alcuni anni docente di Sociologia generale presso l’Università degli Studi di Tor Vergata.

    Sono stata Consigliera delegata per i rapporti con i Media di A.N.D.E. Roma  – acronimo che sta per Associazione Nazionale Donne Elettrici. Una delle più antiche, nata nel 1946. Da alcuni anni mi occupo di tematiche di genere e pari opportunità e sono autrice di articoli e pubblicazioni sulla parità di genere, rischio lavoro correlato, salute e qualità della vita.

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    1 commento

    1. Caterina della torre on 26/05/2024 09:17

      Ho visto il film ieri sera e mentre all’inizio me lo sono goduto….poi non ne potevo più.

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La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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