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    Home»Costume e società»PAKISTAN. EMANCIPAZIONE NEGATA: UNA QUESTIONE D’ONORE
    Costume e società

    PAKISTAN. EMANCIPAZIONE NEGATA: UNA QUESTIONE D’ONORE

    Rita CugolaBy Rita Cugola05/10/2016Nessun commento4 Mins Read
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    no-honour-pakistan
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    L’impulso emancipatorio è letale. Almeno in Pakistan, dove annualmente ancora troppe donne vengono uccise per aver anelato a una maggior libertà.

    Una punizione estrema ispirata da scelte o atteggiamenti ritenuti lesivi della dignità familiare. I dati forniti dalle associazioni umanitarie locali sono davvero impressionanti: 869 esecuzioni nel 2013, 1005 nei dodici mesi successivi, 1096 nel 2015 e 297 soltanto da gennaio dell’anno in corso. Indici di un fenomeno in costante crescita che le autorità preposte non sembrano inclini ad arginare.

    Ai parenti delle vittime continua infatti a essere concessa la facoltà di perdonare l’assassino, sottraendolo così alla generica incriminazione per reati contro lo stato. Un cavillo legale che, disattendendo alle aspettative alimentate in precedenza, il premier conservatore Nawaz Sharif (alla guida del partito di governo Pml-N) insiste tuttora a ignorare.

    “I giudici non ci ascoltano. Rischiamo di trascorrere la vita in attesa di un verdetto che non arriverà, perché se qualcuna di noi si azzarda a sfidare il sistema patriarcale viene puntualmente ridotta al silenzio”, ha escalamato Mukhtar Mai, stuprata e umiliata dal fratello davanti agli abitanti del villaggio solo per aver percepito un insulto proferito da un esponente del clan avversario (del resto è proprio l’estraneità alle dinamiche dell’accaduto ad averle garantito la sopravvivenza).

    “Simili agevolazioni hanno finora assicurato l’impunità ai colpevoli e questo ha intaccato la nostra immagine in patria e altrove”, ha osservato il ministro della Legge Zahid Hamid. “Ci stiamo appunto focalizzando sulla cancellazione del principio di giustizia retribuitiva e speriamo di avere successo perché altrimenti nessun carnefice potrà mai comparire davanti a una corte”.

    Nel marzo del 2015, su istanza di un comitato parlamentare, il Senato si era espresso favorevolmente in merito all’abrogazione della controversa clausola: l’ostinata reticenza della National Assembly aveva però precluso qualsiasi revisione della legge vigente (e dunque la persegubilità degli imputati, a prescindere dalla benevolenza dei familiari coinvolti nell’omicidio).

    Tentativo fallito anche il 9 agosto scorso, allorchè la proposta avrebbe dovuto essere esaminata dalle camere in seduta plenaria. “Il corpus giurisprudenziale incentiva il perdono e i risarcimenti in denaro intrisi di sangue”, ha commentato la senatrice di minoranza Sherry Rehman. “E’ inaccettabile e sconcertante constatare la passività delle istituzioni, interessate esclusivamente a preservare la cultura delle sanzioni e della tolleranza“. In perfetta sintonia la collega Sughra Iman, autrice della bozza emendativa originaria. “In quanto funzionali all’educazione etica della cittadinanza i codici non possono annoverare provvedimenti che avallano la perpetuazione di un crimine“.

    Ma è in seguito alla sorte della 25enne Qandeer Baloch, star dei social media giustiziata quasi tre mesi fa dal fratello per il disonore arrecato ai consanguinei (aveva osato definirsi “femminista moderna“) che le rimostranze popolari si sono intensificate.

    “Gli attivisti stanno combattendo da tempo contro i pregiudizi, ma la morte di una ragazza che desiderava semplicemente vivere in autonomia ha suscitato reazioni forti“: è infuriata Anis Haroon, ex presidentessa della National Commission on Status of Women e attualmente membro dell’Independent Human Rights Commission. “Adesso basta. Non vogliamo più sentir parlare di reati compiuti in nome del decoro. E’ tutto falso. Non c’è nulla di onorevole nell’ammazzare qualcuno. L’implementazione di un provvedimento adeguato può essere una soluzione valida per circoscrivere i casi di abuso, ma senz’altro non contibuirà a scongiurare la violenza maschile. Spesso infatti l’evidenza dei fatti viene occultata o travisata in modo da evitare il processo in tribunale“.

    Ed è alquanto emblematico che l’incremento del giustizialismo si ritrovi a coincidere con l’accresciuto livello di consapevolezza acquisito dalle pakistane dell’ultima generazione, che ambiscono a matrimoni non combinati e a un’esistenza scevra da condizionamenti esterni.

    “Il paese sta attraversando una fase di transizone e perciò anche le aspirazioni femminili sono mutate rispetto al passato“, ha puntualizzato Farzana Bari, esperta in questioni di genere. “Il risultato è che mentre le donne disdegnano la moralità imposta, gli uomini, frustrati a causa della povertà e dei cambiamenti socio-economici, si rivelano più aggressivi“.

     

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    Rita Cugola
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    Milanese del ‘59 è giornalista professionista da molti anni. Nel periodo universitario si è dedicata alle recensioni musicali e cinematografiche su istanza di Amica, Cosmopolitan, NoiDonne, Il Borghese). In seguito si è però specializzata in questioni di politica estera e problematiche sociali internazionali (con peculiare attenzione all’universo femminile islamico e al fenomeno discriminatorio globale), scrivendo per svariate testate nazionali, tra cui Panorama.it, La Padania, La Stampa e Il Fatto Quotidiano. Già autrice e conduttrice di programmi giornalistici di approfondimento in emittenti private e tv locali ha deciso di creare un blog su tematiche di geopolitica internazionale (LOOK BEYOND, ritacugola.wordpress.com). Appassionata di egittologia, sufismo e filosofia ha lavorato a lungo con (Sp)Hera, mensile di storia, archeologia ed ermetismo. Per un triennio è stata condirettore di Alganews (magazine online fondato da Lucio Giordano). Attualmente scrive per Dol’s Magazine e il mensile Storica (gruppo RBA). Grazie alla conoscenza di quattro lingue (oltre all’Arabo che sta studiando nel tempo libero) collabora attivamente con la Libreria Islamica/Edizioni Al Hikma, traducendo testi ancora inediti di carattere filosofico/religioso.

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