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    Dol's Magazine
    Home»Pari opportunità»Non è una città per donne – Ciudad Juarez
    Pari opportunità

    Non è una città per donne – Ciudad Juarez

    Roberta Colella di SalvoBy Roberta Colella di Salvo09/12/2015Updated:09/12/2015Nessun commento4 Mins Read
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    Il Messico è un paese famoso per tante cose: per l’allegria contagiosa del suo popolo, per la tequila, per i templi Aztechi, per il clima favorevole. Ma anche per altro. Per realtà infelici come quella di Ciudad Juarez.

     

    La migrazione verso gli Stati Uniti d’America risale a tempi remoti, ed è un fenomeno che coinvolge sia donne che uomini in egual misura. Nel caso specifico delle donne, quest’ultime oltrepassano la frontiera non solo con la speranza di un prospero futuro economico, ma anche con la speranza di fuggire per sempre alle violenze che quotidianamente subiscono.

    Ciudad Juarez, nello stato del Chihuahua, deve la sua fama ai casi di femminicidio avvenuti a partire dal 1993. Soltanto nel 1995 sono stati riportati circa millecinquecento crimini sessuali, e i numeri, da allora, sono in continua crescita. Le organizzazioni che si occupano di tutela e protezione delle donne e di diritti umani sostengono, però, che questi dati non siano dati reali, e che la situazione sia molto peggio.

    La maggior parte delle vittime sono ragazze tra i 13 e i 27 anni, giunte a Ciudad Juarez per poter lavorare nelle maquiladoras, industrie di montaggio di imprese statunitensi situate lungo la frontiera. Le imprese ricercano volutamente giovani donne per questo tipo di lavoro, partendo dal presupposto che, essendo giovani, non sono sufficientemente consapevoli dei loro diritti e sono propense ad accettare, senza alcuna riluttanza, bassi stipendi. Oltre alle difficili condizioni che queste ragazze si trovano ad affrontare, devono convivere con la consapevolezza di correre il rischio di essere stuprate e uccise ogni giorno mentre tornano a casa dopo una faticosa giornata di lavoro.

    Il lavoro a Ciudad Juarez non è un diritto. E’ un rischio. O uno scambio? Cinque dollari al giorno al prezzo della vita. Andare a lavorare sperando di potersi emancipare economicamente per le ragazze di Juarez è diventato un incubo da cui è difficile uscire. Riuscire a tornare a casa un traguardo quotidiano.

    Juarez, oggi, ricopre la nomea di uno tra i posti più pericolosi al mondo per il genere femminile, è stata soprannominata dai messicani stessi “la città che uccide le donne”.

    Le indagini da parte delle autorità messicane sono sempre state superficiali e disinteressate. Anzi. Spesso sono state le giovani donne ad essere accusate di provocazione a causa dei loro abiti scollati.

    Il disinteresse da parte delle autorità porta le famiglie delle vittime a fare da sole. Sono tanti i parenti che si sono recati a Juarez per scavare nel deserto alla ricerca dei corpi delle figlie.

    Se non sono mai state prese le giuste precauzioni per evitare che casi come questi continuassero a macchiare di sangue la terra messicana è perché, il governo, in primis, si rifiuta di dare il giusto peso a questo sterminio di genere.  In Messico, così come in gran parte dell’America Latina, la discriminazione di genere è un problema molto attuale a causa della mentalità patriarcale di questi paesi. E’ come se esistesse una passiva accettazione della violenza di genere. Complici di questa passiva accettazione sono la vergogna e la paura delle donne violentate che non hanno il coraggio di esporsi.

    Organizzazioni come Amnesty International hanno dato il via ad una campagna con il fine di attirare l’attenzione sugli omicidi di Ciudad Juarez. “¡Ni Una Mas!”, “Non una di più”, è diventato il grido di queste donne.

    Nel 2013 una donna dai capelli biondi e armata di pistola (Diana La Cazadora de Choferes, ovvero la cacciatrice di autisti) ha sparato a due autisti autoproclamandosi colei che vendicherà gli  abusi e le violenze nei confronti delle donne di Juarez. “Pensano che poiché siamo donne siamo deboli e abbiamo bisogno di lavorare fino a tarda notte per mantenere le nostre famiglie, non possiamo far altro che tacere questi atti che ci riempiono di rabbia. Le mie compagne hanno sofferto in silenzio, ma non possiamo tacere di più, siamo state vittime di violenze sessuali da parte dei conducenti che coprono il turno di notte qui a Juárez e nessuno ci difende o fa nulla per proteggerci, quindi io sono uno strumento per vendicare diverse donne, apparentemente deboli per la società, ma non nella realtà, siamo coraggiose e ci faremo rispettare per mano nostra. Le donne di Juarez sono forti”, c’era scritto nella mail inviata al quotidiano La Polaka.

    Il Messico, recentemente, ha tentato di tutelare le donne elaborando leggi quali la «Ley de Acceso de Las Mujeres a una Vida Libre de Violencia» del 2007, o la «Ley de Igualdad entre Hombres y Mujeres» del 2006, ma la strada da fare è ancora molto lunga, e a pagarne le conseguenze non sono solo le donne stuprate e mutilate ma anche l’intero progresso umano, sociale e politico del paese.

    “Messico e nuvole, la faccia triste dell’America…”.

     

    femminicidi messico
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    Roberta Colella di Salvo

    Roberta Colella, Laureata in Scienze della Formazione Primaria, presso l’Università degli Studi di Cagliari nel 2013, a 23 anni decide di cambiare “direzione” e nell’Ottobre del 2015 consegue la laurea specialistica in Comunicazione e Giornalismo, presso l’Universidade de Coimbra, in Portogallo, con una tesi sugli stereotipi di genere nelle riviste di Moda e nei media. Appassionata di fotografia e di moda, ha lavorato presso la redazione di Vogue a Lisbona.

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