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    Dol's Magazine
    Home»Pari opportunità»Un inutile traguardo
    Pari opportunità

    Un inutile traguardo

    Rita CugolaBy Rita Cugola23/07/2014Updated:24/07/2014Nessun commento3 Mins Read
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    donne-palestinesi
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    La presenza femminile è purtroppo sempre stata alquanto massiccia tra le file dei terroristi islamici. Le palestinesi che abbracciano la causa di Hamas per uscire dalla schiavitù famigliare,  prima o poi saranno chiamate  anche loro al sacrificio estremo

    La jihad islamica contempla la parità di genere. No, non si tratta di un  eufemismo ma di una realtà oggettiva, anche se alquanto opinabile. Il gruppo  Hamas che controlla la striscia di Gaza, attualmente teatro di un altro
    conflitto anti-israeliano, rappresenta un esempio emblematico di questa strana  affermazione. Perché in esso non esistono differenze tra uomini e donne. Non  più, almeno.

    In tempi ancora non sospetti in termini bellici, il leader del gruppo,  Ismail Haniyeh (ex primo ministro dell’ANP, aveva infatti avanzato una proposta strategica a suo dire “inedita”, incentrata sulla possibilità di estendere  l’accesso alle futuwwa (cavallerie) anche alle donne, che costituiscono il  17,3% della forza lavoro palestinese (a fronte del 69,3% di quella maschile).

    Provocazione? Necessità operativa? Possibilità di avere a disposizione un  maggior numero di guerriglieri disposti a morire per la causa? Poco importa.  Ciò che davvero conta è il consenso immediato degli aderenti ad Hamas.

    Il fatto in sé non è una grossa novità: la presenza femminile è purtroppo sempre stata alquanto massiccia tra le file dei terroristi islamici, sebbene  alle donne non fosse generalmente mai stato consentito presenziare in modo diretto ai combattimenti (l’unica triste eccezione in tal senso è offerta  infatti dal terrorismo ceceno).

    Va anche ricordato che prima ancora di Haniyeh il fondatore nonché capo  spirituale di Hamas, Sheik Ahmed Yassin, aveva emesso un’apposita fatwa volta  proprio all’ammissione incondizionata anche delle stesse guerrigliere
    nell’universo degli aspiranti kamikaze, ossia di coloro che accettano di morire  nel corso di attacchi suicidi.

    donne-hamas

    Ciò che dovrebbe infondere la maggiore perplessità nel mondo occidentale è  l’entusiasmo con cui una certa parte della popolazione femminile palestinese ha  risposto alla chiamata. E poco importa se questo entusiasmo si limiterà a rimanere soltanto indiretto o se invece è destinato a concretizzarsi un giorno
    in futuri nuovi arruolamenti.

    Per molte donne palestinesi l’addestramento militare al pari dei maschi  equivale al raggiungimento di un obiettivo ragguardevole che suscita fierezza e  orgoglio. E’ un’occasione imperdibile per poter ricoprire un ruolo sociale, per
    poter ottenere uno status diverso da quello che condanna le altre a semplici schiave domestiche, prive di diritti e oberate di doveri. Un tentativo estremo  per sentirsi finalmente qualcuno.

    Essere considerate uguali agli uomini, anche sul piano operativo, significa  insomma vedersi riconoscere le medesime capacità: un’opportunità troppo  ghiotta, agli occhi di molte, per ignorare un simile appello.

    Ma è davvero un traguardo da valorizzare? E’ davvero una conquista di cui  vantarsi? O è solamente l’ultimo risultato di una lunga serie di manipolazioni  psicologiche operate ad hoc dagli oligarchi sui soggetti socialmente più  deboli, più indifesi e dunque più vulnerabili?

    Haniyeh e Yassin non passeranno certo alla storia per la loro magnanimità.  Le proposte apparentemente innovative lanciate da entrambi a breve distanza  l’una dall’altra non sono altro che l’ennesima espressione di un maschilismo  crescente e dominante in seno a una società oppressa dal rigorismo politico- religioso.

    Le palestinesi che si illudono quindi di aver conseguito il successo a  livello paritario solo perché d’ora in poi saranno autorizzate a saltare per  aria o a morire su un campo di battaglia non hanno capito di essere state  ingannate da coloro che – del tutto scevri da remore etiche – non esitano a sacrificare il sacrificabile per poter in seguito adagiarsi sugli allori di un malvagio trionfo..

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    Rita Cugola
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    Milanese del ‘59 è giornalista professionista da molti anni. Nel periodo universitario si è dedicata alle recensioni musicali e cinematografiche su istanza di Amica, Cosmopolitan, NoiDonne, Il Borghese). In seguito si è però specializzata in questioni di politica estera e problematiche sociali internazionali (con peculiare attenzione all’universo femminile islamico e al fenomeno discriminatorio globale), scrivendo per svariate testate nazionali, tra cui Panorama.it, La Padania, La Stampa e Il Fatto Quotidiano. Già autrice e conduttrice di programmi giornalistici di approfondimento in emittenti private e tv locali ha deciso di creare un blog su tematiche di geopolitica internazionale (LOOK BEYOND, ritacugola.wordpress.com). Appassionata di egittologia, sufismo e filosofia ha lavorato a lungo con (Sp)Hera, mensile di storia, archeologia ed ermetismo. Per un triennio è stata condirettore di Alganews (magazine online fondato da Lucio Giordano). Attualmente scrive per Dol’s Magazine e il mensile Storica (gruppo RBA). Grazie alla conoscenza di quattro lingue (oltre all’Arabo che sta studiando nel tempo libero) collabora attivamente con la Libreria Islamica/Edizioni Al Hikma, traducendo testi ancora inediti di carattere filosofico/religioso.

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