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    Home»Costume e società»Ma chi l’ha detto che gli uomini vogliono solo lavorare
    Costume e società

    Ma chi l’ha detto che gli uomini vogliono solo lavorare

    Francesca LemmiBy Francesca Lemmi20/06/2013Updated:26/07/2014Nessun commento6 Mins Read
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    Quando si parla di figli e di conciliazione famiglia-lavoro, l’attenzione generale viene automaticamente spostata sulle donne.

    E infatti come se la questione dell’accudimento come anche le difficoltà nel trovare il bilanciamento e l’integrazione fra lavoro e impegni familiari riguardasse solo il “gentil sesso”, uomini esclusi.

    Proprio ieri parlavo con una persona molto cara, appartenente al genere maschile e in particolare, alla generazione dei “nuovi padri” quarantenni, cresciuto in un contesto familiare tradizionalista (madre casalinga e padre lavoratore), da cui ha appreso il valore della famiglia e degli affetti e da cui, al contempo, ha preso le distanze scegliendo una compagna, ad oggi moglie, che ha sempre investito, oltre che nella famiglia, anche nel lavoro e nella carriera.
    Mi raccontava con assoluta naturalezza che al mattino aveva preso mezza giornata di permesso dal lavoro per accompagnare la figlia malaticcia dalla pediatra (mentre la moglie era al lavoro, sottinteso), lasciando intendere la propensione alla collaborazione con la moglie nel far fronte al carico familiare. Poi proseguendo la nostra conversazione su amici e conoscenti comuni, mi raccontava la situazione felice di una coppia di amici che, per situazioni diverse ma in entrambi i casi agevolate sul fronte lavorativo, possono godere dell’opportunità di stare molto tempo con figli piccoli pur non rinunciando al lavoro e ad eventuali prospettive di carriera…e ha concluso dicendo: “io capisco che sia difficile per voi donne, ma anche per noi padri la questione non è semplice. Si parte dal presupposto che a noi basti lavorare e che abbiamo ambizioni solo professionali, quando invece il sottoscritto, e come me molti altri, vorremmo vivere e stare di più con la famiglia e con i figli. Io avrei voluto tanto il congedo di paternità, peccato che pur essendoci in teoria, lavorando nel privato questo non è ammesso e mi avrebbe fortemente penalizzato sul fronte lavorativo”.

    “Chi l’ha detto che gli uomini vogliono solo lavorare?”
    L’auto-rilevazione dell’amico fa eco ai risultati di diversi studi di settore, da cui emerge un profilo dei padri di oggi quale generazione di adulti molto più attenta e desiderosa di investire tempo ed energie anche nei figli e nella famiglia anziché solo ed esclusivamente nel lavoro.
    Infatti le difficoltà di conciliazione lavoro e famiglia rappresentano un problema sentito tanto dalle donne quanto dagli uomini.
    I padri di oggi sono sempre più “high care”: non si vedono e non si vogliono più considerare come breadwinner ed assolvere quindi solo alla funzione di dare mantenimento ai figli, ma vogliono esercitare il proprio ruolo di educatori ed essere presenti in prima linea nella crescita dei figli, come emerge dai dati Istat (Rosina, Sabbadini, 2006) e come scrive anche la Prof.ssa Anna Oliverio Ferraris nel suo libro “Padri alla riscossa” (2012).

    In un’indagine che Sheryl Sandberg riporta nel suo libro “Facciamoci avanti”, condotta su poco più di mille adulti, risulta che l’82% degli uomini di età compresa fra i venti e i quarant’anni valuta come elemento fondamentale per scegliere un impiego la possibilità “di trascorrere del tempo con la famiglia”, mentre l’80% degli uomini fra i quaranta e i sessant’anni individua come fattore fondamentale “un lavoro stimolante”.
    Tutto ciò troverebbe conferma anche dalle indagini Istat (“Diventare padri in Italia. Fecondità e figli secondo un approccio di genere”, 2006) che rilevano una maggiore partecipazione attiva degli uomini nella cura dei figli: tra il 1988 e il 2003 “di fatto, sono aumentati i padri che si prendono cura dei figli (dal 41,8% al 58,6%)” ed è aumentato anche il tempo impiegato nella cura (tratto da “La sfida delle giovani donne”, di F.Zajczyk, B. Borlini, F.Crosta, 2011).

    Tuttavia nonostante gli uomini stiano prendendo le distanze dalle generazioni precedenti riscoprendo la loro funzione paterna e quindi il desiderio di stare insieme ai loro figli e di seguirli nel loro percorso di crescita, sono essi stessi, al pari delle donne, vittime di una società che non facilita la conciliazione famiglia-lavoro.
    Infatti per quanto nel 2010 il Parlamento Europeo abbia istituito il congedo di paternità obbligatorio e retribuito, dagli studi condotti dall’Osservatorio nazionale delle famiglie emerge che in Italia usufruiscono del congedo parentale solo il 24% delle donne contro il 7% dei padri (Gavio, Lelleri, 2006). Secondo i dati dell’Eurobarometro, questa bassa percentuale di richieste di congedi parentali da parte degli uomini sembra legata alla scarsa copertura finanziaria e, aggiungerei, al costo da pagare in termini di carriera e opportunità lavorative.

    Non solo. Anche gli uomini sono vittime di stereotipi sociali che li rilegano sempre e comunque al ruolo di lavoratori.
    Infatti vige ancora la convinzione che per gli uomini le priorità siano il lavoro e la carriera, spesso a costo di sacrificare famiglia e figli… perché così era prima e quindi “deve” continuare ad essere.

    Le aspettative sociali sul genere continuano a pesare tanto sulle donne quanto sugli uomini: le prime si trovano a lottare per rivendicare il legittimo bisogno e desiderio di auto-affermazione e di auto-realizzazione sul fronte lavorativo, soprattutto quando madri, in quanto ci si aspetta che la loro massima (unica?) aspirazione sia esercitare la funzione genitoriale, mentre gli uomini si trovano a lottare con la credenza popolare che per loro sia importante prima di tutto il lavoro, come se fossero scevri del desiderio di accudimento e di cura dei figli.

    Pertanto l’aspetto assurdo e paradossale con cui ci troviamo a fare i conti è che da una parte, le donne vorrebbero sentirsi più libere di scegliere ed eventualmente di investire nel proprio lavoro senza per questo sentirsi da meno come madri e/o penalizzate sia sul fronte lavorativo che familiare, dall’altra gli uomini chiedono di poter lavorare ma senza per questo dover rinunciare alla famiglia e al loro ruolo e impegno in casa.
    Come già detto in un’altra occasione, forse partendo da prospettive diverse, perché differente è la storia di genere, uomini e donne vogliono la stessa cosa: rinegoziare il loro ruolo e la loro presenza fuori e dentro casa per arrivare veramente ad una parità di genere che porterebbe ad un maggior grado di benessere di tutti: uomini, donne, coppie ma anche figli. 
     I figli, infatti, non potrebbero che trarre beneficio da questa prospettiva. Numerosi studi dimostrano come i bambini traggano beneficio dalla maggiore presenza della figura paterna: costituisce un fattore facilitante e protettivo per una crescita affettiva, relazionale e cognitiva migliore.

    figli lavoro conciliazione uomini
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    Francesca Lemmi
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    Dr. Francesca Lemmi, Psicologo Clinico, Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Sessuologa. Dopo un’esperienza pluriennale nella realtà ospedaliera, svolge attività di psicologo e psicoterapeuta con bambini, adolescenti, adulti e coppie come libero professionista. Inoltre si dedica ad attività di formazione, in particolare nell’ambito della genitorialità, della coppia e della psicologia e pedagogia di genere. In virtù del grande interesse per la materia della famiglia, coppia e figli, da molti anni si dedica ed esercita anche nell’ambito della psicologia giuridica in situazioni di separazione/divorzio e affido minori.

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Lo studio delle lingue straniere alimenta la curiosità e stimola la voglia di apprendere in molte discipline anche ben diverse, soprattutto se sostenute da una capacità imprenditoriale. Questo lo dimostra la storia qui di seguito riportata di Marialuisa Portaluppi da noi intervistata.
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