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    Home»Costume e società»I figli fanno l'(in)felicità ?
    Costume e società

    I figli fanno l'(in)felicità ?

    DolsBy Dols14/02/2013Updated:21/06/2014Nessun commento5 Mins Read
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    di Lucina di Meco

    Si sa, non c’è felicità più grande dei figli. Ce lo dicono tutti, dalla Chiesa alla pubblicità e ce lo diciamo infondo l’una all’altra anche noi donne. Quante mamme dichiarano infatti che il giorno in cui sono nati i loro figli è stato il giorno più bello della loro vita, anche dopo 10 ore di travaglio? Il numero esatto non lo, ma a occhio e croce mi sembrano sempre troppe. Magari sarà vero, magari si sentirebbero cattive a dire che il giorno più bello è stato quando si sono innamorate per la prima volta, o quando si sono laureate con 110 e lode.

    Eppure, gli studi scientifici in materia dicono uniformemente il contrario: sia in Europa che in America, le persone con figli si dicono più infelici rispetto a coloro che non hanno figli, oltre che a dichiararsi meno soddisfatti della vita coniugale, meno contenti di se’ stessi e del proprio benessere psicologico. Le più infelici di tutte, poi, sono le donne e non è difficile capire il perché. Avere figli è peggio di uno sport estremo: implica perdita di sonno, centuplicazione del lavoro domestico e delle preoccupazioni legate alla quotidianità.

    Il problema è in buona parte politico. Senza una divisione dei compiti reale e senza politiche pubbliche a sostegno delle mamme, la maternità’ diventa quasi impossibile o di fatto impossibile (come mostra la bassa natalità nel nostro paese).

    Inoltre, esistono complicazioni sociali, frutto di una visione della maternità come progetto puramente individuale e femminile. Le mamme di oggi si sentono in colpa se non portano i figli alle migliaia di lezioni che promettono di farli diventare Mozart o Pelé. Alcune delle mie amiche-mamme Newyorkesi spendono una media di 1000 dollari al mese in classi di musica, yoga, calcio e nuoto per i figli di due anni. E dilapidano piccole fortune (oltre 20,000 l’anno) per mandare i figli a un asilo esclusivo, invece che a quello sotto casa. Purtroppo, aumentando scelta, aumentano anche il senso di responsabilità e di colpa per non riuscire a fare, dare (o peggio comprare) tutto. E anche se alcuni dei nostri compagni condividono alcune di queste frustrazioni, raramente vivono con la stessa intensità i nostri sensi di colpa.

    Per questo, le donne con figli sono esauste, frustrate e si sentono un po’ più sole di quelle senza figli, insomma sono infelici. Eppure non sono i figli in se’ a renderci infelici, ma la percezione (e la pratica) della maternità nella società contemporanea come una scelta puramente personale e principalmente femminile.

    Almeno in questo, maternità e felicità coincidono, essendo viste come condizioni individuali e soggettive, di cui si ignora la componente sociale e politica, che invece è più che evidente. Infondo, le persone felici sono anche più sane, più produttive e più fertili e la fertilità è la base della sopravvivenza di una società. Non per nulla sempre più paesi riconoscono il valore della felicità dei propri cittadini come un bene da coltivare, inclusi gli Stati Uniti, che stanno considerando introdurre il Gross National Happiness Index nelle proprie statistiche nazionali. Non per nulla, nella dichiarazione d’indipendenza americana, la “ricerca della felicità” è menzionata come un diritto inalienabile dell’uomo, alla pari con il diritto alla vita e alla libertà.

    Come riuscire allora a vivere la maternità in modo diverso e magari addirittura felice?

    Così come il problema, anche le soluzioni sono in parte di natura politica, in parte sociale. Per le donne, la ricerca della felicità è impossibile senza le pari opportunità.

    Laddove esistono politiche che favoriscono una divisione più equa dei compiti nella coppia, per esempio la licenza di paternità obbligatoria, come in Svezia, ci sono tassi di felicità e, non a caso, di natalità, superiori a quelli del nostro paese.

    Laddove ci sono strutture pubbliche di qualità per l’attenzione ai bambini, come in Francia, le donne si sentono meno in colpa a tornare a lavorare dopo la maternità e non solo sono più felici e produttive, ma fanno più figli.

    Da un punto di vista sociale, poi, è necessario ripensare la dialettica sul ruolo dei genitori (e soprattutto delle mamme). Anche se ad alcune piace crederlo, non siamo le uniche (o forse neanche le principali) variabili che porteranno i nostri figli a diventare (o a non diventare) individui produttivi, socialmente integrati e felici. I figli non sono la nostra tabula rasa (vedi Pinker) o il canovaccio su cui dipingeremo il nostro capolavoro, ne’ devono diventare la definizione del nostro successo. Una volta accettato questo, credo che più donne capirebbero che invece di preoccuparsi delle lezioni di nuoto a 6 mesi (che si possono fare gratis nella vasca da bagno), varrebbe la pena preoccuparsi delle politiche per l’infanzia (o della mancanza delle stesse) nei programmi dei partiti politici.

    Insomma, se vogliamo che la maternità sia un’opzione ragionevole per le donne bisogna ripensarne le condizioni. Alcuni cambiamenti sono possibili (e necessari) da subito, altri prenderanno tempo, ma bisogna continuare a insistere per la loro realizzazione, con tenacia e pazienza.

    Quanto a me, la maternità’ mi ha portato molta felicità e occhiaie permanenti, mi ha implicato infiniti compromessi e mi ha insegnato molte lezioni. La principale è che, come ripeteva sempre la mia tata “ci vuole tanta pazienza”. Tata, quanto avevi ragione.

    Lucina di Meco – Nata a Sanremo,  una laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche e un Master in Economia dello Sviluppo. Da oltre 10 anni vive e lavora  fuori dall’Italia, prima in Messico, un Paese che ama profondamente, ora negli Stati Uniti, a New York. Si occupa di diritti delle donne e cooperazione allo sviluppo. Le sue passioni sono le pari opportunità, la politica e le scorze d’arancia candite e ricoperte di cioccolato fondente.

    felicità figli
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    Dols è sempre stato uno spazio per dialogare tra donne, ultimamente anche tra uomini e donne. Infatti da qualche anno alla voce delle collaboratrici si è unita anche quella degli omologhi maschi e ciò è servito e non rinchiudere le nostre conoscenze in un recinto chiuso. Quindi sotto la voce dols (la redazione di dols) troverete anche la mano e la voce degli uomini che collaborando con noi ci aiuterà a non essere autoreferenziali e ad aprire la nostra conoscenza di un mondo che è sempre più www, cioè women wide windows. I nomi delle collaboratrici e collaboratori non facenti parte della redazione sono evidenziati a fianco del titolo dell’articolo, così come il nome di colei e colui che ci ha inviato la segnalazione. La Redazione

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    Caterina Della Torre

    torre.caterinadella

    Redattora del sito internet www dols.it

    Donne pronte al dialogo, ai trattati, a scavalcare Donne pronte al dialogo, ai trattati, a scavalcare barriere e confini, ai cambiamenti, alla PACE.
Protagoniste di una sfida femminile secolare che nessuna guerra potrà negare. Nessun futuro potrà prescinderne.

https://www.dols.it/2025/06/09/donne-di-pace-e-di-guerra/
    https://www.dols.it/2025/06/06/la-solitudine-dei-n https://www.dols.it/2025/06/06/la-solitudine-dei-non-amati/

La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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    Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo roman Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo romanzo, L’arte della gioia, uscito dopo la sua morte (nel 1996 a 72 anni) e solo grazie alla dedizione del marito, Angelo Pellegrino. Il libro vide la luce nel 1998 presso Stampa Alternativa (e poi nel 2008 da Einaudi). Tollerata dai salotti intellettuali del tempo, dove era entrata grazie alla sua lunga relazione con il regista Citto Maselli, Goliarda Sapienza fu sempre insofferente nei confronti del mondo intellettuale e borghese. Attrice, scrittrice, donna libera, più irregolare che anticonformista, chissà cosa penserebbe dell’interesse che sta suscitando in questo periodo non solo la sua opera ma anche la sua vita.

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Lo studio delle lingue straniere alimenta la curiosità e stimola la voglia di apprendere in molte discipline anche ben diverse, soprattutto se sostenute da una capacità imprenditoriale. Questo lo dimostra la storia qui di seguito riportata di Marialuisa Portaluppi da noi intervistata.
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Recensione poetica emozionale di Lezione d’amore. Sinfonia di un incontro.

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