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      La solitudine dei non amati

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    Dol's Magazine
    Home»Costume e società»L’altro volto dell’India
    Costume e società

    L’altro volto dell’India

    Rita CugolaBy Rita Cugola27/07/2012Updated:02/08/2014Nessun commento4 Mins Read
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     Il mio cuore dice sì. Un film indiano…

    Prendiamo in considerazione due ragazzi qualsiasi nell’India contemporanea. Sono giovani, carini, appartenenti alla buona borghesia. Non si conoscono. Prem, manager rampante nell’azienda paterna, vive nella tentacolare New Dehli; Punam invece – orfana dei genitori – risiede in piccolo centro a diversi chilometri di distanza insieme agli zii e alla cuginetta.
    Con l’incoscienza tipica dei vent’anni entrambi conducono esistenze totalmente imperniate sul presente, senza alcun riguardo per il futuro. Amano la libertà e sognano il divertimento.
    Un’atmosfera idilliaca, quella in cui sono immersi, ma forse troppo irreale per poter durare a lungo: l’avvenire di cui saranno protagonisti è già stabilito. Tra i rispettivi tutori è stato infatti sancito un accordo inderogabile che li costringerà ad intrecciare per sempre le loro esistenze.
    Prem e Punam sono sconvolti. Ciascuno possiede una fotografia dell”altro, ma ciò non è sufficiente per allentare la tensione nelle loro anime svuotate da ogni stimolo vitale.
    No, non avevano affatto intenzione di accasarsi così presto. Pensavano di avere il diritto di scegliere autonomamente il proprio partner; li ossessiona l’esito che avrà il loro primo incontro ufficiale, che avviene a casa della ragazza con tutti gli onori.
    E inaspettatamente fra i due ragazzi – superato l’impaccio iniziale – scocca il colpo di fulmine. Si rivedono in occasione di una breve vacanza (anch’essa preorganizzata dalle famiglie) e scoprono di amarsi davvero.
    Sono pronti ad accettare il matrimonio, che potrà però essere celebrato solo dopo alcuni mesi di fidanzamento ufficiale.
    Nel frattempo, Prem e Punam restano lontani per ragioni oggettive, ma non smettono di tenersi in contatto: interminabili lettere, telefonate, talvolta fugaci messaggi via internet: tutto concorre a creare nei loro cuori l’illusione di poter accorciare (se non annullare) la distanza che li separa l’uno dall’altra.
    Intanto fervono i preparativi per le nozze, che dovranno essere – in conformità alle tradizioni borghesi – estremamente sontuose.
    I promessi sposi fremono. Sono al settimo cielo, come i protagonisti di tutte le storie a lieto fine. Ma la loro fiaba non si concluderà secondo le previsioni comuni.
    Qualche giorno prima della cerimonia nuziale, infatti, un immane incendio di natura accidentale divora l’abitazione in cui Punam vive con i suoi. Tutti gli occupanti riescono a mettersi in salvo ad eccezione della cuginetta Choti, che rimane imprigionata dalle fiamme.

    Sarà proprio la stessa Punam a trarla in salvo, ad un prezzo che per lei si rivelerà altissimo: ustioni di terzo grado sul 40% del corpo e un’interminabile, dolorosa degenza ospedaliera.
    La prospettiva matrimoniale, a questo punto, sembrerebbe declinare per sempre. Invece l’amore ha il sopravvento. La gravità delle ferite non ostacoleranno i fermi propositi dei ragazzi. Prem sposerà la sua Punam e lo farà direttamente nel nosocomio stesso, con la complicità di medici e infermieri.

    Quella che avete appena letto è purtroppo una soltanto la trama di un film indiano del 2006, dal significativo titolo Il mio cuore dice sì. Una favola moderna, nell’intento degli sceneggiatori, ambientata in un paese che – com’è noto – si sta facendo strada anche nel campo della produzione cinematografica (Bollywood insegna!).

    Ciò che rende particolarmente emblematica la pellicola è però il fatto stesso che provenga proprio da uno di quei contesti che troppo spesso costringono ad ascoltare – nell’impotenza pressoché totale – i lamenti di donne sfigurate dall’acido, ripudiate per futili motivi, maltrattate o addirittura uccise da mariti autoritari e violenti (ma questo avviene anche in occidente, sic!) o di bimbe abbandonate o soppresse alla nascita in quanto femmine e perciò ritenute un inutile “peso” sociale.

    La vicenda di Prem e Punam è insomma fittizia, d’accordo. Come tale non può quindi certamente pretendere di riflettere la vera realtà dell’India misteriosa e mistica. Tuttavia resta pur sempre una piccola proiezione di speranza nascente, affinché le future generazioni indiane – supportate dal fenomeno della globalizzazione economica e culturale – possano riuscire a seppellire definitivamente tra le sabbie del passato gli anacronismi e le contraddizioni di una tradizione ancora in lotta con i più elementari diritti umani.

    Titolo originale: Vivah
    Regia: Sooraj R. Barjatya
    Cast: Shahid Kapoor, Amrita Rao, Anupam Kher, Alok Nath, Seema Biswas, Samir Soni, Lata Sabharwal, Manoj Joshi, Amrita Prakash, Dinesh Lamba

    Amore India
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    Rita Cugola
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    Milanese del ‘59 è giornalista professionista da molti anni. Nel periodo universitario si è dedicata alle recensioni musicali e cinematografiche su istanza di Amica, Cosmopolitan, NoiDonne, Il Borghese). In seguito si è però specializzata in questioni di politica estera e problematiche sociali internazionali (con peculiare attenzione all’universo femminile islamico e al fenomeno discriminatorio globale), scrivendo per svariate testate nazionali, tra cui Panorama.it, La Padania, La Stampa e Il Fatto Quotidiano. Già autrice e conduttrice di programmi giornalistici di approfondimento in emittenti private e tv locali ha deciso di creare un blog su tematiche di geopolitica internazionale (LOOK BEYOND, ritacugola.wordpress.com). Appassionata di egittologia, sufismo e filosofia ha lavorato a lungo con (Sp)Hera, mensile di storia, archeologia ed ermetismo. Per un triennio è stata condirettore di Alganews (magazine online fondato da Lucio Giordano). Attualmente scrive per Dol’s Magazine e il mensile Storica (gruppo RBA). Grazie alla conoscenza di quattro lingue (oltre all’Arabo che sta studiando nel tempo libero) collabora attivamente con la Libreria Islamica/Edizioni Al Hikma, traducendo testi ancora inediti di carattere filosofico/religioso.

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La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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    Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo roman Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo romanzo, L’arte della gioia, uscito dopo la sua morte (nel 1996 a 72 anni) e solo grazie alla dedizione del marito, Angelo Pellegrino. Il libro vide la luce nel 1998 presso Stampa Alternativa (e poi nel 2008 da Einaudi). Tollerata dai salotti intellettuali del tempo, dove era entrata grazie alla sua lunga relazione con il regista Citto Maselli, Goliarda Sapienza fu sempre insofferente nei confronti del mondo intellettuale e borghese. Attrice, scrittrice, donna libera, più irregolare che anticonformista, chissà cosa penserebbe dell’interesse che sta suscitando in questo periodo non solo la sua opera ma anche la sua vita.

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Lo studio delle lingue straniere alimenta la curiosità e stimola la voglia di apprendere in molte discipline anche ben diverse, soprattutto se sostenute da una capacità imprenditoriale. Questo lo dimostra la storia qui di seguito riportata di Marialuisa Portaluppi da noi intervistata.
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Recensione poetica emozionale di Lezione d’amore. Sinfonia di un incontro.

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