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    Dol's Magazine
    Home»Costume e società»GIOIELLI PER … DENUDARCI
    Costume e società

    GIOIELLI PER … DENUDARCI

    ANTONIA CHIARA SCARDICCHIOBy ANTONIA CHIARA SCARDICCHIO29/01/2015Updated:03/10/20151 commento5 Mins Read
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    gioielli-gemming
    da www.gemming.it
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    Dall’inizio della loro storia, gli uomini e le donne di tutte le geografie, di tutte le religioni e di tutti i linguaggi, hanno sentito il bisogno di

    Le effimere e la fortezza

    Si potrebbe obiettare che non sia il tempo.
    Ci si potrebbe chiedere con quale coraggio qualcuno si fermi a e scrivere intorno a ciò che è superficiale, proprio adesso.
    Mentre migliaia di seri e tragici post raccontando di crisi e povertà… da dove spunta questo post così “leggero”?
    Da dove spunta, proprio adesso, questo colpo d’ali? Ci si potrebbe chiedere se sia arroganza, o forse incoscienza, ad aver mosso questa riflessione sui gioielli.
    Già.
    Ma sarebbero domande… superficiali.
    Di quelle che sì, si arrestano soltanto al primo livello della realtà e delle cose. E che seguono solo pensieri senza impegno: l’impegno di vedere cosa il velo sta nascondendo. O, forse, proteggendo.

    Un post sui gioielli non è un post superficiale.
    Se, dall’inizio della loro storia, gli uomini e le donne di tutte le geografie, di tutte le religioni e di tutti i linguaggi, hanno sentito il bisogno di affidare ad un gioiello il racconto muto di sé, il desiderio di essere visti e riconosciuti come valore, il bisogno di connettersi alla terra ed alla materia per dire dello spirito… questo dice che tutt’altro che solo superficie trasuda da un gioiello.

    Siamo creature simboliche: non ci basta il qui ed ora poiché sempre convivono nel nostro presente quel-che-non-c’è-più e quel-che-ancora-non-c’è, a tener stretti chi-sono-stato e chi-voglio-essere, memoria e futuro in un dove che continuamente trasuda altrove. E tutto, indipendentemente che si creda o no in un dio, rivela che tutti, benché mortali, sentiamo il bisogno di eternità.
    Siamo creature simboliche: abbiamo bisogno di mangiare. E di un tetto. E di coprirci. Ma non ci basta. Investiamo di significato anche un pezzo di spago o un ramo secco, per la nostra spiccata naturale tendenza a filosofare, dare senso, cercarlo. E poi quando incontriamo la bellezza… la custodiamo, la teniamo stretta, vorremmo farne parte. Perché la bellezza, sebbene muta, ha questo di spettacolare: parla. E sa parlare meglio delle parole. Mille lingue, non avendone nessuna. E cosa dice? Dice che io sono qui e che sono vivo, perché la sto guardando. E la sto portando. E la sento vibrare. La bellezza non è mai frivola, non è mai vuota, non è mai muta: risuona forte come il dolore. Esattamente la stessa forza. Per questo ne abbiamo bisogno.

    Perché un essere umano con il suo gioiello – al collo, alle orecchie, ai polsi, alle caviglie e ovunque qualcosa lo racconti – muta forma.
    No, non perché sia stupido. O superficiale.
    Giacché , si badi bene, la nuova forma non la assume dal gioiello in sé (tant’è che lo stesso diadema, per esempio, suona diversamente cambiando colui o colei che lo porta) ma dal significato che ad esso conferisce colei o colui che lo indossa. I gioielli non sono mai vuoti. Sempre pieni. Pieni di chi li porta: sono amplificatori del mondo interiore.
    Specchi.

    Sì, i gioielli sono tutti specchi. E scegliamo quello che più ci assomiglia. O quello a cui vorremmo assomigliare. Ingioiellarsi è sempre operazione di rispecchiamento. Dice come mi vedo. Come vorrei essere vista.
    Ingioiellarsi, invero, allora è anche come spogliarsi.
    Paradossalmente: ingioiellarsi come denudarsi. No, non celarsi: ma mostrare di sé l’immagine che si sceglie. Poi, magari, non è la sola. Mille altre mi descrivono e mille altre sto nascondendo. Ma quella, quella lì, non è mai falsa o artificiale: sempre un gioiello racconta del suo portatore.
    E ne vogliamo mille, proprio perché mille specchi ci descrivono e, ancora, non bastano. Uno dice come mi sento al mattino, uno alla sera, uno dice del mio dolore, uno della mia allegria.
    I gioielli sono forme materiche della poesia. Come sculture o canti. Non dicono della superficie, ma di come la profondità si manifesta emergendo. Di come l’invisibile cerca visibilità, per raccontare non solo pensieri ma stati e transiti.
    Allora eccoli qua, svelarsi come forme d’arte: e c’è chi potrebbe obiettare che tutta l’arte sia futile… in questo momento.
    Già.
    Eppure chissà… forse proprio questo è il tempo.
    Il tempo di riconnettere la superficie alla profondità, la materia allo spirito, il visibile all’invisibile. Perché? Per darsi spinta. Un guizzo alle ali incatramate.

    Potrebbe sembrare retorica.
    E invece è la cronaca – insieme poetica e pragmatica – di una spudorata realtà.
    Senza pudore: per dire che siamo creature simboliche… al punto tale da fare di un gioiello un volano.
    No, non un dio. Ma un altare. Un punto dal quale partire per la ricerca.
    La ricerca di ciò che non cede a qualsiasi annuncio di fine.
    E cercare, cercare, cercare bellezza. Per raccontarla, sì: proprio adesso.
    E per fare un gioiello per una donna basta, davvero, anche un pezzo di vetro o di stoffa.
    Siamo le maestre dell’effimero… e della fortezza.

    (Il testo è tratto dalla presentazione al volume a cura di Tiziana Anna Piscitelli,filosofa, artista, blogger, dedicato al gioiello come oggetto culturale, edito da Forestano).

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    ANTONIA CHIARA SCARDICCHIO

    Antonia Chiara Scardicchio, dal 1998 è formatrice e studiosa di educazione degli adulti, resilienza e connessioni tra arte e scienza. Dal 2005 ricercatrice presso l’Università di Foggia dove insegna presso il c.d.l. specialistica. Nel marzo 2014 è stata insignita della prima edizione del Premio Italiano di Pedagogia. Dalla primavera 2013 è coordinatore del Festival della Complessità per l’AIEMS (Ass. It. di Epistemologia e Metodologia Sistemica) a Bari. E’ autrice di pubblicazioni scientifiche internazionali e nazionali. Appassionata di neuroscienze, Zavattini, patatine fritte, Erri De Luca, Jovanotti, filosofia, arte contemporanea, Italo Calvino, Roberto Benigni e Gregory Bateson. Con le Edizioni La Meridiana ha fondato, nel gennaio 2015, la prima HOPE SCHOOL italiana: www.hopeschool.edizionilameridiana.it

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    1 commento

    1. Tiziana Anna Piscitelli on 29/01/2015 21:48

      Ringrazio moltissimo per l’attenzione. Su un sito speciale come questo non poteva che scriverci una persona speciale come Chiara Scardicchio. Questo libro è un mezzo con cui abbiamo cercato di tirare fuori il gioiello dalle facili banalizzazioni e mi ha consentito di conoscere tante persone che producono cultura e forza ogni giorno.

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