BEATE

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 Beate  opera prima del regista Samad Zarmandili è una delicata fiaba sociale                                    

                                               

di Alehina D. Musumeci

L’insostenibile leggerezza dei Miracoli.                                                         

 Ovvero Per Aspera ad Astra: Beate ed Assunte nel Settimo Cielo del Desiderio Femminile. Ovvero la Pazza Gioia ci rende BEATE!

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                                                                                                                                                                                                                                                                                                     Opera prima del regista Samad Zarmandili, Beate è una delicata fiaba sociale appartenente al filone italiano del realismo fantastico che annovera lo struggente ‘Miracolo a Milano’ (Vittorio De Sica, 1951) ed il fiabesco ‘C’era una volta’ (Francesco Rosi, 1967), pur avendo tuttavia significativi rimandi a film come Sister Act, Calendar Girls, e We Want Sex da cui deriva vari spunti femministi.

Ambientato in uno splendente nord est colpito duramente dalla crisi economica, il film si avventura in una storia corale al femminile in cui sorellanza, fede e miracoli costituiscono il nucleo fondativo di una storia di inganni, mutamenti, desideri e riscatti individuali e collettivi tesi alla conquista di un po’ di felicità. Pur con le debite differenze, Beate sembra quasi un involontario sequel del bellissimo La Pazza Gioia di Virzì, il woman road movie, che occhieggiando a Thelma e Louise, lo attualizzava calandolo in una dimensione italiana di maggiore coralità e sorellanza. Entrambe i film utilizzano lo strumento dello humor per sostenere l’impianto delle storie, colorare ogni personaggio di una sua sfumatura, ed offrire una via di fuga accettabile, ma non irreversibile, dalla dura quotidianità.  Già i titoli dei due film evidenziano le scelte su cui le donne in causa decidono di basare la propria libertà e felicità: darsi ad una avventurosa Pazza Gioia, o rifugiarsi in un beato Ora et Labora.  

     Di certo, le protagoniste di entrambe i film scelgono di avere il Pane ed anche le Rose, cioè pretendono di poter soddisfare tutti i loro desideri e non più solo i bisogni fondamentali.      Riguardo la felicità e la capacità femminile di creare l’Arte Totale, anche tramite la quotidiana Cura del Mondo, è esplicativa la risposta che Beatrice, ne La Pazza Gioia, dà alla domanda di Donatella su dove si trovi la felicità :< Nei posti belli, nelle tovaglie di fiandra, nei vini buoni, nelle persone gentili. Ecco dove si trova!>.  

 Fa certo sempre piacere, durante questi interminabili millenni patriarcali, trovare degli uomini che, con grande debito verso tutte le figure femminili della loro vita, raccontano con affetto storie di donne, anche se forse alcuni risvolti profondi potrebbero, in quanto uomini, sfuggire loro…   

 Molte le tematiche, individuate anche in Beate, ed ognuna rappresentata da una parola fondamentale: la prima è DESIDERIO, derivata etimologicamente dal latino de Sideris (dalle stelle) suggerisce che i desideri, come i caratteri, siano indotti ed influenzati da entità superiori (pianeti, Entità Cosmiche, demiurghi, Dei), come ritenuto dagli antichi pagani, dall’esoterismo, dall’astrologia, e dalle nuove psicologie Sciamaniche, Immaginali, o delle Costellazioni Familiari. Secondo queste teorie, i desideri se intuiti e perseguiti, potrebbero indurci a compiere coscientemente il destino assegnatoci con una prospettiva cosmica più grande di quella della nostra singola piccola vita; e se il cielo volesse, è proprio il caso di dirlo, potrebbero anche renderci tutte felici e beate!                                                                                                                                                     Il Femminismo, dagli anni 70, ne fece un tema centrale sostenendo il bisogno di dare voce ad un desiderio femminile taciuto o asservito, da millenni, all’ordine simbolico patriarcale, e che come spiegò Rosa Braidotti, ‘era un desiderio ontologico, cioè un desiderio di essere e di esserci’.  Le donne, quindi, dovevano ricominciare a desiderare e desiderare tutto: il Pane ed anche le Rose come teorizzò la leader femminista Rose Schneiderman ad una riunione di suffragette americane benestanti, nel richiedere il loro aiuto per ottenere il voto ed altri diritti per le donne. *

 La soddisfazione dei desideri e la ricerca della felicità sono innati negli esseri umani, e furono anche inseriti nella Costituzione americana, ma in effetti, da sempre il loro soddisfacimento è temutissimo da governi e religioni, e di conseguenza talmente repressi, da divenire avulsi dalle vite della maggior parte delle persone, specie da quelle delle donne. Invero il desiderare crea spazi di autonomia interiori ed esteriori prima inesistenti, dà la forza per ricercare anche le piccole felicità e rende sacro tutto ciò che prima, pur esistendo, NON esisteva in noi, e per noi.

Le altre parole fondamentali del film sono SACRALITA’, SPIRITUALITA’, GENEALOGIA FEMMINILE e SORELLANZA.  Di fatto, cosa ha significato e comportato per noi donne essere espropriate della nostra Grande Dea Madre, della nostra innata sacralità, e del nostro ruolo sacerdotale?                         Ha significato la perdita dell’Anima ed un soggiogamento totale!

Fortunatamente il cristianesimo, per essere accettato, dovette inserire nel proprio Panteon religioso anche figure femminili, quali la Madonna, la Maddalena e varie Martiri in cui riproporre alcune caratteristiche, rivedute e corrette, della Grande Dea Madre e delle varie Dee locali che aveva ufficialmente cancellato.  Figure sacre, e modelle di riferimento, importantissime ed ispiratrici di future grandi artiste, studiose, regine, mistiche e Sante, e che contribuirono anche a tener vivi saperi legati ai territori, e templi precedentemente consacrati ad una Dea.                         

  Così, la Madonna, novella Grande Madre, riaccolse l’intero Creato sotto il suo manto protettivo e salvifico… Suoi gli appellativi che furono della Dea, suoi i più grandi santuari, le acque e le pietre sacre e guaritrici… Benché sminuita del suo precedente splendore e potere, le donne la riconobbero, a Lei si ristrinsero, recitando i suoi santi nomi, venerando le sue tante effigi, le sue Beate e Sante, agghindandole tutte splendidamente, ricoprendole di gioielli come un tempo le Dee, e rinacque, in segreto, il sacro legame genealogico che tutte, in sorellanza, a Lei ci lega.

    Nel film, il filo d’oro di questo legame è retto dalla Beata intorno alla quale tutto si scatena, ruota e risolve; due siciliane, traferitesi anni prima in quella che era la ricca provincia di Rovigo, innescano, non solo metaforicamente, le micce della storia: una monaca (l’esilarante Lucia Sardo), e la nipote Armida (l’intensa Donatella Finocchiaro) operaia di una azienda di lingerie, dovranno affrontare, con le loro rispettive consorelle e colleghe, un percorso ad ostacoli che le porterà, Per Aspera ad Astra, * a risplendere beate nel fiammeggiante firmamento dei loro DESIDERI!

Le protagoniste vengono ingannate e tradite da tutti, dalla proprietaria della ditta che chiude per delocalizzare, dal sindaco e dalla stessa Curia che vogliono appropriarsi del convento delle Suore del Sacro Manto, in cui è venerata la loro Beata fondatrice, per farne un hotel di lusso.

Così Armida, sua zia suor Restituta, suor Caterina (la dolce Maria Roveran) giovane Madre Superiora pro tempore, le altre consorelle e le operaie dovranno rimodulare credi, ruoli, talenti, affetti, e desiderata.  Così suore ed operaie, con le competenze di tutte e trasformando le proprie debolezze in forze, riusciranno a creare una Cooperativa che le unirà in un comune salvifico Ora et Labora!  In effetti, monache e lavoratrici sono state fra le categorie più vessate, ma paradossalmente anche più libere, rivoluzionarie e detentrici di saperi della storia femminile.  Genialmente, quindi, il regista situa le storie in questi due simboli cardine della emancipazione femminile: il convento, che dal Medioevo fino ad oggi, quando non imposto, è stato un luogo di indipendenza dal maschile, di cultura e creatività altrove negata; e la fabbrica che, dalla fine del settecento in poi, ne è stata la controparte laica.

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Logicamente, la vera Dea ex Machina di tutta la storia, e da cui il film deriva il titolo è la Beata, che, elegantissima in rosa cipria, dalla sua teca dorata, muove le fila della vita delle 12 donne, nell’attesa che la sua omonima ritrovi desiderio per la Vita e le permetta alfine di far fiorire la sua sospirata santità con un miracolo…  Il suo nome Armida (etimologicamente Colei che è armata, Colei che è combattiva) è già tutto un programma, essendo il nome che il Tasso diede alla bellissima maga mussulmana che, ne La Gerusalemme Liberata, fece stage di cuori cristiani per finire poi stregata da Rinaldo e pronta ad abiurare fede e cultura per lui!

Una figura femminile, quindi, contenente in sé gli aspetti luminosi ed oscuri di una Grande Dea Madre che, magnifica e scandalosa, nel tempo si palesa con vesti e nomi differenti: Genia, o Dea Loci, Maga mussulmana o Beata cristiana. Materna, protettiva, creativa, ma anche forte, appassionata, battagliera, ed in grado di attrarre e recuperare la spiritualità e sacralità femminile anche risacralizzando la vita quotidiana, la preghiera, la creatività, il lavoro, e ridando valore alle piccole cose, alle parole, ai gesti, ai sentimenti, alle persone ed alle cose belle.                                                                                             

 

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Così ci si ritrova con una Beata bella, agguerrita e ‘desiderante’ ed ai suoi lati, come in una pala d’altare: Buon* e Cattiv*.                                                                                                                              

Buon*: 6 suorine ingenue e strampalate che venerano la Beata, pregando, ricamando e desiderando costantemente il suo primo miracolo; 6 operaie tessili licenziate e disperate (la cui  leader si chiama come la Beata e, da lei ispirata, scoprirà in sé la molla del desiderio e la sua combattività); ed un unico uomo, Loris (il noto attore teatrale Paolo Pierobon) mite seduttore di provincia ed amante d’Armida, che poi, captato anch’egli nel turbine dei desiderata delle sue compagne operaie, si rivelerà un abile manager.

Cattiv*: la spietata crisi economica; la cinica e vile proprietaria della ditta, ed il suo degno marito e corrotto sindaco della cittadina; il subdolo e infido prete segretario del Vescovo ed i suoi compari. Villain, per nulla affascinanti che meritano solo poche parole.

Come tutte le Dee poi, anche la Beata Armida, non mancherà di riservare rocamboleschi e miracolosi effetti speciali alle suorine, agli altr* devot*, ed agli spettatori di questa novella Sacra Rappresentazione moderna.

E mentre la storia si ingarbuglia e si dipana sotto i nostri occhi curiosi, il regista immortala con frequenti bellissime riprese aeree la splendente bellezza del Polesine veneto, la carezza, plana dolcemente sul Delta del Po, sulle sue rade, sulle sue acque… Ci abbaglia con cieli sfolgoranti, e nuvole vagabonde tinteggiate da musiche evocative… Ed entrambe, immagini e musiche, costellano, punteggiano ed illuminano di bellezza la storia come delicati ricami sul velo della Beata…

Questi dunque gli sfiziosi ingredienti che il valente regista combina con cura a liscia* siciliana e menta piperita femminista, shakerandoli ben bene… Ed ecco il beatificantissimo film, da assaporare con gusto, è servito!!!    

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Per finire un simpatico SCOOP: alla prima del film a Catania, città delle due attrici e mia, alcune comuni amiche, per non smentire la famosa liscia *catanese, si sono presentate, tra la sorpresa generale, vestite da Beate, con camicioni bianchi e coroncine di fiori sul capo… E Lucia e Donatella non si sono di certo fatta sfuggire la possibilità di divenire ancor più BEATE!!!

Lucia e Donatella, con le coroncine di fiori sul capo, sempre più BEATE alla prima di Catania!

 

 

*1 Per aspera ad Astra motto latino che significa ‘attraverso le asperità sino alle stelle’.

*2 Estratto dal famoso discorso di Rose Schneiderman:

« «Ciò che la donna che lavora vuole è il diritto di vivere, non semplicemente di esistere – il diritto alla vita così come ce l’ha la donna ricca, al sole e alla musica e all’arte. Voi non avete niente che anche l’operaia più umile non abbia il diritto di avere. L’operaia deve avere il pane, ma deve avere anche le rose. Date una mano anche voi, donne privilegiate, a darle la scheda elettorale con cui combattere»

 *3 Liscia: parola catanese che significa umorismo, comicità.

 

 

alehinaAlehina D. Musumeci

Originaria del Sud Italia, dopo gli studi alla Facoltà di Lingue, si specializza in Museologia e Comunicazione Visiva. Operatrice culturale, artista, ed imprenditrice si occupa di Turismo Culturale, Cultura di Genere e Spiritualità Femminile. E’ ecologista ed animalista.

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Dols è sempre stato uno spazio per dialogare tra donne, ultimamente anche tra uomini e donne. Infatti da qualche anno alla voce delle collaboratrici si è unita anche quella degli omologhi maschi e ciò è servito e non rinchiudere le nostre conoscenze in un recinto chiuso. Quindi sotto la voce dols (la redazione di dols) troverete anche la mano e la voce degli uomini che collaborando con noi ci aiuterà a non essere autoreferenziali e ad aprire la nostra conoscenza di un mondo che è sempre più www, cioè women wide windows. I nomi delle collaboratrici e collaboratori non facenti parte della redazione sono evidenziati a fianco del titolo dell’articolo, così come il nome di colei e colui che ci ha inviato la segnalazione. La Redazione

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