Anche la cancellazione è violenza

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La mostra RivoltaPagina, chiusasi  il 30 marzo 2018 a Bologna si è interrogata su quante donne scienziate e ricercatrici siano state cancellate dai libri di scuola, e quindi dal senso comune, e su quanto questa cancellazione implichi disvalore e costituisca il terreno su cui si innesta la violenza di genere.

Riprendiamo, citando la fonte la descrizione del Collettivo di Catania, RivoltaPagina, che ha organizzato la Mostra Anche la cancellazione è violenza sulle donne scienziate e ricercatrici cancellate dai libri di scuola, che si è chiusa il 30 marzo scorso, a Bologna. La mostra è itinerante, ed è stata già presentata nelle molte città.

Questa mostra, che è cresciuta dai 12 cartelli del 2014 ai 27 attuali e che ancora crescerà, non ha – lo ribadiamo – una pretesa di scientificità, non nel senso comune almeno. Sono biografie scoperte e sinteticamente scritte da alcune e confrontate tra tutte: questa va bene, questa no, questa vediamo…un metodo che ci piace, che racconta come il desiderio di alcune abbia contagiato alcune altre, tutte solidali alla fine nel voler cercare tra le pieghe delle proprie conoscenze, memorie, intuizioni, una o più donne, farle viaggiare per seminarne i meriti in giro, sperando che diano frutti…

Recuperando la memoria di queste donne, alcune eccezionali, altre diversamente illustri, altre sconosciute, abbiamo voluto segnalare la possibilità di un’educazione-istruzione fondata su una differente cultura delle relazioni, che restituisca alle femmine la memoria e l’orgoglio di avere simili antenate, e permetta ai maschi di disinnescare la loro scontata onnipotenza universalista, una misura indispensabile, oggi più che mai. Il nostro modo di rendere giustizia alle “donne uccise perché donne” è questo, un intervento di lunga durata, di ampio respiro, che ci auguriamo possa contagiare scuole e istituzioni affinché questo “reato dispari” – un reato che gli uomini commettono – non accada più, sia consegnato a una preistoria delle relazioni affettive… e lo facciamo noi, femministe di molte età, consapevoli di essere “noi, utopia delle donne di ieri, memoria delle donne di domani”, come scrivemmo sullo striscione di apertura del corteo catanese dell’8 marzo 1985…noi ancora in movimento…

I pannelli esposti hanno mostrato una selezione delle biografie di scienziate tratta dalla più ampia mostra realizzata dal collettivo RivoltaPagina e acquisita in modo permanente dal catalogo per le scuole dell’Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna.

 

Mostrarsi, mostrare…dimostrare?
(Collettivo Rivolta Pagina di Catania)

Mostrare: nell’autunno del 2014 ci ponemmo la solita domanda: cosa facciamo per il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne? Pur confermando il massimo rispetto per le manifestazioni a lutto, sentivamo che questa ritualità cominciava a perdere la sua forza simbolica, e soprattutto, che questa sua forza si spegneva il giorno dopo. Che fare? Sapevamo, sappiamo, che dietro ogni femminicidio c’è una cultura millenaria in cui l’asimmetria di potere tra donne e uomini, fondata sulla potenza generatrice delle donne e sulla divisione sessuale del lavoro che storicamente ne è conseguita, si è tradotta nella pretesa di un possesso esclusivo, di un dominio di lui su di lei: occorreva cambiare questa cultura. Come? Intervenendo sul tempo lungo, sul mutamento del senso comune, questo ci sembrò il passo giusto da fare. Ci chiedemmo allora, e continuiamo a chiederci: quante sono le donne che in tutti i campi del sapere hanno dato contributi importanti alla qualità della vita, all’affermazione dei diritti, alla ricerca scientifica, eppure sono invisibili nel senso comune perché cancellate dai libri sui quali femmine e maschi si formano sin dalla scuola dell’infanzia, crescono, si danno valore, si fanno coraggio? Abbiamo cominciato a cercarle, queste donne, seguendo curiosità insoddisfatte, desideri nascosti, casualmente a volte, senza una esplicita pretesa di scientificità, un obiettivo che sarà eventualmente raggiunto da chi poi vorrà continuare a lavorare sulle tracce che noi proponiamo.

Alcune di noi hanno voluto indicare per frammenti i modi del proprio incontro con alcune delle donne cercate, trovate.
Mariagiovanna ha incontrato per caso Sibylla Merian, naturalista e pittrice tedesca, appassionata studiosa di bruchi e di farfalle, che agli inizi del Settecento intraprende un avventuroso viaggio di ricerca in Suriname, nel Sud America, in compagnia di una figlia: i suoi disegni scientifici sono di una incomparabile bellezza. Continuando a cercare, Mariagiovanna ha rincontrato Emilie du Chatelet, che già conosceva come letterata, ma famosa soprattutto per il suo legame sentimentale con Voltaire, e scopre che è anche una scienziata, matematica, fisica e filosofa, autrice e traduttrice di opere scientifiche, e come tale ignorata. Adesso, sempre Mariagiovanna, che ama la musica, ha scovato una compositrice che ha raggiunto le altre, le “mie donne”, come lei le chiama, sempre animata dal desiderio di entrare nelle loro vite per farne emergere l’intelligenza, l’anticonformismo, le difficoltà incontrate per farsi valere, i gesti di libertà.
Emma ha voluto che entrassero nel senso comune donne che sono all’origine della questione “diritti delle donne – diritti universali”. Così finalmente, da nonna a nonna, vi farà conoscere il volto rassicurante di una suffragista americana di metà Ottocento, Elizabeth Cady Stanton, promotrice della Convenzione di Seneca Falls del 1848, durante la quale, assieme a tante altre memorabili frasi, disse che “una donna deve imparare a essere giusta verso se stessa prima che misericordiosa verso gli altri”, una frase che Emma vorrebbe scritta a lettere cubitali in ogni stanza di una casa familiare, anche in quelle delle sue figlie e nipoti. Poi c’è stato l’incontro con Andreana Sardo, eroina della rivolta antiborbonica, a Catania, nel 1849: salvò da un incendio devastante la preziosa biblioteca dell’università e alcuni laboratori scientifici…
Antonia, furiosa e tenace resistente nella sua vita quotidiana di lavoratrice precaria, si è innamorata di Olympe de Gouges, che nel 1791 scrisse quella Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina che le costò la testa due anni dopo. Come non sancire per legge, come non leggere a voce alta in tutti i luoghi – governi, parlamenti, Comuni, uffici pubblici e privati, fabbriche – l’articolo 12, in cui Olympe dichiara che se i diritti delle donne a volte ricevono una maggiore tutela questa è data nell’interesse di tutti e non del suo privato interesse? Quante discriminazioni, disagi, pari opportunità strappate a fatica ci saremmo risparmiate?
Elena dice: “Perché ho scritto di UNA e di Emanuela Sansone? Entrambe fanno parte della mia vita. Anzi, UNA, fa parte della vita di tutte noi. Fu mia madre, negli anni 70, quando mi avvicinavo al femminismo, a chiedermi di regalarle “Una donna” di Sibilla Aleramo. Capii subito che in quella donna c’era anche lei, come tante delle nostre madri, e volevo ricordare che la Storia non ha mai reso giustizia a tutte quelle donne che ogni giorno compiono gratuitamente lavori di cura vitali, donne che non hanno un nome perché i nomi sono migliaia, milioni. Ho usato solo due tempi verbali, il presente e il passato, nel descrivere UNA: non volevo e non voglio pensare che anche nel futuro accada ciò che per millenni è successo alle UNE di tutto il mondo. Poi ho trovato Emanuela Sansone, la prima donna vittima della mafia, quella mafia che ho vissuto sulla mia pelle con la morte di Giuseppe Fava, il fondatore della rivista “I Siciliani”, della cui redazione facevo parte. Si diceva che la mafia non uccideva donne e bambini, ma non è mai stato vero. Emanuela e la madre – come tante altre donne che hanno lottato contro la criminalità organizzata o che, se interne ad essa, ne sono potute uscire solo ammazzate dai loro stessi parenti – non sono mai state ricordate, e meritavano qui un posto d’onore.
Sara ricorda: “ Le prime donne cancellate dai manuali che mi sono venute in mente sono state le “mie” architette, “mie” perché appartengono alla mia formazione professionale e sostanziano il mio metodo progettuale. Parlo soprattutto di Eileen Gray e di Margarete Schutte Lihotzky. Di Gray mi ha affascinato il carattere anticonformista e indipendente,il suo rifiuto del matrimonio per continuare a studiare, il suo progetto di “una casa per sé”, la libertà con cui scompone gli ordini pubblico/privato dando pari dignità e valore a ogni ambiente. Shutte Lihotzky ha dedicato tutta la vita all’edilizia sociale, prestando grande attenzione soprattutto al lavoro domestico, nel tentativo di razionalizzarne gli spazi, quindi i tempi: la “Cucina di Francoforte” è l’antenata di tutte le cucine moderne. Solo da poco, grazie a un amico geometra colto e geniale, ho conosciuto Marion Lucy Mahony, la prima architetta autorizzata a esercitare la professione in Illinois, diventata ben presto una presenza indispensabile nello studio di F.L. Wright: i suoi disegni ad acquerello, di una perfezione magica, diventarono un fiore all’occhiello dello stile del famoso architetto, che tuttavia mai gliene renderà il merito. Infine, un bel giorno di un paio di anni fa un’amica che mi conosce bene mi regalò “Terra di lei” di Charlotte Perkins Gilman, e io mi innamorai immediatamente della sua utopia, del suo disegno visionario di una forma sociale basata sulla qualità del dare e del mantenere la vita ipotizzando la possibilità di spostare nello spazio pubblico il lavoro di cura…potrei parlare di lei ore e ore…

Clotilde scrive: “ Un giorno del 2012, durante un viaggio in America , vidi a un incrocio una targa, che indicava il nome di una donna , Harriet Tubman : chi era costei? Al mio ritorno in Italia mi misi subito alla ricerca di notizie su questa donna e con grande sorpresa scoprii la sua storia affascinante: era una schiava, che aveva liberato se stessa e altre trecento persone dalla schiavitù e per questo era chiamata “ la Mosè della gente nera”… ovviamente assente nei libri di storia. Più volte frustata e violentata dai padroni e sorveglianti per le sue ribellioni, analfabeta dalla memoria eccezionale, organizzò una scuola di addestramento per guide della Underground Railroad, dove donne e uomini venivano istruiti nei trucchi per fare scappare gli schiavi. Sicchè, quando nel nostro gruppo femminista decidemmo di dare vita al progetto “Anche la cancellazione è violenza”, immediatamente il mio pensiero andò ad Hurriet Tubman e un anno dopo a Edith Garrud. Chi era Edith? Una suffragetta alta un metro e mezzo circa che non solo lottò per il diritto di voto ma, divenuta istruttrice di Ju-jitsu, istruì le suffragette inglesi a difendersi durante le manifestazioni dagli attacchi della polizia; in particolare, formò una trentina di donne, “The Bodyguard”, per la difesa di Emmeline Pankhurst, fondatrice del Women’s Social and Political Union (WSPU), movimento il cui slogan era “deedsnotwords”(azioni non parole)”.

Rita scrive: “Di Marianne Schnitger Weber sapevo solo che era la moglie di Max Weber, che aveva curato l’edizione postuma di “Economia e società”e aveva scritto una ponderosa biografia del marito (oltre 900 pagine!)pubblicata in italiano dal Mulino nel 1995, ormai introvabile. Nella straordinaria opera del padre della sociologia moderna, che fa della dimensione culturale la chiave esplicativa della nascita del capitalismo e del mutamento sociale non si fa mai cenno al ruolo delle donne e alle relazioni di potere tra i sessi, di cui mezzo secolo prima aveva fatto una lucida analisi John Suart Mill. MI sono chiesta chi fosse Marianne che aveva avuto cos tanta importanza per l’opera di Weber e si era fatta sicuramente carico del malessere psichico che lo tormentò per anni. Nei siti italiani non c’era nulla su di lei e solo nei siti stranieri ho scoperto che dietro la donna che era stata incapsulata nella laconica definizione di “moglie di Max Weber” c’era una vita di studi, di scritti filosofici e sociologici sul ruolo delle donne, un grande attivismo nel movimento emancipazioni sta, la copertura di importanti incarichi politici e una visibilità sociale tra i contemporanei totalmente cancellata dalla storia, pure così recente.

Un gruppo eterogeneo quello delle “Voltapagina” nato dall’incontro di tre generazioni di donne: dal femminismo storico anni ’70 e ’80 al post-femminismo, al neo- femminismo delle nuove generazioni. Un gruppo di donne che considerano le differenze una ricchezza, una più larga possibilità per una comunicazione aperta e libera. Un gruppo di donne che si confrontano, quindi, animate dal medesimo desiderio di ricominciare una elaborazione collettiva e femminista della realtà. Un gruppo che dice no alla passività di osservatrici lucide ma impotenti di fronte al rischio sempre presente di perdita delle conquiste ottenute nel tempo ed al possibile arretramento della condizione delle donne in tutti i campi. Una condizione per cui in passato il Movimento aveva appassionatamente lottato e vinto.

E fra queste donne cancellate dalla storia, ma che il movimento vuole riportare alla memoria degli studenti soprattutto e poi della cosiddetta società civile, ci sono personaggi di donne straordinarie, studiose e intellettuali, scienziate e ricercatrici ma ama anche poetesse e scrittrici.

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Dols

Dols è sempre stato uno spazio per dialogare tra donne, ultimamente anche tra uomini e donne. Infatti da qualche anno alla voce delle collaboratrici si è unita anche quella degli omologhi maschi e ciò è servito e non rinchiudere le nostre conoscenze in un recinto chiuso. Quindi sotto la voce dols (la redazione di dols) troverete anche la mano e la voce degli uomini che collaborando con noi ci aiuterà a non essere autoreferenziali e ad aprire la nostra conoscenza di un mondo che è sempre più www, cioè women wide windows. I nomi delle collaboratrici e collaboratori non facenti parte della redazione sono evidenziati a fianco del titolo dell’articolo, così come il nome di colei e colui che ci ha inviato la segnalazione. La Redazione

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