Gauri Lankesh, essere donna, attivista e giornalista in India

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Gauri Lankesh, giornalista e attivista, fortemente critica nei confronti della politica nazionalista indiana  è stata barbaramente assassinata il 5 settembre con tre proiettili, di cui due al petto e uno in testa. Ha pagato il prezzo di essere se stessa

La domanda è, si può generalizzare? Gauri Lankesh, giornalista e attivista, fortemente critica nei confronti della politica nazionalista indiana – espressa dal Barathiya Janata Party, il cui leader è Narendra Modi, attuale primo ministro – è stata barbaramente assassinata il 5 settembre con tre proiettili, di cui due al petto e uno in testa.
Era appena tornata a casa. Ha avuto un’importante carriera, culminata con la partecipazione al progetto editoriale di suo padre, il Lankesh Patrike, e nella creazione di una rivista sua, in cerca di una libertà mai realmente goduta.

L’India è un paese profondamente contraddittorio, stretto nella morsa di un induismo politico ormai sempre più oppressivo. Il giornalismo ne paga le conseguenze, con il suo tentativo di fotografare la realtà e restituirla al mondo. Ed è per questo che anche la testa del direttore dell’Hindustan Times è saltata: ha osato consentire, allo storico Ramachandra Guha, di accusare apertamente proprio quell’induismo – manifesto nella dottrina dell’Hindutva – per l’assassinio di Gauri Lankesh. Una donna, giornalista schierata a sinistra, attivista politica e dalla parte delle donne, a tutela dei diritti e delle libertà fondamentali.

Ha pagato il prezzo di essere se stessa. Nel paese in cui “meglio vacche che donne”, citando il progetto fotografico di Sujatro Ghosh che ha fatto indossare ad alcune donne indiane delle maschere da mucca, ad evidenziare come drammatica resti la condizione femminile, alto il livello di violenza nei loro confronti, debole il tentativo di tutelare i loro diritti. E Gauri Lankesh ha parlato anche di ciò, di come difficile sia per una donna indiana camminare tranquilla per strada senza rischiare di essere stuprata o picchiata. E non solo è difficile camminarci, ma anche lavorarci: quello di Lankesh non è l’unico nome noto e femminile finito nella black list, così dopo il suo troviamo quello di Sagarika Ghose, di Shobha De, Arundhati Roy, Kavita Krishnan e di Shehla Rashid, ed è stata aperta un’inchiesta che punta a far luce su un progetto di morte che minaccia la libertà di espressione e di pensiero. Perché essere giornalista ed essere anche donna espone a moltissimi rischi.

Da ormai qualche anno, sono aumentate le denunce da parte di reporter indiane in merito ai numerosi pericoli a cui vanno incontro nello svolgimento della propria attività professionale: Nazia Sayed, del Mumbai Mirror, nel lontano 20131 raccontò di essersi ritrovata, passata la mezzanotte, in un vagone per sole donne in compagnia di sei uomini che sapevano che lei mai avrebbe potuto difendersi. Perché? Perché i controlli sono pochi, e non sempre efficaci. Essere giornalista le ha consentito di chiedere, con maggiore successo, l’aiuto della polizia. È evidente però come questo non basti. Non è possibile che una giornalista, per far bene il proprio lavoro, debba girare con un collega uomo, o debba avere mezzi e visibilità tali da essere più facilmente protetta dalle forze dell’ordine.
Il giornalismo femminile indiano non viene ancora preso realmente sul serio, nonostante la fatica e le lotte per poterlo esercitare. Per anni, il mestiere è stato appannaggio esclusivo degli uomini, e solo a partire dagli anni Sessanta la controparte femminile ha potuto esercitare più apertamente la professione.
L’uccisione di Gauri Lankesh può dunque dar luogo, legittimamente, ad un discorso più ampio e generalizzato in merito al giornalismo femminile e alla condizione di vita delle donne nel paese. È evidente come il suo sacrificio debba necessariamente accompagnarsi ad una profonda riflessione sulla libertà di essere, di poter fare e di esprimersi in un’India che non diventa improvvisamente laica semplicemente dichiarando illegittimo il “talaq, talaq, talaq”, e che ancora troppo poco fa per proteggere la parte femminile della popolazione.

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Profilo Autore

Angela Carta

28 anni. Dopo due anni come operatrice di uno sportello anti-violenza e un anno di volontariato in Ungheria come youth worker, ho scelto di diventare educatrice professionale. Già specializzata in Tutela dei Diritti Umani, mi occupo oggi di HRE, violenza di genere, educazione videoludica e attività di gioco e team building.

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