DAESH. AL-KHANSA: LA BRIGATA FEMMINILE CHE UCCIDE A MORSI

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A garantire il rispetto della normativa etica in vigore (ispirata sostanzialmente a un’interpretazione arbitraria e misogina del Corano), la famigerata brigata femminile al-Khansa, costantemente alla ricerca di potenziali vittime da seviziare  in nome della Sharìa. Con esiti spesso letali.

L’onnipresenza della Hisbah (o polizia morale) è fonte di enorme apprensione per le suddite del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi, obiettivi designati delle rigide restrizioni sancite dai vertici a negazione del loro stesso diritto all’esistenza. A garantire il rispetto della normativa etica in vigore (ispirata sostanzialmente a un’interpretazione arbitraria e misogina del Corano), la famigerata brigata femminile al-Khansa, costantemente alla ricerca di potenziali vittime da seviziare  in nome della Sharìa. Con esiti spesso letali.
Sadiche, ciniche, disumane: nel regno del terrore sorto dalle ceneri della speranza, dove la crudeltà del reale trascende la più bieca immaginazione, le tutrici dell’ordine collettivo non perdono occasione per accanirsi sulle sventurate concittadine.

Una conferma in tal senso si evince dalle rivelazioni divulgate dal sito informativo russo Sputnik in base alla testimonianza di una  profuga irachena appena ventenne, che nel timore di eventuali rappresaglie da parte dei jihadisti ha comprensibilmente optato per l’anonimato. Le atrocità alle quali avrebbe assistito durante la sua permanenza nello Stato Islamico sarebbero molteplici.
Emblematico quanto accaduto a Fateh, una bimba di 10 anni sopresa dalle aguzzine sulla soglia di casa (all’altra metà del cielo non è concesso comparire in pubblico senza un debito accompagnatore, a prescindere dall’età) mentre si accingeva a svolgere le consuete incombenze domestiche e pertanto uccisa a morsi. Azzannata con micidiali dentiere in ferro imbevute di veleno. Un macabro spettacolo al quale la madre – sebbene obnubilata dalla disperazione – è stata costretta ad assistere.
A una donna che  per meglio esaminare la merce da acquistare al mercato aveva osato scoprire leggermente il volto sono state invece inferte 30 staffilate mortali: nesssuno degli astanti ha potuto scongiurare il castigo. Entrambi i casi rimandano comunque a una tragedia annunciata, forse già scritta dalle stesse carnefici .

Qualsiasi indizio di inadempienza legale può del resto comportare punizioni esemplari, la cui entità è quasi sempre inversamente proporzionale al reato (o presunto tale) contestato. E l’elenco delle imposizioni è pressoché infinito: spazia dal divieto di allattare neonati all’aperto e ostentare calzature dal tacco alto (passibili di attrarre l’attenzione maschile) all’obbligo di indossare abiti a copertura integrale rigorosamente neri  (accessori inclusi).
“Io ho vissuto da reclusa per due anni“, ha ammesso l’intervistata. “Alla sola vista del burqa stavo male. Non mi faceva sentire un essere umano. Mi sembrava di essere chiusa in una scatola. Non riuscivo nè a respirare nè a captare la luce del sole. Se fossi uscita anche solo per un attimo avrei poi dovuto ricordare di portare con me il velo trasparente da porre davanti agli occhi  in modo da consentire alle inquisitrici di stabilire la mia età. Siccome sono generalmente le giovani a essere penalizzate ho preferito rinunciare totalmente a quel poco di libertà che mi rimaneva“.

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Profilo Autore

Rita Cugola

Rita Cugola, milanese del ’59. Giornalista. Attualmente ha collaborato con il quotidiano “Il Fatto” e ha lavorato per il mensile “SpHera” (ora chiuso), occupandosi, rispettivamente, di mondo islamico (immigrazione, problematiche politiche e sociali) e di egittologia, ermetismo, filosofia. Collabora al momento attuale anche con Panorama e Alganews . Il suo blog http://ritacugola.blogspot.it/

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