LETIZIA BATTAGLIA – PER PURA PASSIONE

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In mostra al MAXXI di Roma fino al 17 aprile

di Andrea Zennaro

 

Letizia Battaglia, giornalista nata a Palermo nel 1935, è nota come la principale fotoreporter italiana sul tema della mafia per aver documentato le stragi più o meno note che hanno tormentato la Sicilia durante gli ultimi decenni del Novecento. Di Palermo mostra il contrasto tra lo splendore e la miseria, tra la delicatezza delle bambine e l’arroganza dei boss, accostando immagini di scene diversissime, dai vicoli tormentati da povertà e violenza ai palazzi sfarzosi dei ricchi. Ma la sua attività ha inizio molto prima e da argomenti ben distanti. Il suo primo lavoro fotografico riguarda una prostituta con cui la donna entra in confidenza per conto del periodico palermitano L’Ora, di cui negli anni ’70 è stata anche redattrice. I suoi primi scatti mostrano già la loro forte espressività, data dall’intensità di sguardi e scene: il bianco e nero essenziale elimina il superfluo e colpisce direttamente chi guarda, la potenza espressiva delle immagini non potrebbe essere la stessa se le foto fossero state scattate a colori. Nonostante i suoi soggetti siano molto spesso donne nude e atti sessuali, l’obiettivo dell’autrice non è mai invadente né sembra dar fastidio o mettere a disagio le persone su cui viene puntato. È anzi sorprendente l’intimità che riesce a creare con le persone, consapevoli di essere fotografate eppure sempre totalmente spontanee.

 

battaglia5La prostituzione è un tema ricorrente nelle immagini da lei scattate: vuole che queste donne rovinate dalla mafia siano almeno ricordate, che non siano solo numeri negli elenchi delle vittime. Vuole che la vita di donne come Nerina, uccisa dalla mafia per aver spacciato senza il permesso dei superiori, vengano consegnate alla Storia, perché la vera vittoria di Cosa Nostra è l’oblio diffuso. Le sue immagini di donne, per quanto si tratti di corpi “in vendita”, sembrano parlare molto più della bellezza e dell’innocenza che della mercificazione e del loro essere vittime di abusi e ingiustizie. L’autrice è abile nel cogliere e usare la bellezza. La bellezza e l’innocenza di uno sguardo portate nell’eternità danneggiano i mafiosi e rendono alle donne giustizia e valore.
Un altro argomento dei suoi primi reportage fotografici è quello del manicomio di Palermo. Negli anni ’70-’80 gli ospedali psichiatrici in Italia sono stati al centro di un intenso dibattito culturale e giuridico che vi ha portato l’attenzione di importanti fotoreporter nazionali (oltre a lei, Mario Giacomelli e Gianni Berengo Gardin hanno documentato queste realtà nel loro periodo di transizione da manicomio-lager a ospedale “quasi normale” con l’entrata in vigore della legge Basaglia). Il suo approccio alla “pazzia” è forte ma rispettoso, non mette mai in cattiva luce le persone e cerca scene ben più discrete di quelle scelte da alcuni suoi colleghi contemporanei.

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Tutt’altro effetto fanno le immagini documentarie sugli omicidi di mafia. Deve aver avuto grande coraggio e sangue freddo per fotografare i cadaveri appena rinvenuti nelle strade di Palermo, colpiti a freddo da sicari armati o uccisi in attentati stradali. La mafia ha colpito in primis giornalisti e magistrati, ma anche tante persone comuni colpevoli di aver violato un codice d’onore: i nomi più noti sono Peppino Impastato, Piersanti Mattarella (fratello dell’attuale Presidente della Repubblica), Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma solo in Sicilia le vittime della mafia sono state migliaia. I suoi scatti non risparmiano nessuno: uomini a terra e vedove in lacrime, pozze di sangue e automobili danneggiate vengono mostrate in tutta la loro crudezza. Chiara ed eloquente è anche la stretta di mano tra i boss di Cosa Nostra e l’onorevole Giulio Andreotti, foto che la donna tiene a mostrare.
Spesso nella sua fotografia di soggetti maschili si percepisce una sorta di gusto macabro, dovuta alla frequenza di visioni molto esplicite di violenza e sangue. O forse macabri sono stati il suo tempo e il suo luogo.

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Al contrario, nel ritrarre le donne, e specialmente le bambine, Letizia Battaglia sembra dotata di una capacità particolare di cogliere la bellezza. I suoi ritratti femminili sono toccanti per la dolcezza e l’innocenza emanate da quegli sguardi profondi e delicati, nonostante la loro condizione sociale spesso umile. È proprio avvicinare immagini diverse mostrando la dolcezza delicata attraverso gli occhi di una donna bella e innocente accanto alla brutalità di un uomo ucciso e alla violenza del suo contesto che dà forza alle esposizioni di Letizia Battaglia, esposizioni che hanno girato il mondo, da Palermo Milano e Roma fino al Centre Georges Pompidou di Parigi. Ma le sue grandi capacità di fotografa di ambito ritrattistico e paesaggistico sono sempre state messe in secondo piano, soffocate dalla cronaca nera e dalle stragi mafiose.
Letizia Battaglia ha scoperto la fotografia soltanto all’età di 34 anni come supporto per il lavoro di giornalista, attività che occupa tutta la sua vita. Eppure è stata la prima europea a vincere il Premio Eugene Smith nel 1985 per la fotografia documentaria.
È stata consigliera comunale a Palermo con i Verdi nella giunta Orlando e consigliera regionale dal 1991 al 1995 con La Rete (lista di sinistra legata allo stesso sindaco); ha fondato la casa editrice Edizioni della Battaglia per poter pubblicare libri “scomodi” rifiutati dalle altre case editrici.

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