Un’inutile consulenza

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Quando l’interesse del minore non è preso in considerazione.

Ex conviventi, il padre, Roberto, la madre, Francesca, e il figlio, Marco, di 7 anni. Un passato caratterizzato dalle difficolta’ relazionali tra i genitori, il cui epilogo ha avuto riscontro in un procedimento per la limitazione della responsabilita’ genitoriale del padre, proposto dal Pubblico Ministero Minorile, a seguito di una denuncia che la donna aveva sporto nei confronti del padre, a causa dei suoi comportamenti aggressivi, per la mancanza di regolarita’ con cui provvedeva al versamento dell’assegno di mantenimento e perche’ il il bambino, dopo essere stato con il padre manifestava segni di disagio psicologico.
Il Giudice Minorile dispone una Consulenza, che si conclude con l’indicazione di visite protette e affidamento esclusivo, il Tribunale recepisce nella parte motiva del provvedimento alcuni passaggi resi dal CTU, ma ha confermato l’affidamento condiviso, ha dichiarato che il rapporto tra Marco e il padre dovesse avvenire in forma libera e che entrambi i genitori dovessero intraprendere un percorso psicoterapeutico individuale e di sostegno alla genitorialita’, riservando una decisione definitiva all’esito del percorso psicoterapeutico.

Dissento da questa decisione per molte ragioni:

1. se un Consulente dispone le visite protette, ci sono ragioni gravi che non possono e non devono essere ignorate dall’Autorita’ Giudiziaria, con tre righe di ragionamento;

2. non si comprende dove e a chi ciascun genitore debba rivolgersi (generalmente si indica un Centro Pubblico) per attivare questo percorso di terapia, all’esito del quale non si comprende neppure chi e come accerti la “guarigione”, traguardo di cui, tra l’altro, non sembra affatto che la madre debba raggiungere, essendo stata riscontrate sue buone competenze genitoriali. Quindi, ciascun genitore si puo’ rivolgere ad un terapeuta privato, che attestera’ il felice esito del percorso. Non e’ indicato dove e a chi Roberto e Francesca debbano rivolgersi per il loro sostegno alla genitorialita’, anche qui vale la regola della mancata indicazione di un Centro pubblico;

3. grave la definizione di “conflitto di coppia”, laddove lo stesso padre e’ l’unico ad essere indicato con particolari caratteristiche della personalita’. Occorre che si faccia un sano distinguo tra il conflitto e il dominio del disagio psichico di un genitore sull’altro che subisce.

4. una terapia psicologica e’ un percorso assai lungo, e l’Autorita’ Giudiziaria senza se e senza ma ha lasciato che gli incontri tra Marco ed il padre non solo avvengano senza protezione, al contrario di come consigliato dal CTU, ma anche senza alcun monitoraggio;

5. non si comprende perche’ sia stata disposta una consulenza se il Giudice Minorile aveva gia’ delle opinioni ed un’idea di percorso ben precise per la coppia; non si revoca un provvedimento di controllo su un minore che mostra dei disagi, senza che si sia prima accertata l’effettiva capacita’ di contenimento dell’ impulsivita’ da parte del padre, senza che prima non si sia accertata la sua “guarigione”, il ragionamento del Giudice Minorile sarebbe dovuto essere l’opposto: prima fai il percorso, poi si verifica il tuo miglioramento, infine revoco le misure restrittive.
Insomma, quando la famiglia e’ in crisi, quando un minore ha un disagio con un genitore dovrebbero esserci decisioni piu’ meditate, piu’ coerenti e piu’ in linea con questo fantomatico concetto di “interesse del minore“, di cui, purtroppo, manca un riscontro oggettivo.

 

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Profilo Autore

Simona Napolitani

Avvocatessa, si dedica al diritto di famiglia da più di vent'anni per precisa scelta Ha voluto infatti conciliare lo studio delle norme giuridiche al benessere individuale,

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