La dodicesima notte

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Il periodo compreso tra Natale e il 6 gennaio  ha sempre rappresentato un periodo molto importante, delicato, colmo di aspettative per la nuova stagione, per la semina e il raccolto prossimi, da cui dipendeva la sopravvivenza per l’intero anno.

 

Non parlerò della commedia di William Shakespeare, ma visto che ci avviciniamo al 6 gennaio, farò qualche considerazione zigzagando come sempre tra tradizione e realtà contemporanea. Tanto è stato scritto a riguardo: miti, leggende, tradizioni popolari innumerevoli si confondono ed è difficile orientarsi, ogni luogo, ogni cultura, ogni Paese ha forgiato un racconto per celebrare, accogliere e dare significato a questo giorno, a questo periodo di transizione. Fuoco, rinnovamento, preparazione, attesa, cicli naturali, vita e destino fusi insieme, per esorcizzare l’ignoto, in periodi storici non semplici e che sicuramente mettevano a dura prova gli esseri umani.

Il periodo compreso tra Natale e il 6 gennaio (per i cristiani coincide con l’arrivo dei Magi o in tempi antichi con il battesimo di Gesù, usanza che rimane nel rito ortodosso) ha sempre rappresentato un periodo molto importante, delicato, colmo di aspettative per la nuova stagione, per la semina e il raccolto prossimi, da cui dipendeva la sopravvivenza per l’intero anno.

In una cultura prettamente contadina, rivestivano una grande importanza i miti, perciò si credeva di vedere volare sopra i campi appena seminati Diana, che aveva il compito di renderli fertili. Nell’antica Roma Diana era non solo la dea della luna, ma anche la dea della fertilità e nel Medioevo, anche in piena cristianità, Diana continuò a essere venerata. In principio Diana e queste figure femminili erano tollerate, non avevano nulla di maligno, ma la Chiesa cristiana presto cambiò atteggiamento, condannandole in quanto pagane, divennero streghe, vicine a Satana e agli inferi. Presso i tedeschi del nord Diana diventa Frau Holle mentre nella Germania del sud, diventa Frau Berchta. Le origini di quest’ultima sembra che fossero celtiche, il suo nome si fa risalire all’antico alto tedesco berath o berth, ovvero “lucente”, “luminosa”.

Entrambe incarnano sia il bene che il male (elementi presenti in ognuno di noi): sono buone, sono dee della natura e della fertilità, le protettrici delle filatrici, ma nello stesso tempo si dimostrano spietate contro chi fa del male. Si spostano volando su una scopa o su un carro, accompagnate da maghe e streghe e anime dei non battezzati.

Durante questi dodici giorni quindi, Frau Holle, la Baba Jaga, Babushka, e le altre figure simili vagavano di casa in casa esaminando gli arcolai delle donne (erano divinità strettamente legate all’arte della filatura e ai lavori femminili). Se le donne avevano filato con cura e maestria, se avevano tenuto in ordine la casa, sarebbero state premiate, se invece il lavoro fosse risultato di cattiva fattura o poco curato, le donne pigre sarebbero state punite. Insomma un bel substrato culturale per giustificare il ruolo della donna, l’importanza del lavoro domestico, per il mantenimento dei ruoli e per una buona educazione femminile. Insomma, se da un lato le streghe umane erano coloro che sovvertivano i ruoli, erano indipendenti, non conformi e perciò da “eliminare”, da mandare al rogo, l’immagine di queste streghe Holle/Berchta sembra assumere più un ruolo educativo conservatore, assurgere a una forma di monito per le giovani fanciulle.

La Filatura esaminata da Berchta/Holle non è solo la filatura della lana, ma anche quella della propria esistenza. Ognuna di noi tiene tra le mani il prezioso filo della propria esistenza, e decide da sè se filarlo bene o male, con impegno o trascuratezza. Questa dea veglia sulle sue figlie e sul loro lavoro, sia quello fisico che spirituale. La filatura è una metafora del nostro destino. Una visione molto protestante, ma anche cristiana in cui il libero arbitrio condiziona le nostre esistenze e la vita ultraterrena. Un individualismo che permea il destino e segna le vite.

La stessa arte della filatura è un dono. In moltissime culture la si riceve in dono da una dea (Natura) insieme alla materia prima (lana o lino). Paragonando il lavoro fisico a quello spirituale, si veicola il messaggio secondo cui la donna possiede nelle mani la propria fortuna. Filare bene o male, con amore o con trascuratezza, con attenzione o con superficialità determinano il suo destino.

Perché di solito è una donna anziana, come la Fata Piumetta dei Fratelli Grimm? In alcuni casi rappresenta l’anno che volge al termine con tutti i suoi acciacchi. Ma la vecchiaia in realtà è parte integrante dell’esistenza di ciascun essere umano. È necessario onorarla è onorare tutto ciò che compiamo, sempre, perché la fine è già compresa nell’inizio. La vecchiaia non va sfuggita, disprezzata o temuta, va onorata e rispettata quindi, perché è sinonimo di saggezza, di esperienza, di sapere e conoscenze da tramandare. Spesso non ci accorgiamo dei doni che questa ci porta, del loro valore, da vivere e da apprezzare pienamente, da comprendere sino in fondo. Inverno, vecchiaia, sono stagioni importanti, della vita come della natura. Il rispetto è fondamentale, qualcosa di cui spesso ci dimentichiamo, perché impegnati nel qui ed ora, in una giovinezza eterna, che rifugge la ricchezza di altre stagioni. Il passaggio cruciale tra luce e oscurità, quello scontro tra le forze che fanno parte della nostra esistenza. Non poter invecchiare è una sorta di rifiuto di questo passaggio naturale, un congelamento che non può portarci nessuna esperienza, non ci arricchisce, ma ci fa restare aridi, non ci permette di crescere spiritualmente.

Vorrei però soffermarmi sul legame donna-Natura. Questo binomio personalmente lo tratterei con una dovuta attenzione, ponendomi/vi domande e cercando di evidenziarne le conseguenze sottese.

Tra le strategie delegittimanti delle donne, la deumanizzazione è largamente diffusa, adoperata da tempo immemore per giustificare l’inferiorità naturale e biologica della donna. Negare la sua dignità umana e assimilarla al regno animale o a quello degli Inferi, avevano l’obiettivo di giustificare qualsiasi tipo di sottomissione della “bestiola donna”. L’unica donna utile, come sottolineava il poeta greco Semonide, era quella “ape”, laboriosa, industriosa. Per chiarire meglio, qualche tempo fa avevo scritto questo post a riguardo: https://simonasforza.wordpress.com/2014/10/19/la-donna-e-una-bestia-ne-salda-ne-costante/

La “naturalità” della donna era correlata alla sua vicinanza più al mondo animale che a quello umano, il cui apice evolutivo era l’uomo. Questa animalità della donna veniva letta anche nelle sue emozioni, che erano solo di tipo primario (paura, sorpresa), mentre l’uomo era capace anche di altre emozioni, secondarie e prettamente umane, quali odio e orgoglio.

Un buon esempio è quello che ci fornisce qui nell’incipit de Il secondo sesso, Simone de Beauvoir:

simone-de-bovoir

 

 

Insomma, in mezzo a tanti messaggi, il mio augurio è che ognuna trovi il suo equilibrio, la sua via a una rinnovata luminosità (soprattutto interiore), riesca ad essere la donna che desidera diventare, senza sovrastrutture, senza pressioni, vivendo serenamente ogni fase della vita. Lo so che non è semplice, ma l’importante è non subire condizionamenti nocivi e che ci fermano, o che offuscano la nostra luce.

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Profilo Autore

simonasforza

Blogger, femminista e attivista politica. Pugliese trapiantata al nord. Equilibrista della vita. Felicemente mamma e moglie. Laureata in scienze politiche, con tesi in filosofia politica. La scrittura e le parole sono sempre state la sua passione: si occupa principalmente di questioni di genere, con particolare attenzione alle tematiche del lavoro, della salute e dei diritti.

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